In molte attività dell’umana esistenza serve avere visione. Tra queste ne segnaliamo un paio che hanno a che fare con questa intervista. C’è la visione dell’arbitro, che deve vedere chiaramente, per tempo, interpretare e decidere. E c’è la visione del sognatore, del pazzo con la lanterna in mano di Nietsche, che cerca Dio per la strada e vede il futuro prima degli altri.
Entrambi questi tipi di visione fanno parte della vita di Giancarlo Brocci, l’uomo che oltre vent’anni fa immaginò un mondo del futuro nel quale esistevano le ciclostoriche. Già, perché se oggi il panorama della bicicletta d’epoca è così cambiato, si è così aperto a ventaglio su tante fasce d’interesse, coinvolgendo anche chi qualche anno fa mai si sarebbe immaginato d’indossare maglie di lana per inforcare biciclette vecchie il doppio di lui, il merito va alla madre di tutte le ciclostoriche, L’Eroica, la cui prima edizione si tenne a Gaiole in Chianti il 5 ottobre del 1997 e vide alla partenza ben 92 ciclisti più o meno sgangherati ma motivati. Oggi al via si presentano in 8000, da tutto il mondo e a numero chiuso, e di Eroica se ne ne tengono dieci, da aprile a ottobre. Le ciclostoriche, solo in Italia, sono oltre 140. È esploso un mondo. E nessuno ha la minima intenzione di fermare questo ritorno al passato.
BE: Giancarlo Brocci e le biciclette: come, quando e perché.
Giancarlo Brocci: è una passione che ha sempre fatto parte della mia vita da bambino, di paese, ereditata da mio padre e dai nonni. C’era un triangolo delle Bermude, a Gaiole, tra il distributore dei miei genitori, il barrino del paese e il barbiere. Il barbiere era «coppiano» in terra di Toscana, ai tempi delle sfide con Bartali. La nostra è una zona vicina al Valdarno, terra di corse e corridori. Insomma, una passione naturale che mi ha visto fin dall’inizio organizzare delle cose. La prima fu una gara di Allievi nel 1973. Però non ho mai corso. Ho giocato a calcio, ma a bassi livelli, mentre come arbitro sono andato molto meglio, al punto che per qualche anno è stata una mezza professione.
BE: Tu Giancarlo ti definisci prima di tutto “un letterato”. Come si appoggiano le lettere sulle biciclette? Da dove si parte a raccontare la storia?
GB: Va detto che tutti i grandi scrittori italiani del Novecento hanno fatto palestra raccontando di ciclismo. Non solo i grandi giornalisti sportivi, come Brera, ma anche firme eccellenti tout court: Montanelli, Bocca, Pratolini, Natas Salvalaggio, Buzzati, Vergani. Grandi scrittori mandati a scrivere di ciclismo. A partire da Bartali e Coppi, che erano Ettore e Achille di quei tempi. Leggere questi grandi autori, che commentavano quello che era all’epoca il primo sport, ha acceso anche una passione per la letteratura, da leggere e da scrivere.
BE: E infatti c’è il libro su Bartali, scritto da te con lui ancora vivente. Davvero il duello sportivo del secolo non lo vinse Coppi?
GB: sì, non lo vinse Coppi. E lo dico io che nasco coppiano e alla fine arrivo a riconoscere che quel duello Bartali, come minimo, lo pareggiò. Perché poi Coppi è stato un mito, ma la realtà è che dobbiamo ringraziare il grande Gino se quella sfida l’abbiamo vissuta, perché lui la iniziò nel 1946 quasi da ex-ciclista, a 32 anni, e per cinque anni riuscì a competere con un corridore più giovane. Bartali era, per struttura, un ciclista ideale per vincere il Tour de France. La guerra gli levò la soddisfazione di tante altre vittorie.
BE: Arriviamo a oggi, o meglio a ieri: come parte, in Toscana, l’idea de L’Eroica?
GB: Più che in Toscana parte dal territorio di Gaiole, dall’idea del Parco Ciclistico del Chianti, e dall’incredibile patrimonio di strade bianche che non ha eguali in Italia. Il principio che volevo affermare è che questa terra fosse un luogo straordinario per andare in bicicletta, anche per la rete stradale a bassissimo traffico che collega una miriade di frazioni. A ogni curva ti viene proposto un panorama, uno scorcio di grande bellezza, senza che ci siano difficoltà altimetriche importanti. Pensa che tra Siena e Montevarchi, ovvero la statale che passa per Gaiole, ci sono 46 chilometri senza un semaforo né uno stop. Magari da residente non te ne accorgi neanche, ma quando venne qui Luigi Agnolin, da Bassano del Grappa, me lo fece notare subito. E poi la Toscana è uno degli ombelichi del ciclismo italiano. Non per niente la prima gara fu la Firenze – Pistoia, nel 1870, e qui sono nati tanti campioni, da Bartali a Martini, da Nencini a Ballerini, da Chioccioli a Bettini, da Bartoli a Cipollini.
l’idea nacque per promuovere un territorio e uno stile di vita
BE: Quali sono le tappe cronologiche che hanno portato alla prima edizione?
GB: Nel ’92 esce un mio articolo sul Parco Ciclistico del Chianti, poi nel 1995 c’è la prima Gran Fondo dedicata a Gino Bartali, su strada normale: 130 partenti e solo 4 all’arrivo del Lungo, tanto per far capire quale fosse l’impegno. L’anno dopo sono 260, e nel ’97 diventano 520. Qui organizzo la prima Eroica, aperta a tutti ma dedicata soprattutto a chi aveva fatto la Gran Fondo. Con le strade bianche e la priorità a chi fosse venuto con le bici e i vestiti d’epoca. Non c’era un ordine d’arrivo ma premiavamo solo il valore storico dei partenti. Il clima di quella prima edizione fu un po’ del tipo: “Ok, Giancarlo, ti si vuole tutti bene ma l’idea è un po’ bizzarra”. Direi che poi le cose hanno preso una piega differente.
BE: Quando arrivarono i primi risultati?
GB: Non furono immediati. Decisi di tenere L’Eroica a inizio ottobre perché alla fine della stagione c’erano meno appuntamenti e allora fu facile promuoverla. Nei primi due anni L’Eroica ottenne le copertine di riviste mensili importanti. Dopodiché l’interesse calò ma ci furono dei passaggi importanti che fecero crescere in maniera determinante il progetto. Il primo fu il percorso permanente, del 2002, un’idea che prese corpo grazie anche Fiorenza Guerranti, presidente della Azienda di Promozione Turistica di Siena, che mi spinse a valutare un percorso lungo che uscisse dal Chianti e si spingesse nelle Terre di Siena, fino a Montalcino. Da lì partì tutto, perché la visione era quella di tutelare le strade bianche, che fino ad allora venivano asfaltate in caso di lavori mentre oggi sono un patrimonio da tutelare. Così come sono un patrimonio i cicloturisti, che hanno trovato in questa terra un luogo meraviglioso per andare in bici. E qui tornò utile la mia esperienza di arbitro di calcio, perché avendo girato tutti i campi da calcio della provincia conoscevo molto bene anche le sue strade. Fu così che L’Eroica iniziò a diventare visibile tutto l’anno, per tutti.
Il secondo step fu l’arrivo del primo sponsor importante, Brooks, nel 2004. Selle Royal, che aveva appena acquistato il marchio, voleva rilanciarlo e trovò ne L’Eroica l’evento perfetto. Si presentarono alla partenza con 15 giornalisti internazionali, e la forza della loro scrittura, sostenuta dalla grande bellezza di quello che succedeva a Gaiole e dintorni, fece conoscere L’Eroica in tantissimi paesi del mondo, conferendole un rango superiore. Poi, nel 2007, è arrivata la mia idea, che rivendico fortemente, d’invitare i professionisti sulle strade bianche, con la Montepaschi Eroica del 9 ottobre. Questo ha creato un collegamento definitivo con il mondo ciclistico tradizionale, dando importanza non solo all’evento ma anche alle strade bianche che finalmente – come previsto – iniziarono a essere tutelate.
Infine, nel 2008, abbiamo dato la definizione completa de L’Eroica imponendo ai partecipanti di correre solo con le biciclette d’epoca e non più anche con le bici moderne. Una decisione che castrò il numero d’iscritti, che passarono in un solo anno da 3200 a 2400. Nel 2010 diventarono 3400, nel 2011 andammo oltre i 4000. Dal 2012 imponemmo il numero chiuso e oggi sfioriamo, tra tutti, gli 8000 partecipanti.
l’obiettivo era quello di garantire sviluppo e prospettiva a questo meraviglioso territorio del chianti
BE: Numeri impressionanti. Era quello che immaginavate o avete superato ogni vostra aspettativa?
GB: Quello che rivendico fortemente è l’aver creduto in questo territorio a partire dall’idea del Parco Ciclistico del Chianti. Un’idea fortissima che vedeva la mia zona come il luogo ideale per portarci dei turisti in bicicletta. E questo per dare una prospettiva di sviluppo a chi viveva da queste parti, per fare in modo che il futuro non fossero soltanto capannoni, che tanto poi le persone erano portate lo stesso a spostarsi in città più grandi e abbandonare le loro casa. Io ho sempre creduto nel valore di questo territorio. Nella sua bellezza, nella sua accoglienza, nella sua capacità enogastronomica. Oggi Gaiole in Chianti ha recuperato popolazione e c’è una marea di persone che viene qui in vacanza. Nel ’98 non avevamo un posto letto decente, oggi ne abbiamo 1140, tutti ricavati da strutture storiche preesistenti.
L’Eroica ha creato posti di lavoro e contribuito a mantenere in vita lo stile di vita che da queste parti è sempre esistito e che rischiava di sparire.
BE: Poi c’è la questione dell’approccio sportivo, che non è secondaria…
GB: Esatto. In quasi tutti i casi, lo sport è concepito per far emergere una stretta cerchia di campioni che poi diventano “prodotti” all’interno di quella che è una vera e propria azienda. Succede per esempio con gli sport di squadra, dove tutti giocano ma l’obiettivo è quello di selezionare i più bravi e farli diventare professionisti. Con L’Eroica abbiamo ribaltato questo concetto, proponendo un approccio sportivo che fosse quello di partecipare ai propri ritmi, senza imporre per forza il concetto di vincere a tutti i costi. Oggi abbiamo gente che fa il “lungo” con bici molto vecchie e ci mette un’eternità, ma anche chi ripiega su percorsi più brevi perché vuole godersi il paesaggio, la compagnia e i ristori. Credo che anche questa sia una delle chiavi del successo.
BE: Possiamo quindi dire che L’Eroica sia in un certo senso un percorso di tutela?
c’è un grande bisogno di uno sport diverso, dove non serva per forza vincere ma sia bello anche solo partecipare
GB: Certo. Nel 1992 non potevo prevedere che venticinque anni dopo saremmo stati 8000, ma avevo ben chiaro quale fosse la proposta, quali le esigenze che avrebbe potuto assolvere e quale tipo di patrimonio – storico, paesaggistico, enogastronomico, culturale – avrebbe potuto valorizzare. È una questione di visione. E ti dico che oggi ne ho un’altra, anche se non so come e quando si concretizzerà: abbiamo bisogno di un ciclismo più naturale e pulito, praticato da ragazzi più “normali” e sorridenti e mangianti, lontano dalle alchimie mediche. È solo questione di tempo, ma sono sicuro che arriverà.
BE: Oggi il ciclismo d’epoca, inteso anche come collezionismo, è diventato un po’ più “pop”: più diffuso, più praticato, più seguito. Quanto ha inciso L’Eroica in questo cambiamento?
GB: Ti do un dato: nel 2003 ho fatto la mia prima Parigi-Brest-Parigi e ho conosciuto in ingegnere fiorentino che mi ha raccontato di un capannone pieno di “vecchie bici” di proprietà del suo meccanico. Tornati in Toscana siamo andati a vederlo e abbiamo constatato che le bici erano state tutte segate in due per fare spazio… Oggi questo non succederebbe più, soprattutto nel nostro territorio, perché è diventato un assunto che la biciclette d’epoca sia un oggetto di valore.
BE: Ultima domanda: perché hai deciso di chiamarla “Eroica”?
GB: Lo devo a uno spunto che mi ha dato il mio amico Luigi Agnolin, arbitro di grandissima caratura internazionale (arbitrò tra le altre la finale di Coppa dei Campioni del 1987, ndr). Lui è di Bassano del Grappa, una terra che ha pagato un conto salato alla Prima Guerra Mondiale e che ha, verso l’ossario del Monte Grappa, percorsi chiamati “eroici”. Fu lui, in visita qui a Gaiole, a dirmi che avrei dovuto chiamare questa corsa «L’Eroica». Tra l’altro era questo il tipo di ciclismo di cui parlavo agli altri soci dell’associazione Parco Ciclistico del Chianti, perché si chiamava proprio così: eroico. Penso sia stata un’intuizione perfetta, anche per l’eroismo che serve per portare a termine l’impresa del percorso lungo a Gaiole.
BE: Infine, un consiglio a chi vuole avvicinarsi al mondo del ciclismo d’epoca.
GB: Venire a vedere e toccare con mano in uno dei tre giorni de L’Eroica. Non solo per gli eventi o per la corsa ma soprattutto per la gente. Dentro c’è la giusta dose di nostalgia, di tradizioni, di tutela ambientale, di radici, di tutte quelle cose che ti stimolano buoni sentimenti e che per tre giorni vengono riproposte in un mix perfetto che t’invoglia a voler partecipare tu stesso. Questo è il bello de L’Eroica. Un valore inestimabile che è talmente efficace, pervasivo e ispiratore da aver portato quella pazza idea che ho avuto nel 1992 a essere declinata oggi, nel 2018, in oltre 140 ciclostoriche in tutta Italia.
Foto credits: Paolo Penni Martelli
Il percorso
L’Eroica si articola su ben cinque percorsi differenti che vanno dal più breve di 46 km al più lungo, quello veramente “eroico” di 209 km (di cui 112 di strade bianche). Un’offerta notevole che permette a ciascun partecipante di vivere la ciclostorica come meglio crede, approfittando delle bellezze paesaggistiche del Chianti e dei tanti – e prelibatissimi – ristori. Il percorso de L’Eroica è permanente (ovvero segnato su strada e tutelato) dal 2002, scelta che è stato un fattore determinante per la crescita della manifestazione e di tutto il movimento.