Ironia della sorte, la copertina di questo numero di Biciclette d’Epoca avrebbe dovuto essere in ogni caso dedicata a Felice Gimondi già prima che venisse a mancare, improvvisamente, il 16 agosto scorso.
L’idea era quella di andare a trovarlo a casa sua, dopo le ferie, per raccogliere un po’ di materiale e raccontarvele sulle pagine della rivista. Sfortunatamente, oggi siamo qui a raccontare una storia differente, che ha colpito tutti come uno schiaffo improvviso. A rileggerla, però, la storia di Gimondi è gigantesca. Gigantesca nelle vittorie e gigantesca nelle sconfitte contro il Cannibale Eddy Merckx. Anzi, il grande affetto che ha avvolto il campione di Sedrina nella sua carriera, forse, è anche dovuto alle grandi difficoltà che ha dovuto affrontare. Gli italiani prendono sempre a cuore coloro in cui riescono a riconoscersi, e farlo in qualcuno che dà sempre il massimo ma che spesso si scontra con qualcosa di superiore e invincibile è senz’altro molto facile per tutti. A chi non capita mai?
Gimondi, però, non s’è mai accontentato di essere l’eterno secondo e ha fatto del suo «Non mollare mai fino alla fine» un motto che è stato la linea guida di tutta la sua carriera e della sua vita. Questo atteggiamento è stato descritto molto bene da Enrico Ruggeri nella canzone “Gimondi e il Cannibale”, che tratteggia perfettamente la psicologia della competizione con il campione belga e la mescola con le emozioni quotidiane che proviamo tutti noi. Anche l’Eroica di Gaiole in Chianti, di cui parliamo in questo numero, ha voluto celebrare Gimondi e il suo motto, dedicandogli il percorso dei 106 km a cui ha preso parte la figlia Norma – a cui mandiamo un abbraccio – con tanti corridori in maglia Salvarani. Persino la Nazionale ha voluto il motto di Gimondi sulle maglie, nello sfortunato Mondiale inglese perso da Matteo Trentin in volata.
Ecco, Felice Gimondi era questo: un testimone potente della voglia di dare il massimo. Sempre, in ogni circostanza, senza mollare mai e poi mai. È entrato poderosamente nella cultura di massa, con le biglie – in spiaggia volevano tutti la sua – e persino con la filastrocca che tutti abbiamo cantato. «Arriva Gimondi», diceva. E adesso che se n’è andato in fuga, «Evviva Gimondi» è tutto quello di giusto che resta da dire.
Alessandro Galli
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