Cinque anni fa, di questi tempi, andava in edicola il primo numero di Biciclette d’Epoca di cui mi sono occupato.
Trenta ne erano stati fatti prima. Il numero 60 che avete oggi tra le mani, quindi, ha alle spalle mezza vita di quello che è stato il percorso della nostra rivista. E dico “nostra” perché quella che abbiamo organizzato in questi anni – con calma, pazienza e si spera una certa visione – è stata una crescita collettiva che ha avuto, come obiettivo, quello di fare da collante a questo mondo, cercando di coinvolgere sulle nostre pagine tanti appassionati di ciclismo d’epoca, sia che si parli di ciclostoriche, di biciclette, o di grandi personaggi e campioni. Queste sono, in buona sostanza, non solo le rubriche in cui si articola Biciclette d’Epoca, ma anche gli ambiti in cui vive l’interesse per il ciclismo vintage. Ambiti che spesso si sovrappongono e si mescolano, perché si tratta di un “liquido culturale” ribollente nel quale molti di noi interpretano di volta in volta ruoli diversi, a volte contemporaneamente.
Questi cinque anni sono stati lunghi e bellissimi, un costante percorso di crescita personale e professionale e di approfondimento, cercando di stare dietro ai cambiamenti di questo mondo, a volte diretti da fatti più grandi di noi – come il Covid – a volte per l’evoluzione continua che ha portato, oggi, a un interesse generale più grande rispetto a quello di cinque anni fa. Il mondo del vintage è diventato sempre più pop, perché la fascinazione dei numerosi eventi – in primis ovviamente l’Eroica – ha portato gli organizzatori e tante aziende a stendere un profumo d’epoca su numerose iniziative, intercettando l’interesse vasto e profondo che c’è verso un approccio di questo tipo. Abbiamo scritto più e più volte del valore che hanno, nella nostra quotidianità caotica e iperconnessa, le esperienze delle ciclostoriche, che riportano indietro a ritmi più lenti e sostenibili, tanto per l’ambiente quanto per l’anima. Questo, e il contatto fisico e manuale che si ha con la propria bicicletta, credo siano gli ingredienti di questo successo.
Biciclette d’Epoca, insomma, ha fatto il suo percorso, ampliando il proprio pubblico e la propria famiglia, che definire di “collaboratori” sarebbe riduttivo. “Amici”, come minimo, “fratelli”, in molti casi, in un modo unico che mescola leggerezza e profondità in questa grande e inintelligibile corsa a tappe che è la vita. Abbiamo voluto tornare a quel primo numero 31 riproponendo i colori di quella copertina, che per un banale senso di nostalgia e appartenenza sono quelli che sentiamo più nostri. Uno sguardo al passato di una rivista che si occupa del passato è un po’ un cliché, un po’ un tributo, un po’ un “inside joke” del quale non tutti si accorgeranno (ma almeno i 12 lettori di questo editoriale li abbiamo avvisati 🙂 ).
Ma anche se noi ci addentriamo nelle pieghe del tempo per pedalare insieme sulle strade della storia, c’è sempre un futuro verso il quale guardare con fiducia, e lavoriamo per cercare di proporvi una rivista che sia sempre più rappresentativa del nostro mondo, perché – in estrema sintesi – pensiamo che la nostra mission sia proprio quella di raccontarne al meglio le bellezze.
Alessandro Galli
info@biciclettedepoca.net