Tra le fortune che ho immeritatamente avuto lungo il mio percorso da eterno studente c’è stata quella, nell’inverno del 2019, d’intervistare Ercole Baldini insieme agli amici Alessio Stefano Berti e Guido P. Rubino (che è l’autore della bellissima foto che vedete in questa pagina oltre che di molte altre che avete apprezzato negli anni sulla nostra rivista).
Ascoltare i grandi protagonisti del nostro ciclismo, siano essi corridori, direttori sportivi o imprenditori, è sempre un’esperienza molto bella, direi persino formativa, perché le storie che raccontano – sempre con grande lucidità, e Baldini non fece eccezione nemmeno quella volta – sono storie che mescolano passione, determinazione, giochi della sorte, amore e rabbia, il tutto per cercare di raggiungere traguardi importanti che, all’epoca ma anche oggi, hanno portato sia loro sia il nostro Paese ai massimi livelli possibili. Per questo trovo queste chiacchierate sempre di grande ispirazione. Credo valga un po’ per tutti i settori ma il ciclismo, in particolare, ha una storia gloriosa, importante, che oggi si è un po’ persa via pur mantenendo punte di grandezza notevoli.
Ercole Baldini se n’è andato il 1° dicembre ’22, proprio nel mese in cui, ironia della sorte, come Biciclette d’Epoca abbiamo deciso di tornare a parlare delle sue imprese e di dedicargli la copertina. Chi crede alla sincronicità direbbe che non può essere un caso. Trovate un lungo articolo dedicato alle storie italiane del Record dell’Ora – quelli prima di Moser e Ganna – a partire da pagina 10, e naturalmente Ercole è un grande protagonista. Di certo, con Baldini se ne va un pezzo importante della nostra memoria sportiva, un campione amatissimo per i suoi risultati e per la sua umanità che di certo non verrà dimenticato. È stata l’ultima partenza dell’Elettrotreno di Forlì. Ai figli Mino e Rizziero, sempre molto disponibili con noi, le mie condoglianze e quelle di tutta la redazione.
C’è poi un altro addio, in questi sciagurati giorni di fine 2022, ed è quello – drammatico, inaspettato, crudele – a Davide Rebellin, travolto e ucciso da un camionista a pochi chilometri da casa, mentre stava pedalando sulla sua bicicletta gravel in una rotonda, poco prima di entrare in un’area di sterrati dove nessuna auto avrebbe potuto investirlo. Tutto il mondo del ciclismo ha pianto Davide, campione eterno che aveva smesso di correre proprio pochi mesi fa, al termine di un’infinita carriera da professionista che l’aveva portato a chiudere a ben 51 anni. Ma la strada è la stessa per il professionista e l’amatore, per il pendolare e per il bambino che va a scuola, per il pensionato che va in posta o chiunque di noi che va a fare la spesa. La morte di Rebellin è la stessa, spietata, identica, di uno qualsiasi degli altri oltre 200 ciclisti che ogni anno muoiono sulle nostre strade.
Al di là dell’indignazione e del dolore, comprensibilissimi, serve un patto sociale che metta a fuoco il grosso problema di tutela dei più deboli che la strada porta con sé, soprattutto in Italia. Si parte dall’attenzione nel muoversi e dal pretendere soluzioni che preservino i più fragili, pedoni e ciclisti. Senza retorica, ma con il cuore spezzato per la sorte di Davide e gli altri, davvero ciascuno di noi può cominciare da qui.
Alessandro Galli
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