Verona è una città fortezza: mura, mura e ancora mura. Romane, comunali, scaligere, veneziane, austriache.
Le mura sono tanto grosse che nemmeno si vedono, sono enormi. Cosa c’entrano le mura di Verona con la storia della bicicletta? Ci viene in soccorso un grande personaggio che di fantasia ne aveva da vendere, e in effetti l’ha venduta. Un grande personaggio degli albori del ciclismo veronese. Un grande personaggio che se usciva dalle mura di Verona lo faceva col velocipede. Stiamo parlando di Emilio Salgari.
Salgari ebbe il grandissimo merito di interpretare il mondo in chiave di avventura: in un periodo in cui si emigrava all’estero col bastimento per le Americhe per non morire di fame, lui con le sue fantasie faceva concepire il viaggio oltremare come impresa e fantasia. Salgari era un grande fumatore ma anche un grande sportivo, spadaccino, ginnasta e ciclista. Come schermidore, esordì distinguendosi in alcuni tornei per dilettanti organizzati dalla società Bentegodi. Mise da parte la spada dopo aver duellato, vincitore, con un giornalista de “L’Adige”, tale Giuseppe Biasioli. Le sensazioni negative derivanti da quello scontro all’arma bianca lo indussero a lasciar perdere tale attività. Come ginnasta, invece, partecipò a diversi eventi organizzati sempre dall’instancabile Marcantonio Bentegodi, pioniere della promozione dello sport a Verona al quale, oggi, è dedicato lo stadio cittadino.
A noi però interessa in modo particolare il Salgari ciclista, con tutto quello che ne conseguì. Rientrato a Verona, sua città natale, dopo un periodo di studi a Venezia, fu il primo ad aprire qui un’attività di noleggio di velocipedi nel 1882, un anno prima di esordire come scrittore su “La Nuova Arena” con i racconti de “La Tigre della Malesia”, che andranno a comporre il suo primo libro dedicato a Sandokan e compagni. A lui si deve, probabilmente, l’adozione della bici nella società sportiva di Bentegodi, nel 1885. Sempre nel 1885 fondò il Circolo Velocipedistico Veronese, seconda società sportiva nata in città dopo il Veloce Club.
Tra le due società nacque subito una bonaria rivalità, con ogni probabilità alimentata dallo spirito volitivo di Salgari. Tra gli atleti del CVC si distingueva solo tale Belloni. Lo stesso Salgari, che non era per nulla fazioso e amava lo sport in generale, apprezzava molto i bravi e affermati ciclisti del Veloce Club: i fratelli Valletti, vincitori di tante gare; Tormene, uno dei più valenti campioni di Verona; il brillante Cinquetti, il fiero Molani, l’infaticabile Caloi e il superbo Carlo Cocco. Qualche anno più tardi il Circolo Velocipedistico Veronese si fuse con il Veloce Club, ma nel frattempo Emilio Salgari aveva deciso di abbandonare la pratica sportiva per dedicarsi alla scrittura.
L’INVENZIONE DEL SECOLO
Negli anni in cui la bicicletta lo coinvolse a Verona, comunque, Salgari non mancò di stupire i propri concittadini con curiose trovate. La domenica mattina nella zona di San Giorgio e Madonna Del Terraglio, lo si poteva vedere in bicicletta con un turbante in testa e con una scimitarra mezza arrugginita, tra le tante che comprava dai rigattieri. E scommettiamo che, quando usciva, andava sul lungofiume in direzione maneggio del boschetto fino ad arrivare all’isola che c’è in mezzo al fiume, dove d’estate all’imbrunire il cielo diventa grigio, e nel silenzio e nell’umidità del tardo pomeriggio risuonano solo le grida di uccelli e animali invisibili. È il Borneo descritto perfettamente da Salgari, che pur non ci era mai stato, ma che da quelle suggestioni urbane trasse ispirazione. Un po’ come William Shakespeare, che aveva descritto benissimo, nella sua immortale tragedia “Romeo e Giulietta”, quella Verona che mai aveva visto di persona: in entrambi i casi la linea di demarcazione tra realtà e fantasia sono le mura della città.
La bicicletta, poi, era considerata in quegli anni “L’invenzione del secolo”, al punto che fece scrivere a Salgari il romanzo “Al polo australe in velocipede”. Ci sarà poi un altro autore che si ispirerà a Salgari in tema di romanzi che raccontano viaggi in bicicletta: si tratta di Jerome Klapka Jerome, autore di “Tre uomini in barca” (1889), che scriverà poi il seguito “Tre uomini a zonzo” (1900), storia di tre amici che su un tandem e un velocipede girano la Germania e la Foresta Nera. Questo libro, pur essendo di matrice umoristica, diventerà una vera e propria guida turistica, utilizzata come tale sino agli Anni ’30.
Si ringrazia: Paolo Maria Caserta