Alla fine dell’estate e un mese prima di Gaiole a San Candido si celebra l’Eroica Dolomiti. Niente di più diverso delle colline toscane, dei dolci declivi e degli arcigni strappi senesi. Qui è montagna vera. Basta cambiare una valle e cambia anche il tempo. Già così sembra un’enormità pedalare sulle Dolomiti, i Monti Pallidi come li chiamava Dino Buzzati.
Qui non c’è scelta, o le deliziose piste ciclabili, come quella da Dobbiaco a Cortina, ricavata dalla vecchia ferrovia, o le erte montane che puntano verso il cielo, quasi a toccare le nuvole sulle sommità. Oltre 400 eroici hanno partecipato a questa edizione dell’Eroica Dolomiti. La metà italiani, per metà ciclisti di oltre confine, con una buona percentuale di amici tedeschi.
In partenza la temperatura è poco sopra i 10 gradi. L’autunno comincia a bussare da queste parti, ma la temperatura si alza a metà giornata, toccando anche la soglia dei 24°. Logico quindi che il vestiario sarà quello da mezza stagione. Alle 9 in punto la partenza dal centro di San Candido, sotto il baffo attento di Carube. Risaliamo la ciclabile fino a Dobbiaco poi la svolta a sinistra e comincia la salita verso Cimabanche. Giusto ritmo per far girare le gambe e godersi il panorama. La maestosità delle montagne toglie il fiato più che l’altitudine. Poco prima di svalicare il primo ristoro con vista sulle Tre Cime. Una volta in discesa la buona tenuta della strada permette di godersi la pedalata, ma non ci si può distrarre. Un buontempone, infatti, ha spostato una freccia, facendo deviare il gruppo sulla statale dopo un passaggio su un prato in salita, degno passaggio da ciclocross.
Da qui fino a Cortina gli eroici si sono dispersi lungo la via maestra, perdendo, purtroppo, uno dei tratti più caratteristici di tutta la corsa. La situazione torna alla normalità a Cortina, dove al ristoro i pedalatori hanno modo di sbollire la delusione con l’ottimo cibo fornito dall’organizzazione. Il tempo per lamentarsi però ha vita breve. Da lì si comincia a risalire. Ci attende il lago di Misurina. Intanto però a “misurarci” ci pensa la strada, dalla pendenza tenace, spesso in doppia cifra.
Ecco quindi che allo scollinamento il successivo ristoro è accolto come una liberazione. Qui tutti, dai temerari del lungo ai viandanti del medio e corto, si fermano, un po’ per recuperare le forze, un po’ per lasciarsi riscaldare dal sole. Discesa verso Carbonin e il bivio tra il lungo/medio e il corto, che per la ciclabile torna a Dobbiaco e San Candido direttamente.
Per gli altri, i temerari delle macchine pedalate, la salita verso Prato Piazza, tutta in sterrato. Qui bisogna avere gambe e rapporti, se uno dei due manca ti salvi sono camminando. È una bella processione quella che si snoda lungo questo serpente di acciottolato. Le rare fontane sono prese d’assalto e la lucidità latita. “Sergente Maggiore, riusciremo a rivedere la baita?” Qualcuno cita in dialetto Mario Rigoni Stern e uno dei suoi libri immortali. La baita per noi è il Rifugio in cima, lontano chilometri e pietre. In un momento di scarsa ossigenazione hai anche nostalgia del Sante Marie, poi riprendi coscienza e ti rendi conto in che pensieri va a sbattere la mente per distrarsi dalla fatica.
SUI TORNANTI
Quando finisce la vegetazione lungo la strada i costoni, loro si verdi lussureggianti, si avvicinano. Arrivano i tornanti e il miraggio della baita. Tornanti larghi, ampi e truffaldinamente invitanti. Ma non basta questo per alleggerire la fatica. Poi, quasi all’improvviso, sembra tornare la normalità, dettata dai camminatori che giungono in senso inverso. Sembra di essere in una vita del centro di San Candido invece che a oltre 2000 metri di quota. Al ristoro del rifugio radler e birra corrono a fiumi, accompagnati dal fette di strudel e altri dolci tipici. Qui è ancora più piacevole fermarsi e recuperare. Anche i temerari del lungo sostano come se avessero da scendere solo a Villabassa invece di altre decine di km.
La strada in discesa è tutta in asfalto e permette di lasciare scorre la bicicletta, che fino a poco prima è stata una compagna ritrosa in salita. Arrivati al termine subiamo gli strappi della ciclabile, degni di competere con le cote delle Fiandre. Il passaggio da Villabassa e il suo ristoro sembrano quasi un modo per dilatare il tempo, invece il rifornimento dell’Hotel Adler è qualcosa di memorabile. Sempre i temerari del lungo si sono ben posizionati a tergiversano nel partire per l’ultima ascesa. Noi viandanti del medio ripartiamo a malincuore, è dura lasciare l’Adler. Pista ciclabile con qualche strappetto che ti frega quando hai le gambe ormai un po’ stanche. Però è solo un momento, basta piantare i denti nel manubrio e raggiungere la sommità.
Arrivati a San Candido attraversiamo la via principale ormai presa d’assalto dai turisti. Quasi a fatica arriviamo al traguardo. Finita la corsa continua la festa e le storie da raccontare. Gli ultimi scampoli per la cena eroica al rifugio Baranci, per quelli che hanno avuto l’accortezza di prenotare. La discesa in seggiovia nella notte ha qualcosa di magico, la chiusura di un cerchio. Poco meno di un mese a Gaiole, ma già la fantasia delle strade sterrate e della festa dei ristori ha preso consistenza. I Monti Pallidi si sono rivelati severi maestri, ma hanno anche aperto i nostri occhi alle loro meraviglie. Buon viaggio verso la Toscana senese.