Gianni Brera amava ricordare a proposito del Campionato del Mondo: «In principio era il Gran Premio Wolber, che si svolgeva ogni anno a Parigi, poi il Gran Premio Wolber fu fatto Mondiale. […] I francesi, sbruffoni trionfanti, detenevano il verbo: chi vinceva il Wolber veniva proclamato primo nel mondo: e quasi sempre era un francese, perché i belgi, che erano più forti di tutti, erano accasati in Francia e capivano quasi sempre di dover servire i campioni più popolari».
Molti e interessanti gli spunti riportati da Brera, ma volutamente lasciati sottotraccia, come se fossero talmente famosi (e all’epoca lo erano sicuramente) che tutti ne avessimo ancora memoria. Qui cerchiamo di rinfrescarla quella memoria, e recuperare una sfida tra campioni che ha entusiasmato l’Europa per un paio di anni. Intanto lo scenario. Francia dei primi Anni ’20, 100 anni fa. Il Tour dopo la Grande Guerra è dominato dai belgi (4 vittorie dal 1919) e l’organizzatore Henri Desgrange, nonostante le tante modifiche al regolamento per favorire i corridori francesi, non è ancora riuscito nel suo intento, ovvero far vincere nuovamente il Tour de France a un francese (con il conseguente aumento delle vendite del suo giornale, l’Auto). È in quello scorcio di 1922 post Grand Boucle che nasce il Gran Prix Wolber. L’industriale delle gomme Antoine Wolber, con l’intento di celebrare la ricostruzione delle sue officine che la guerra aveva distrutto, chiede e ottiene che venga organizzata, a sue spese, una sfida internazionale che porti il suo nome. La prova, dotata di ricchi premi, è fissata per l’8 ottobre ’22 su un percorso di 240 chilometri nei dintorni di Parigi, tra Versailles e Chartres, con arrivo al Parco dei Principi.
Data la consistenza dei premi – e la conseguente presenza di campioni – per i giornali è semplice assegnare a questa corsa l’etichetta di Campionato del Mondo per i professionisti (i dilettanti avevano la loro prova ufficiale dal 1921). E Girardengo? Costante partecipa a questa prima edizione del Wolber. Ha la maglia di campione d’Italia sulle spalle, non può mancare. Ha corso poco all’estero, ma si è sempre messo in mostra, come nel 1920 alla Roubaix, quando lanciato verso la vittoria rompeva la forcella dopo Arras e addio speranze di gloria. Sempre nel 1920 partecipa alla Parigi-Tours. A Versailles è coinvolto in una caduta e passa tutta la corsa a inseguire, tra nuove cadute e tubolari misteriosamente tagliati. Nella Roubaix del 1922: «Ove non camminò molto forte quel giorno, ma la bucatura di Breteuil in un momento così difficile, non ci sarebbe voluta… Poi il misterioso capogiro, dopo aver trangugiato del caffè al controllo», chiosa Armando Ghiglione ne “Girardengo… il vero campionissimo”.
Al GP Wolber, comunque, Gira si presenta in ottime condizioni di forma. Risponde a tutti gli attacchi che soprattutto i francesi portano. Sulla rampa verso Laon, dove è fissato l’ultimo controllo e rifornimento, Henri Pélissier, Girardengo e Detreille allungano e raggiungono insieme il punto. In discesa poi Detreille tenta di andarsene, ma Girardengo lo riprende. Restano 11 uomini al comando. Racconta Ghiglione: «In prossimità dell’arrivo, Girardengo tentò di girare la ruota [l’unico modo di cambiare rapporto consentito all’epoca], ma a ogni accenno di scendere, gli avversari partivano in volta col medio rapporto. Era ormai buio quando s’abbordava l’ultimo chilometro. Detreille era al comando, seguito da Girardengo, poi Mottiat, Sellier e Bruiner scattavano furiosamente, e il Novese si accodava a Brunier, con Suter e H. Pélissier alla ruota. A 150 metri Gira produceva il suo sforzo, ma scherzi dell’oscurità, la sua ruota anteriore, urtava in quella posteriore di Bruiner, e per un vero miracolo evitava la caduta ma addio vittoria… Primo Suter, secondo Sellier, terzi a pari merito Girardengo, Hillarion, Brunier, Henri Pélissier, Detreille, Godard, Scieur, Masson, Mottiat, Alavoine, Rossius, Bellenger, Guyot».
IL GUANTO DELLA SFIDA
Al Tour de France del 1923 vince finalmente un francese, Henri Pélissier, capitano della squadra Automoto. Al secondo posto si classifica Ottavio Bottecchia, gregario del transalpino. Il 22 luglio Desgrange sull’Auto magnifica la vittoria, attribuendo a Pélissier la qualifica di più grande corridore del mondo e definendo Bottecchia come il miglior corridore italiano, ignorando totalmente Girardengo, che pure ha dominato il Giro d’Italia (vincendo 8 tappe su 10) e in primavera ha vinto la Milano-Sanremo (la terza della serie). Secondo Ghiglione, il Patron vuol far scontare a Girardengo l’abbandono del Tour del 1914, quando un giovanissimo Costante aveva partecipato alla Grand Boucle (con la maglia Automoto), ma si era ritirato prima dei Pirenei. Ritiro per altro concordato con la sua casa, la Maino, visto che il 19 luglio c’era in concomitanza il Giro dell’Emilia, corsa del campionato in prove multiple a cui Gira doveva assolutamente partecipare.
Costante, in risposta all’articolo di Desgrange, invia una lettera aperta che La Gazzetta dello Sport pubblica il 26 luglio. «Invito tutti i corridori del mondo a incontrarsi con me in una corsa a cronometro di 300 chilometri sul percorso ad esempio della Milano-Sanremo: se si considera che le strade italiane mi siano favorevoli, io accetto anche un percorso su strade in suolo neutro, da 300 a 600 chilometri, che ci siano anche delle salite tipo Galibier e Izoard. Posta per ciascun incontro L. 50.000. Epoca a scelta degli avversari. Da oggi io sono pronto. Sarà così possibile stabilire, senza le chiacchiere dei giornali, se l’Italia possiede oggi degli uomini degni dei grandi Assi Internazionali, senza bisogno di preventivi collaudi; così io credo, si taglierebbe corto a tutte le meschine leggende, che non fanno onore a chi le butta sul mercato, e che in ogni modo, non han diritto di albergo nella terra di Costante Girardengo e di Ottavio Bottecchia». Una sfida con i fiocchi indirizzata a tutti i corridori, la cui posta in palio, un’enormità per l’epoca, fa trattenere la penna sulla carta per la risposta. Chi risponde? Nessuno.
Ghiglione: «Alla lettera sfida di Girardengo, risposero in termini vaghi soltanto Alavoine e Sellier, e più decisamente Brunero, il quale evidentemente sospinto dall’Avvocato [Eberardo Pavesi] polemizzò a lungo con Girardengo». Pavesi, direttore tecnico della Legnano, sentito profumo di soldi, spinge il suo corridore a replicare al Novese. Di questo incontro tutto italiano, però, non se ne fa di nulla. «[Girardengo] il 9 agosto 1923, di ritorno dalle corse in pista a Senigallia, aveva provveduto a nominare i suoi rappresentanti per la sfida con Brunero, nelle persone del sigg. Comm. Mario Ferretti (vice presidente FICG e UVI) e del prof. Luciano Oliva che ora non sono più; senonché la polemica apparve inutile e ridicola e non si concretò; non avrebbero infatti all’estero riso sotto i baffi? Girardengo, pur non temendo certo nessun corridore al mondo, non era il ciriacese che intendeva incontrare e battere, ma evidentemente i corridori d’Oltre Alpe, e precisamente il cosiddetto Campione dei Campioni, vincitore recente del Tour strappato a Bottecchia sulle balze dell’Izoard. Ma Henri Pélissier, se ne guardò bene da farsi vivo». La sfida del Campione d’Italia è alla Francia, al direttore dell’Auto e al corridore che lui ha definito il più forte di tutti. A colui che ha vinto il Tour, anche se solo per un gioco di squadra, altrimenti il suo gregario italiano avrebbe dominato.
Desgrange fa qualche passo indietro, cerca di abbassare un po’ i toni, anche perché trovare un corridore disposto alla sfida con 50.000 lire in tasca non è affatto semplice. Ghiglione sottilmente afferma: «Ma perché allora se Desgrange era ben sicuro, o per lo meno sperava, che i suoi Pélissier e Alavoine avrebbero vinto l’incontro non fece finanziare dall’Auto la posta di lire 50.000 a sostegno di Pélissier e Alavoine, che in fondo rappresentavano il ciclismo francese? Mancavano forse all’Auto i fondi necessari?»
Intanto si tiene la seconda edizione del Gran Prix Wolber (30 settembre 1923). Il percorso viene portato a 361 km e la corsa, al contrario della stagione precedente, risulta più entusiasmante. «La battaglia a colpi di pedale si imperniò sul terzetto Rossius, Enrico Pélissier, Masson, i quali, staccatisi di 300 metri in partenza, riuscirono a condurre a termine una fuga intelligente. Approfittando di alcuni incidenti di gomme di Rossius e di Pélissier, Masson ebbe la ventura di precedere “l’Enrico nazionale” di 8 minuti, a 9’ finì Roissus, 4° Enrico Suter a 12’, 5° Bellanger, 7° Huot, 8° Notter, 9° Seret, 10° Heusghem, 11° Deman, 12° Thys», come riporta l’articolo de La Gazzetta dello Sport del 1943 presente nel volume “Girardengo”, a cura di Marco Pastonesi.
La sfida di Girardengo, lanciata in estate a tutti i corridori del mondo, cade ancora una volta nel vuoto. I corridori d’Oltralpe, stupiti dal gesto del Campionissimo, hanno preferito sminuirlo e far finta di disinteressarne piuttosto che accettare un confronto «che a loro riservava ben poche speranze». Chi non si dà per vinto è l’organizzatore delle gare al Velodromo d’Inverno a Parigi, Robert Desmarets. Visto che era fallito il confronto su strada, pensa di far disputare ai due corridori un match in tre prove nel giorno di Natale del 1923. Se la sfida non era stata possibile su strada che lo fosse almeno in pista, al Vel d’Hiv. Le prove sono velocità pura (1 km), dietro tandem (20 km), inseguimento (6 km). Tutte e tre le prove vengono vinte da Girardengo. Nella velocità vince partendo in testa, alla campana, e resistendo a ogni attacco. Nella prova dietro tandem sopravanza il francese di un giro e 10 metri. Infine nell’inseguimento lo raggiunge poco dopo metà della distanza.
Pélissier viene sconfitto in modo schiacciante, tanto che l’Auto così commenta la vittoria del Novese (dal testo di Ghiglione): «L’incontro Girardengo – H. Pélissier, aveva attirato la “grande folla”. Le 3 prove del match, si svolsero fra l’entusiasmo febbrile dei partigiani rispettivi dei due Campioni. È forse da tal atmosfera febbrile, nella quale egli sentiva di portare le speranze di tutti gli amministratori, che nacque l’emozione con la quale Pélissier si mise in linea? Non si potrebbe dirlo, ma è certo che il vincitore del Tour non ci parve in pieno possesso dei suoi mezzi consueti. Notate bene, che tale considerazione, non ha lo scopo di diminuire il merito della vittoria di Girardengo. L’asso italiano fu ieri sbalorditivo, e si deve dire che sarebbe occorso un pistard specialista in piena forma per pretendere di dominarlo. Gli è che il successo è di quelli che non di discutono. Egli vinse le 3 prove del match, nettamente quella di velocità, partendo in testa, e resistendo a tutti gli attacchi dell’avversario, quella dietro tandem avvicinando di 17” il record dei 10 km di Brocco [recordman dell’ora], e quella ad inseguimento infine, con la maestria e lo stile di un Egg [specialista della pista]».
VOGLIA DI VINCERE
Nonostante la ridondante vittoria, Gira torna a Novi non completamente soddisfatto. Facile capire il perché. In Francia si nega l’evidenza del risultato e si tende a sminuire l’importanza del suo risultato. Si fa passare il match come l’incontro tra pistard, dove però Pélissier non è un pistard. Costante non ci sta e lancia una nuova sfida all’avversario, una rivincita su strada.
«Nella sua lettera, Girardengo si esprimeva pressapoco così: che nato routier, esso resta routier, e come tale che intendeva essere giudicato. Ora poiché risulta che in Francia si tiene assai a vederlo all’opera su strada, non è più stavolta al mondo intero che egli lancia il suo guanto, ma proprio direttamente al suo avversario sfortunato nel giorno di Natale: Henri Pélissier. Gira proponeva il mese di febbraio l’epoca della corsa; distanza da 200 a 300 km a cronometro, su un percorso fra Cannes e la frontiera italiana, compresa la “Boucle de Sospel”. Posta a volontà di Henri Pélissier». Stavolta Henri risponde e indirizza la sua lettera al direttore dell’Auto. Il francese afferma che in stagione ci sono già molte corse in cui confrontarsi, senza la necessità di crearne una nuova e «questi incontri bastano a dirimere le più sane rivalità sportive». Afferma poi che nell’incontro in pista di Natale non fosse in buone condizioni: «Si è fatto un gran rumore, sul nostro ultimo incontro in pista; fui battuto, e non ho chiesto a nessuno di scusarmi perché non volevo sotto alcun pretesto cercare di diminuire il successo del mio avversario; ma poiché debbo oggi rompere il mio silenzio, posso dire che ero in pessime condizioni di salute e sofferente di Spagnola. […] Avevo deciso molto tempo prima di tale incontro su pista di concedermi un riposo di diversi mesi; sotto nessun pretesto, non voglio più interrompere questo necessario riposo; ma anche se non avessi presa tale decisione, non rileverei la sfida di Girardengo».
Desgrange dice la sua, difendendo il vincitore del suo Tour. La sfida di Natale non intaccava la reputazione di Pélissier, il quale «ha fatto bene a non accettare la sfida su 300 km su strada a cronometro che gli lancia Girardengo», essendo questa una disciplina indigesta per il francese. La disfida quindi invece di attenuarsi cresce. Replica al direttore dell’Auto Fabio Orlandini (corrispondente per la Gazzetta dalla Francia): «Siamo anche noi d’opinione che il risultato di quel match del giorno di Natale non potrebbe compromettere la carriera né dell’uno né dell’altro dei due antagonisti, ma siete sicuro, Sig. Desgrange, che l’opposto risultato avrebbe trovato in Voi questo stesso scetticismo, che vi induce non solo a diminuire ma a negare all’avvenimento qualsiasi valore sportivo? Noi non lo crediamo».
Al riguardo del confronto su strada Orlandini sottolinea: «E qui non siamo più d’accordo. L’unico mezzo efficace per risolvere una questione di rivalità tra due routiers è, secondo noi, proprio il match a cronometro: uomo contro uomo, col solo ausilio della propria macchina, non di aiuti leciti o illeciti; non stimolo di lotta, non ruota amica, non coalizione più o meno larvata, ma l’uomo solo, con le sue forze, e la sua volontà. Ecco ciò che propone Girardengo. La prova a cronometro, la più atletica, quella che la stessa Unione Velocipedistica Francese, ha decretato per scegliere fra i suoi routiers l’uomo più degno di rivestire la maglia di Campione». Quindi, alla fine, anche la seconda sfida non viene accettata perché «Henri era troppo intelligente per non capire che contro il Campionissimo c’era poco da fare». Costante deve suo malgrado rinunciare all’incontro e comincia a preparare la Sanremo. La brace, però, brucia sotto la cenere e prima o poi la questione tornerà alla ribalta, è solo questione di tempo e di occasione. E qui entra in gioco la terza edizione del Gran Prix Wolber. Ecco l’occasione.
FINALMENTE IL WOLBER
Il 28 settembre 1924 alla corsa si presentano 41 corridori, di cui 3 italiani. L’invito alla partecipazione era stato esteso ai vittoriosi e piazzati delle più classiche prove francesi, belghe e italiane in linea o a tappe, svoltesi nel corso delle tre più recenti annate. Sostanziosi i montepremi: 15.000 franchi di puro premio al trionfatore, 3000 al secondo, 2000 al terzo, 1500 al quarto, 1000 al quinto e così via. Molti corridori italiani avevano diritto di partecipare (Linari, Belloni, Bunero, Gay, Aymo, Enrici, Azzini) ma solamente Costante Girardengo, il suo luogotenente Pietro Bestetti e il fresco vincitore del Tour de France Ottavio Bottecchia si presentano alla partenza.
Claudio Gregori, ne “Il corno di Orlando” a proposito della partecipazione del friulano al GP Wolber scrive: «Bottecchia ha un’urgenza che lo punge: non ha ancora vinto una grande corsa in linea. Così si iscrive alla terza edizione del Grand Prix Wolber, 360 km, che Ravaud sull’Auto qualifica come “il vero Campionato del Mondo della strada”. C’è anche Girardengo. [Bottecchia] Si è fatto accompagnare da Oscar Egg a visionare la cote du Coeur Volant, l’ultima parte del percorso fino al Parco dei Principi. Desmarets ha approfittato per fargli firmare un contratto per alcune riunioni al Vélodrome d’Hiver». La corsa di Ottavio sarà parallela a quella di Costante. Sono italiani sì, ma non alleati né nemici. Bestetti invece è al servizio di Gira. Il via da Les Pavillon-sous-Bovis alle 2:40. In partenza il cielo è coperto, ma le strade asciutte, nonostante abbia piovuto in precedenza. Il ritmo è subito sostenuto e si verificano diverse forature. Al km 80 la salita verso la città di Reims. Costante si porta avanti per farsi vedere, lui c’è. A Reims il primo controllo e rifornimento. Ci sono tre minuti di neutralizzazione per permettere ai corridori di mangiare ed eventualmente riparare la propria macchina. È in questa prima occasione che Bestetti si trasforma in meccanico e lavora con martello e punta sullo sterzo della bici di Girardengo, «messo fuori assetto dal selciato».
Tra Jouchery e Fismes, per gli scatti di Girardengo e soprattutto di Debaets, il gruppo si fraziona in tre tronconi. «In testa, con il belga, restano solo le due maglie tricolori di Girardengo e Francis Pélissier, quelle violette di Henri Pélissier e Bottecchia e quella verde-rossa di Detreille. Sei uomini» ci racconta Gregori. A Braineu il gruppo torna compatto. A Soissons secondo controllo/rifornimento e altri tre minuti di sosta. Bestetti interviene nuovamente sullo sterzo di Girardengo che non era ancora perfettamente avvitato. Fuori Compiègne fora Bottecchia, costretto a un inseguimento di 18 km. Orlandini scrive: «Il suo inseguimento avviene attraverso frondosi viali della foresta di Compiène e dura ben diciotto chilometri, che egli percorre ad una media di oltre trentasei chilometri l’ora.
Nei dintorni di Compiène il vincitore del Giro di Francia rientra in gruppo». Detrielle tenta la fuga e il passaggio a livello che si chiude proprio davanti agli inseguitori fa dilatare il suo vantaggio. Passato il treno, però, viene presto ripreso. Il rifornimento di Selins, 278 km, appare congeniale per un colpo di mano. E infatti scatta la trappola dei Pélissier. Prendono al volo le musette, senza fermarsi, e scappano. Girardengo, che aveva previsto il colpo, aveva a sua volta appostato l’ex-corridore Allasia, che è pronto a porgere al Campionissimo il rifornimento, evitandogli la sosta. Girardengo, Detreille e i fratelli Pélissier si trovano da soli in testa, ma non trovando l’accordo vengono ripresi.
A Pontoise, km 343, il gruppo è composto ancora da 30 corridori. Gregori: «Lì Francis Pélissier si ferma da un farmacista e si fa curare gli occhi, offesi dalla polvere. Poi riprende. Con un brillante inseguimento rientra. Alavoine, invece, si arrende e abbandona». Scatti e controscatti si susseguono, fino al pavé che precede la salita di Coeur Volant, abbordata insieme da ventitré corridori. Il gruppo si allunga. Scatta Henri Pélissier. «Fuggono in tre: Henri e Francis Pélissier con Detreille. Girardengo risponde con un’azione superba e riporta sotto Benoit, Jacquinot e Sellier. Poi contrattacca. Prende sessanta metri di vantaggio. Il gap colmato a fatica». E Bottecchia? Risponde Gregori: «Rimasto nel centro del gruppo, è ostacolato da quelli che retrocedono e dalla folla che ha invaso la strada al passaggio dei primi». Qui scatta la contromossa di Girardengo, memore dell’errore di due anni prima. Scollina e gira immediatamente la ruota.
IL GRAN FINALE
Il passaggio ce lo racconta Ghiglione: «L’attacco del Campionissimo aveva lo scopo di farlo giungere solo in vetta e girare la ruota per la volata senza essere superato; così mentre stava procedendo al cambio della moltiplica, veniva superato dai soli fratelli Pélissier e Detreille, che tentavano di fuggire, ma Gira da furbacchione si manteneva a 200 metri circa da loro fingendo di essere allo stremo delle forze, per indurre il trio di testa a non mollare onde evitare altre dannose riprese. Ma Francis forse aveva mangiato la foglia e voltandosi a più riprese s’accorse del giochetto del Campione tutt’altro che stanco, e allora i tre rallentavano, e Gira suo malgrado doveva riprendere ma assumeva decisamente il comando per evitare altre riprese. Detreille e Francis tentavano ancora la fuga, ma era fatica vana. Henri girava a sua volta la ruota, e veniva ripreso da Sellier, Bellenger, Beffarat e Frantz, con i quali riprendeva il terzetto di testa».
Quindi poco prima di entrare in pista solo Gira e il maggiore dei Pélissier hanno girato la ruota e sono pronti per la volata. Il vantaggio del Novese però è ancora lì, gli altri non si sono accorti del suo cambio. Entrano nell’anello della pista, di 600 metri, ad alta velocità. «All’entrata in pista, per poco, Girardengo non veniva mandato a gambe levate. S’appoggiava ad un altro, forse a Godard, il quale ruzzolava a terra; i fratelli Pélissier erano esultanti per il giochetto riuscito, perché credevano a terra il temuto campione, ma quando se lo videro riapparire al loro fianco, la loro esultanza si tramutava in delusione». Alla prima curva l’italiano è davanti, «senza indugi, per timore di essere chiuso – senza ruote amiche – assumeva il comando». Sul rettilineo opposto all’arrivo (400 metri) respinge un primo attacco di Frantz e nella curva successiva quello del velocista belga Sellier (fresco vincitore della Parigi-Lione). Nel rettilineo finale attacco deciso di Henri Pélissier «che spinto in extremis dal fratello arrivava quasi all’altezza del Campionissimo» con Sellier, ma Gira non si fa sorprendere: vince in volata sul francese e sul belga. È la dimostrazione internazionale del suo valore, la corsa che gli attribuisce il titolo (non ufficiale) di Campione del Mondo, mettendo fine a ogni contesa. Ghiglione sagacemente sottolinea: «Così Girardengo ha vinto, e Desgrange si era ritirato in buon ordine meditando sul clamoroso trionfo di colui che l’anno precedente per sua provocazione aveva lanciato la sfida a tutti i corridori del mondo e successivamente a Henri Pélissier».
L’articolista dell’Auto, probabilmente Desgrange stesso, il giorno dopo la corsa scrive: «Il crack di Novi Ligure mi ha dato ieri una delle più grandi gioie della mia vita. Egli ha vinto il terzo Gran Premio Wolber, vero Campionato del Mondo su strada, ed è così diventato virtualmente, se non ufficiosamente, il campione del mondo per l’anno 1924. La gioia che mi ha causato risiede nel fatto che egli ha magnificamente confermato ciò che io scrivevo di lui all’indomani di una Parigi-Roubaix [1920] nella quale egli fu disgraziato e che avrebbe dovuto vincere e cioè che egli è un fenomeno della specialità. Fenomeno egli era, fenomeno è rimasto e la sua netta vittoria nel Wolber lo cataloga definitivamente per noi francesi nel giusto posto che egli deve occupare».
Gregori aggiunge qualche particolare: «Bottecchia finisce dodicesimo, a 31”, ex equo con otto corridori, tra cui Bestetti e Suter. Con amarezza assorbe la lezione di Girardengo, che è sempre rimasto vigile nelle posizioni di testa. Orlandini rende a Bottecchia l’onore delle armi: “Girardengo col Premio Wolber regala all’Italia un secondo ambitissimo trofeo e l’Italia può essere fiera di due suoi figli carissimi, invece che di uno solo. A quando il terzo?”». Il suo interrogativo sa di premonizione. Il terzo è già qui. Il 9 novembre, nel Giro di Lombardia, Alfredo Binda attaccherà sul Ghisallo, scrivendo l’incipit della sua luminosa carriera. Ma questa è un’altra storia… raccontata sul BE53 e presente sul nostro sito biciclettedepoca.net.
A cura di: Marco Pasquini Foto: archivio fotografico Carlo Delfino Si ringrazia: Michela Moretti Girardengo