L’avanzamento tecnologico è spesso avvenuto per salti grazie all’ingegno di persone dalle eccezionali capacità.
Quel 1923 di salti ne fece ben due, e che salti! Il primo, in ordine rigorosamente cronologico, lo dobbiamo alla nascita della Lancia Lambda. Le ruote a sospensioni indipendenti, ma soprattutto la scocca portante, la caratterizzeranno per tutto il decennio come l’auto più innovativa. Grazie ai brevetti che Vincenzo Lancia aveva registrato a partire dal 1918 si riuscì a mettere a terra quel progetto sicuramente ambizioso ma anche tecnologicamente unico. Ancora oggi quelle innovazioni sono presenti nelle nostre macchine.
Il secondo salto fu fatto a settembre dalla Fabbrica Automobili e Velocipedi Edoardo Bianchi, che presentò un modello straordinario denominato inizialmente con la sigla “R Speciale”. Il contesto storico in cui prese avvio il progetto della R Speciale è uno dei più turbolenti e controversi della storia italiana. Durante il Primo Dopoguerra la Bianchi, come molte altre aziende italiane e milanesi in particolare, era stata oggetto di prolungati scioperi dei lavoratori, che la occuparono diverse volte. Nel 1920, durante una lunghissima occupazione, uno dei forni di verniciatura fu addirittura trasformato in forno per il pane. In quella caotica situazione apparve quasi naturale affidarsi agli Arditi – gli ex-soldati dei gruppi speciali protagonisti della Prima Guerra Mondiale, che il Regio Esercito sciolse dopo la guerra – i quali erano praticamente in massa confluiti nei Fasci di Combattimento, e che si proponevano come forza antagonista al disordine attribuito prima ai socialisti e poi, dopo il congresso di Livorno del 1921, anche ai neonati comunisti. Fu così che il fascismo si radicalizzò nella fabbrica Bianchi.
Dal punto di vista produttivo la casa milanese stava puntando molto sulla motorizzazione, anche se le biciclette restavano la parte preponderante delle vendite. Il catalogo del 1923 fu forse uno dei più poveri di modelli di biciclette nella storia del glorioso marchio milanese. Infatti, se parliamo delle biciclette da viaggio da uomo, troviamo in catalogo, oltre al modello R, solo il modello S, con la sua variante con carter chiamata Sbis, ma sappiamo che anche se non presente in catalogo continuava la produzione e la vendita del modello C di derivazione militare.
La scarsità di questa offerta è dovuta anche alla scomparsa dal catalogo del modello con freni tipo roller entrato in produzione nel 1922, ma ampiamente boicottato dal gusto italiano, che non gradiva una bicicletta di produzione nazionale che sembrava un’imitazione delle inglesi. Inoltre, dal punto di vista tecnologico sembrava una regressione rispetto al modello R, che già prevedeva le leve dei freni all’interno del manubrio.
La più bella di tutte
La creazione del modello R Speciale sembra quasi essere una reazione, un po’ bizzosa, al fallimento del roller. Almeno così un commentatore superficiale sarebbe portato a pensare, ma in realtà per realizzare questo modello si doveva rivoluzionare profondamente il processo industriale. L’assemblaggio finale del telaio, e in particolare il montaggio della freneria, richiedeva per attuare le nuove e impegnative tecniche costruttive non solo una rivoluzione dell’impianto industriale ma anche e soprattutto la formazione del personale specializzato. Di questa complessità ne sanno qualcosa oggi quegli appassionati che vogliono mettere mano su questo modello. Il maggior impegno costruttivo si riversò anche sul prezzo, superiore di circa il 50% al modello da viaggio più costoso. Per chiarezza escludiamo da questo paragone il Modello C, derivante dalla bicicletta dei bersaglieri, perché ritenuto un modello speciale offerto a un prezzo elevato, oltre 1.000 lire, proprio per le sue prerogative meccaniche.
Così la Bianchi presentò in settembre il suo modello R Speciale al salone del velocipede a Parigi che si teneva al Grand Palais e all’Olympia di Londra. La stampa restò esterrefatta dalla qualità della bicicletta italiana. I freni interni sul davanti non erano una novità da quando la Lea Francis, nei primi anni del secolo, aveva presentato il suo modello con la bacchetta del freno anteriore nascosta all’interno del cannotto dello sterzo. Ma ciò che scatenava l’ammirazione incondizionata era la temerarietà progettuale di aver “affogato” tutti i leveraggi dei freni nel telaio. Restava visibile solo un elegante registro esterno che andava dal tubo obliquo verso la parte alta della forcella posteriore.
Tutti conosciamo come i nostri cugini d’Oltralpe non siano mai stati prodighi di complimenti verso le italiche virtù, ma questa volta non poterono che definire la Bianchi R Speciale “la più bella bicicletta del mondo”. In patria, la stampa aveva toni entusiastici, come veniva pubblicato dalla rivista “Auto – Moto – Ciclo” nel dicembre del 1923, di cui abbiamo già dato conto nell’articolo pubblicato su BE52 (che lì trovate in versione completa):
«Dalle officine di Viale Abruzzi dalle quali la Bianchi ha lanciato nel mondo i suoi meravigliosi modelli è uscito un nuovo gioiello. L’ultima nata, compendio di lunghi sforzi e di studi, è la bicicletta “R” speciale, uno squisito modello che ha destato l’ammirazione dei tecnici e del pubblico nelle recenti esposizioni internazionali. Al Gran Palais di Parigi, all’Olympia di Londra questa bicicletta Bianchi ha sollevato le più unanimi manifestazioni di lode, battendo di gran lunga tutti i modelli esposti.
Da tempo L’Italia, per merito principalmente di Bianchi che può essere considerato come il caposcuola, aveva raggiunto nel mondo il primato nella eleganza della costruzione ciclistica: questa nuova bicicletta così semplice, così finita, così perfetta, è un nuovo trionfo per l’industria italiana. I modelli esteri, tanto a Parigi che a Londra, non hanno retto al confronto: L’Inghilterra stessa, un tempo maestra indiscussa nella produzione ciclistica, ha dovuto inchinarsi ammirata. La perfezione raggiunta da tempo dalla bicicletta, non dava ormai più adito a speranze di nuovi miglioramenti: tale almeno era l’opinione comune. Invece Bianchi, che per primo ha costruito i migliori modelli, Bianchi che ha reso grande in Italia e apprezzata all’estero l’industria della bicicletta, ha trovato modo di creare ancora del nuovo, del bello e del pratico sul piccolo cavallo d’acciaio. Tale è il risultato della fede, della passione, dell’amore, coi quali si studia presso la grande casa milanese, la costruzione della bicicletta».
La R speciale è stata portata in mostra con la versione a perno sfilabile, non sappiamo se ciò costituisse una novità assoluta ma certamente era una innovazione tecnica piuttosto recente e apprezzata. Infatti, nella parte dedicata alla descrizione meccanica era rivolta proprio al mozzo: «Di una grande semplicità e utilità, è pure il sistema del mozzo posteriore. Nelle attuali biciclette di lusso con copricatena, il levare la ruota posteriore per riparare ad esempio il pneumatico, o rimettere un raggio costituiva una improba impresa. Bisognava smontare addirittura il carter copricatena, il quale, una volta smosso, difficilmente può essere ricollocato a dovere. A ovviare a questo scomodo inconveniente la Bianchi ha munito il suo ultimo tipo di un mozzo posteriore che può essere sfilato allentando il dado di sicurezza.
Sfilato il perno, la ruota esce dalla forcella mentre a questa resta attaccato il pignone e la catena. Non c’è dunque bisogno di effettuare alcuna registrazione della ruota o di tirare la catena, poiché questa resta al suo posto fisso sul pignone della ruota libera. L’assieme è di estrema semplicità e praticamente solidissimo».
Nelle battute finali, si elogia il grande lavoro eseguito in casa Bianchi: «Con questi pratici nuovi dispositivi la costruzione della bicicletta fa un notevole passo verso una maggior semplicità, una migliore estetica, una maggiore comodità di smontaggio. Semplicemente con l’abolizione dei tiranti esterni dei freni, la Bianchi R speciale, acquista una squisita linea di elegantissima semplicità, che rende ancora più armonico e sobrio tutto l’assieme della macchina».
R Super e sue derivate
Nel 1923 venne avviata la produzione del nuovo modello, che fu messo a catalogo nel 1924 con la denominazione definitiva e più conosciuta di R Super. Un modello che rivoluzionò il mondo della bicicletta di lusso e che fece sembrare subito obsoleta la classica eleganza delle biciclette a leva rovescia, sino ad allora top di gamma, che negli anni successivi cederanno il passo alle biciclette a bacchetta interna dalla linea elegantemente pulita e senza fronzoli. Tutti i costruttori italiani dovettero confrontarsi con la rivoluzione imposta da Bianchi, e per non perdere il mercato delle biciclette di lusso si affrettarono a creare propri modelli con freneria interna.
La Bianchi R Super fu la capostipite di una serie di modelli di successo. Nel 1930 la R Super fu tolta dal catalogo, che così non presentava più nessun modello a bacchetta interna. Scelta questa sicuramente di tipo commerciale per permettere lo smaltimento dei fondi di magazzino. Nel 1932 comparve il nuovo modello denominato “tipo R modello Extra Lusso brevettato” che restò a catalogo sino al ’39. Nel ’35 questo modello fu usato da Bianchi per celebrare la conquista dell’Etiopia, creando quello che divenne poi noto con nome di Bandierina, in quanto compariva il Tricolore sulla parte alta del patacchino posto al centro del manubrio.
Dal ’40 il modello prese il nome di “Impero – modello brevettato extra lusso”. Ovviamente la denominazione Impero fu dismessa dal ’45 e infatti nel catalogo del ’46 comparve la Super Extra, cui spettò il compito di portare questa serie verso l’estinzione, che avvenne intorno alla metà degli Anni ’50, quando ormai i freni funzionavano a filo e i pochi nostalgici si dovevano accontentare delle bacchette esterne.
D’altra parte l’attenzione del pubblico era ormai rivolta solo ai motori. Aquilotti, Vespe e Lambrette prima e Fiat 500 poi catturarono l’attenzione di un paese che si stava velocemente avviando verso la modernità grazie a quel boom economico nel quale la bicicletta da turismo rappresentava solo il passato. Oggi le Bianchi R Super e derivate sono tra le biciclette più ambite dai collezionisti, sia per i loro pregi meccanici sia anche per la loro rarità legata al fatto che, essendo molto costose, la produzione non raggiunse mai numeri molto elevati. A distanza di un secolo, quindi, vale la pena di omaggiare la “bicicletta più bella del mondo”, un modello che ancora oggi è una pietra miliare nella storia della produzione ciclistica.