A Parigi, in quel freddissimo ma soleggiato mese di febbraio del 1927, si era finalmente scritta la parola fine all’annosa questione dei campionati mondiali su strada professionisti con partenza in linea.
L’I.C.A., l’Associazione Ciclistica Internazionale, dovette cedere alle insistenze delle rappresentanze di Belgio, Francia, Svizzera e Germania, ma soprattutto dell’italiana U.V.I., che si era spinta sino a minacciare la propria uscita dall’organismo internazionale se non si fosse arrivati subito alla creazione di quel campionato. A nulla erano valse le resistenze inglesi, ancora legate a una concezione ottocentesca di dilettantismo sportivo, che volevano imporre campionati solo di dilettanti ritenendo i professionisti non degni di essere considerati sportivi. Le posizioni inglesi erano ormai considerate senza senso, soprattutto in quel periodo in cui le case costruttrici erano sempre più disposte a spendere e investire nello sport ciclistico.
Anche il tentativo di rinviare al 1928 il primo campionato del mondo su strada riservato ai professionisti fu stoppato sul nascere. Infatti la Germania, per superare le pretestuose affermazioni del consiglio I.C.A. in merito al poco tempo necessario per l’organizzazione del percorso, propose di far correre il campionato sul circuito automobilistico del Nurburgring, che sarebbe stato inaugurato dopo qualche mese. Alla fine il compromesso fu raggiunto: sul circuito tedesco avrebbero corso assieme dilettanti e professionisti, ma a ognuno sarebbe stato assegnato un proprio specifico premio. La data fu fissata per il 21 luglio.
Il circuito del Nurburgring – e in particolare il “Nordschleife”, l’anello nord – suscita nell’appassionato di automobilismo un forte batticuore. In quell’inferno verde, questo è il nome con cui è anche conosciuto, si sono scritte alcune tra le più belle, più epiche e più temerarie storie motoristiche del ‘900. La costruzione fu iniziata il 27 settembre 1925 con la posa della prima pietra e la cattedrale automobilistica venne inaugurata il 18 giugno 1927. Il tracciato coinvolge i tre comuni di Adenau, Nürburg e Müllenbach nell’Eifel, ha una lunghezza di 22,810 Km con 172 curve e pendenze che arrivano a toccare il 16%. La partenza è a quota 560 metri s.l.m., con una prima salita si arriva a quota 627 per poi scendere, dopo circa 10 km, a 300 metri, il punto più basso, e quindi risalire in soli 4,5 km a quota 620 e tornare così, dopo circa altri otto chilometri di continui strappi e saliscendi, a quota 627.
In quei primi mesi dalla sua inaugurazione il fondo del circuito era in cemento nel solo rettifilo del traguardo, per evitare che la polvere sollevata dai bolidi in velocità ricoprisse gli spettatori sulle tribune. Tutto il resto era in terra battuta perfettamente livellata e veniva cosparso con il “fix”, una soluzione a base di catrame avente la funzione di impedire lo schizzare di sassi al passaggio delle vetture.
la squadra italiana
Quattro era il numero massimo di corridori per ogni rappresentanza nazionale di professionisti e due per i dilettanti. La scelta di far partecipare Alfredo Binda, che avrebbe compiuto 25 anni una ventina di giorni dopo la gara, era obbligata. La sua performance di 12 vittorie di tappa sulle 15 del Giro d’Italia del 1927 non poneva dubbi sulla sua preparazione atletica del momento. Stranamente il fido scudiero di Binda, Giovanni Brunero, vincitore del Giro del 1926 e secondo in quello del ‘27, non fu selezionato.
L’U.V.I. doveva forse seguire equilibri politico-economici evitando di dare troppo peso alla squadra della Legnano. La scelta di Costante Girardengo, a 34 anni corridore della Wolsit, lasciò un po’ tutti sorpresi, in quanto il corridore di Novi era fuori dalle competizioni dal 10 settembre dell’anno prima a seguito di una brutta frattura del polso causata da una caduta su una pista in Toscana. La gara del Nurburgring avrebbe segnato il suo ritorno alle competizioni.
Per Gaetano Belloni di 35 anni, che in quell’anno correva per la squadra Opel, l’inserimento nel quartetto mondiale era un atto dovuto visti i trascorsi vittoriosi, anche se quel 1927 era stato per lui un anno totalmente incolore. Il ventiquattrenne Domenico Piemontesi, infine, corridore della squadra Bianchi-Pirelli, chiudeva il quartetto dei professionisti, mentre Grandi e Orecchia avrebbero corso tra i dilettanti.
Direttore della squadra italiana era nientemeno che il presidente dell’U.V.I., Geo Davidson, di anni 62. Gli assistenti erano Pilotta, Villa, Gianotti, Davagli e Negrini. L’intera squadra riuscì a trovare alloggio in un albergo di Adenau situato a quattordici chilometri dalla partenza. Infatti, sebbene il pubblico non fosse numeroso a causa della giornata infrasettimanale scelta per la gara, la scarsa ricezione alberghiera dei paesi situati lungo il circuito riusciva a fatica a soddisfare le richieste delle squadre, dei commissari e della stampa.
la partenza
Quel mattino di giovedì 21 luglio 1927 la squadra italiana si ritrovò molto presto a colazione con Geo Davidson che ribadì ai corridori la strategia di corsa, che prevedeva i primi cinque giri di attesa e di studio degli avversari rispondendo agli eventuali attacchi, mentre dal sesto giro si dovevano iniziare gli attacchi. Appena arrivate le due macchine prese a noleggio, la squadra e gli assistenti si stiparono a bordo per essere trasportati al punto di partenza. Il cielo grigio e un freddo quasi autunnale non promettevano nulla di buono. Appena scesi dalle auto, notarono che il clima era ancora peggiore che ad Adenau. Infatti oltre al cielo plumbeo c’era un fastidioso e freddo vento, che sul rettilineo della partenza spirava in senso contrario alla direzione della corsa.
Lungo i due lati della pista dov’era il traguardo garrivano le bandiere di tutte le nazioni partecipanti. Gli altoparlanti trasmettevano musica popolare tedesca. L’ambiente era maestoso, con la pista molto larga e quelle grandi tribune nuove che la affiancavano su ogni lato per oltre duecento metri. Peccato che tutto fosse desolatamente vuoto. Il giorno feriale e forse anche le pessime condizioni meteo avevano pesantemente compromesso la presenza del pubblico.
Alle ore 9:30 a Geo Davidson tutto sembrava ancora stranamente calmo: i commissari raggruppati in diversi capannelli stavano tranquillamente parlando del più e del meno, l’assoluta tranquillità strideva col fatto che mancava meno di mezz’ora alla partenza. Alle 9:50, secondo le disposizioni del direttore della squadra, i corridori azzurri si ritrovarono nella grande sala del ristorante posto tra le autorimesse e le tribune. Ascoltate le ultime raccomandazioni del capo spedizione, i corridori scesero verso la pista dove li attendevano gli assistenti con le biciclette. Alle 10 non successe niente, tant’è che anche i corridori delle altre nazioni si scambiavano sguardi interrogativi. Gli ufficiali di gara ostentavano una calma inusuale e ci si chiedeva che fine avesse fatto la teutonica precisione.
Vennero esposti dei grandi cartelli di avviso in lingua tedesca. Per la traduzione Davidson si avvalse degli unici due giornalisti italiani presenti, Emilio Colombo della Gazzetta dello Sport ed Emilio De Martino del Corriere della Sera. Sui tabelloni c’era scritto che era assolutamente vietato per ordine della polizia seguire sul circuito i corridori con moto o macchine. Questo divieto era già stato oggetto di vivace discussione tra gli organizzatori e i rappresentanti delle varie squadre nella riunione del pomeriggio precedente. Nessuna squadra aveva accettato questa disposizione della direzione di gara, anzi tutti si erano organizzati per dare assistenza ai propri corridori con una macchina appoggio. Così il direttore di gara aveva pensato bene di far ricorso alla polizia di Adenau, che aveva giurisdizione su tutto il percorso, per far emettere quell’assurda ordinanza.
Geo liberò gli autisti delle auto che aveva tenuto a sua disposizione.
I giornalisti però non accettarono il diktat del direttore di gara e minacciarono di fare una pessima pubblicità sulla stampa. Così, almeno loro, ottennero di poter seguire la corsa per un solo giro, su una macchina messa a disposizione dall’organizzazione, con i giornalisti che si sarebbero cambiati a ogni giro. Le auto dedicate alla stampa divennero poi due.
Finalmente vennero chiamati i corridori a prendere la linea di partenza, mentre un timido e velato sole iniziava a comparire tra i nuvoloni che intanto si erano notevolmente abbassati. I corridori presero posto in file parallele rispetto alla linea di partenza secondo l’ordine del sorteggio per nazione avvenuto il giorno prima.
L’Italia partiva in quarta fila. Appena lo schieramento fu completato si vide uscire dal fianco delle tribune un corteo con le bandiere delle nazioni presenti, seguito da una banda, che si posizionò dietro i corridori. Alle 10:15 il colpo di pistola annunciò il via.
primo giro
I francesi Marviel e Aumerle scattarono in prima posizione ma subito dietro si piazzarono le sei belle maglie azzurre scudate con lo stemma della Real Casa Savoia e con un fascio littorio ricamato in oro, e in quest’ordine scomparvero dalla vista. Nel frattempo partirono anche la macchina della giuria e quelle che portavano i giornalisti sorteggiati per il primo giro. Appena partiti, Geo strinse accordi con i due giornalisti Colombo e De Martino perché lo relazionassero di ciò che avrebbero visto durante i loro giri. Per venti minuti i tabelloni, che dovevano aggiornare della situazione di gara lungo il percorso, rimasero inesorabilmente muti.
Sugli spalti si era radunata una sparuta folla. Forse si raggiungevano a malapena le cinquecento persone. Alle 10:45 gli altoparlanti, in lingua tedesca, annunciarono che c’era un gruppo di testa di una ventina di corridori con al comando gli italiani Piemontesi e Grandi. Dopo una decina di minuti Colombo portò la notizia, appresa dai cronometristi, che i corridori sarebbero transitati per terminare il primo giro entro cinque minuti. Di lì a poco l’emozione di Geo Davidson fu incontenibile. In lontananza apparvero i corridori e davanti vi era una macchia di un bel colore azzurro: erano le maglie di Piemontesi, Girardengo, Binda, Belloni e Grandi, che fermarono il cronometro a 43’ 58’’ e 8 decimi, alla media di 30,147 Km/h.
secondo giro
Era il turno di Emilio Colombo, che si affrettò a salire sulla macchina per seguire i corridori. Alla fine del giro, sceso dalla vettura, il giornalista della Gazzetta si precipitò da Davidson per dirgli che al quindicesimo chilometro, nel punto in cui le salite erano più dure, Piemontesi aveva allungato il passo con pedalate frequenti e determinate. Lo avevano seguito nello strappo Binda, Girardengo e Belloni, mentre Grandi sembrava essere più attendista. Geo sorrise della preoccupazione di Colombo, il quale riteneva fosse troppo presto per tentare un attacco. Ma il C.T. (così lo chiameremmo oggi) lo tranquillizzò dicendo che questo rientrava nella tattica per testare gli avversari. In effetti la strategia attendista italiana era confermata dal tempo del secondo giro, che si era chiuso alle 11:50 con un tempo di 51’ alla media di 25,998 km/h.
terzo giro
Il terzo giro era iniziato sotto un cielo quasi nero e gonfio di pioggia. In compenso il vento si era calmato e la temperatura si era fatta meno fredda. Era il turno di De Martino di seguire i corridori in macchina, così Davidson poteva avere ancora informazioni fresche. Intanto dagli altoparlanti si apprendevano i ritiri di Debaets, Souchard, Maas e Husaka. Appena terminato il giro, il giornalista del Corriere della Sera informò il C.T. che i corridori italiani sembravano in perfetta forma. Solo Girardengo lamentava un lancinante dolore al polso – quello fratturato nell’incidente, che gli rendeva particolarmente doloroso l’appoggio in salita.
Belloni si era fermato al dodicesimo chilometro, poco dopo il sottopasso di Adenau, per cambiare una gomma bucata e subito si era lanciato all’inseguimento. Durante lo sforzo aveva dato il meglio di sé proprio sulla parte più aspra del circuito. Vederlo pedalare era stato uno spettacolo di velocità ed energia. In meno di dieci chilometri raggiunse il gruppo di testa quando questo si trovava circa tre chilometri prima della fine del giro. Intanto sul tabellone apparvero i tempi del terzo giro concluso in 50’ 02’’, mentre la corsa ormai durava da 2h 25’ 0’’ e 8 decimi, la media era di 27,244 km/h.
quarto giro
Colombo, che parlava anche il francese, e De Martino in inglese concordarono con Davidson di portagli le notizie di volta in volta acquisite dai colleghi della stampa straniera, che si sarebbero avvicendati nei vari turni in macchina. Nel quarto giro riprese il vento e le nuvole ormai si intrufolavano tra i rami più alti degli abeti sulle creste delle colline dell’inferno verde.
Gli altoparlanti annunciarono il ritiro del belga Sellier e la squalifica del danese Hansen, reo di essersi fermato da uno spettatore, probabile complice, a rifornirsi di cibo. Al passaggio sul traguardo il gruppo di testa si era ridotto a dieci corridori e tra questi vi erano tutti gli italiani: Binda, Belloni, Girardengo, Orecchia, Piemontesi e Grandi. Erano le 13:37 quando il gruppo terminò il giro in 55’ 49’’ e 2 decimi. La stanchezza e il vento incidevano pesantemente sull’andatura. Intanto iniziò a cadere anche una fredda pioggerella.
quinto giro
All’inizio del giro vennero distribuite le sacche con il cibo che i corridori presero al volo passandosele subito a tracolla. Da un giornalista tedesco Colombo apprese che in quel giro non vi era stata nessuna particolare battaglia. Fu un giro piatto, durante il quale la tattica attendista l’aveva fatta da padrona, tant’è che il “Nordschleife” venne percorso in 54’ 10’’ e 8 decimi e il gruppo di testa rimase invariato.
sesto giro
Il giornalista della Gazzetta attinse le notizie dal collega francese al quale aveva anticipato, prima di vederlo salire in auto, di aver saputo da Geo Davidson che quello sarebbe stato il giro di inizio delle battaglie, per cui lo pregava di seguire con particolare attenzione ogni movimento delle “truppe italiane”. Intanto una pioggia fredda e fitta cadeva su tutto il percorso. Arrivato alla fine del giro il francese fu un prezioso relatore per il C.T. italiano, al quale disse che nelle zone pianeggianti era stato lo svizzero Blattman a prendere il comando. Si aveva però l’impressione che fossero gli italiani a concederglielo. Girardengo, che sembrava aver ripreso la sua forma migliore, lo marcava comunque molto stretto. Appena iniziava una qualsiasi salita era Piemontesi a scattare e a prendere il comando della corsa, attento a bloccare qualsiasi attacco degli avversari.
La pedalata poderosa dei corridori azzurri obbligò lo svedese Stramdberg a ritirarsi, mentre Grandi accusava problemi meccanici al pignone della ruota libera. Gli ungheresi Hugyeca e Vida furono doppiati mentre procedevano a piedi spingendo le loro biciclette verso il traguardo dopo essersi ritirati per problemi meccanici. Belloni sembrava accusare un po’ la stanchezza, mentre in prossimità del rettilineo d’arrivo Girardengo scattò e nessuno resistette al suo strappo, così concluse il giro alle 15:22 in 49’ 52’’ alla media di 25,036 Km/h.
settimo giro
La pioggia battente sferzava i visi dei corridori, ma la temperatura non si abbassò. Da un giornalista ungherese che parlava inglese De Martino apprese che al comando nei tratti pianeggianti si alternarono Brossy, Wolke e Piemontesi. Sulle salite la battaglia si faceva sempre più serrata. Belloni, che aveva brillantemente superato il momento di stanchezza, non aveva mai mollato la ruota dei primi. Il gruppo di testa, sotto gli attacchi degli italiani, si era sfilacciato e davanti c’erano Brossy, Wolke e gli italiani Binda, Girardengo e Piemontesi. Al sedicesimo chilometro, all’inizio della salita, Binda aveva attaccato partendo di potenza e distanziando gli stranieri, che non riuscivano a tenere il suo ritmo di pedalata. Girardengo fu l’unico che riuscì a contenere l’attacco del compagno, ma alla sommità della salita si trovò comunque distaccato di una sessantina di metri. Piemontesi era a 200 metri mentre Belloni, Brossy, Wolke e Aerts costituivano il gruppo degli inseguitori. Binda fermò il tempo del giro su 46’ 17’’ alla media di 29,801 km/h, il miglior tempo se escludiamo il primo giro. Seguivano Girardengo e Piemontesi ormai distaccati di 3’ 50’’.
ultimo giro
Sotto una pioggia fortissima Binda iniziò quello che possiamo definire il suo giro trionfale.
Girardengo, col polso dolorante, non riuscì a contenere l’esuberanza del corridore varesino: lo seguiva come uno scudiero pronto a difenderlo dagli improbabili attacchi degli avversari. Il problema di Alfredo Binda divenne tenere la bicicletta ben appoggiata a terra perché la pioggia, ormai fortissima, aveva trasformato i tratti in pendenza in veri e propri torrenti che diventavano insidiosissimi, con un fondo reso sempre più instabile dai sassi che venivano smossi dalla forza dell’acqua.
Geo Davidson, incurante della fitta pioggia, quando vide comparire in fondo al rettilineo quel puntino azzurro che si era fatto scuro per la pioggia, abbandonò il riparo della tettoia e si precipitò sulla linea del traguardo. Non riusciva ancora a capire chi fosse l’azzurro al comando. Era indeciso tra Girardengo e Binda, poi il dubbio si fece certezza: il modo deciso e forte con cui il corridore si appoggiava sul manubrio era tipico di Alfredo Binda.
Alle 16:55 il varesino volante fermò il cronometro sullo stupefacente tempo sul giro di 42’ alla eccezionale media di 32 km/h. Mentre guardava Binda fermarsi, un’altra maglia azzurra sbucò dall’ultima curva seguita da un’altra e da un’altra ancora: erano quelle del “Gira”, di Piemontesi e di Belloni.
Così il Corriere della Sera del 22 luglio descrisse l’arrivo di Binda: «Quando arriva Binda, finalmente all’ultimo traguardo, gli italiani sono come pazzi dalla gioia. Il campione è afferrato, baciato, portato in trionfo, mentre la folla grida “Viva Binda Viva l’Italia” e una grande bandiera tricolore è portata al centro della pista e sventolata infinite volte tra l’entusiasmo commovente del gruppo degli azzurri in festa. Arriva sbuffante, quasi piangente, Geo Davidson, il presidente della U.V.I., il quale bacia e ribacia il vincitore. Binda è freschissimo, i dolori sono passati e la malattia pure. Le manifestazioni di entusiasmo si rinnovano quando al neo campione viene porta una corona di alloro. Girardengo, che pure ha compiuto una meravigliosa corsa, giunge dopo sette minuti con la mano dolorante. Piemontesi e Belloni completano l’affermazione italiana».
IL TRIONFO
Anche Geo Davidson si commosse nel sentire le note dell’inno nazionale. Sapeva che tutte le aspettative erano state superate e che l’Italia poteva essere orgogliosa di questi suoi figli che con abnegazione, determinazione e pochi mezzi stavano facendo parlare di sé il mondo intero, tanto che sul Corriere della Sera del 23 luglio Emilio De Martino scrisse: «Il successo degli azzurri ha sollevato in ogni ambiente sportivo una grande e spontanea ammirazione. Tedeschi, belgi, francesi, svizzeri cavallerescamente hanno riconosciuto la regolarità della loro sconfitta e la grandiosità dell’affermazione italiana. Il signor Ruinari, direttore sportivo della squadra francese, ha lealmente dichiarato: “Nulla da fare contro i vostri campioni. Sono stati atleti superiori che hanno tutti distaccato di almeno una classe. Vi assicuro che nella mia lunga carriera sportiva non ho mai assistito a una così entusiastica manifestazione di superiorità. Potete andare superbi dei vostri campioni. Essi sono oggi imbattibili e non vedo chi possa preoccuparli su un circuito difficile come quello del Nürburg, dove per vincere non occorrono solo grandi doti di grimpeur, ma elasticità, stile e forza di volontà. Tutto ciò i vostri campioni hanno avuto in esuberanza”. Durante la cerimonia di consegna dei premi il signor Breton, presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale, stringendo la mano al comm. Geo Davidson ha detto semplicemente: “I vostri sei atleti sono tre volte meravigliosi”».
Quello stesso giorno, 21 luglio, la Gazzetta dello Sport uscì con un’edizione straordinaria. La sera tutta la squadra italiana si ritrovò in albergo alla cena alla quale erano stati invitati anche i due giornalisti. Lontani dal chiasso e dalle frasi di circostanza, trascorsero un momento di intimità dove finalmente poterono tirare le somme di quell’eccezionale impresa, che mai più sarebbe stata eguagliata, con quattro corridori italiani nei primi quattro posti.
Il giorno dopo partirono per rientrare in Italia dove arrivarono alla stazione Centrale di Milano nel primo pomeriggio del 23 luglio, dopo aver pernottato a Berna. Le occasioni di festeggiamento non mancarono.
Il ciclismo, che in quegli anni era lo sport nazionale, aveva scritto una delle più belle ed emozionanti pagine della sua storia, e a Roma, al Velodromo Appio, ai primi di agosto si tenne una manifestazione di festeggiamento cui presenziò nientemeno che il tenore Beniamino Gigli. Alfredo Binda indosserà la maglia iridata ancora altre due volte nel 1930 a Liegi e nel 1932 a Roma, ma quella del Nurburgring resterà un’impresa corale unica, dove a vincere fu tutta la squadra.