Un anno fa, di questi tempi, usciva il primo numero di Biciclette d’Epoca di cui mi sono occupato.
È stato un anno lungo, bello, bellissimo, alla scoperta di storie e luoghi meravigliosi ma – come sempre – soprattutto di persone. Persone che hanno una grandissima passione, una volontà ferrea e la voglia e l’entusiasmo di aggiungere qualcosa di proprio a questo fantastico mondo. Ci sono tanti modi per farlo, quando si parla di ciclismo d’epoca, ma dopo aver attraversato quattro stagioni, aver percorso un bel po’ di chilometri e fatto tantissime chiacchiere mi rendo conto, oggi più di ieri, di quanto la primavera inoltrata sia il grande risveglio di tutto questo movimento, che entra nel vivo con la stagione delle ciclostoriche. Tante, forse troppe, ciascuna fatta a proprio modo e con un grande desiderio da parte di tutti di partecipare.
Un desiderio che prende sempre di più anche gli sportivi di una volta, quelli di cui raccontiamo le imprese su queste pagine, che sempre più spesso decidono di partecipare a questi appuntamenti. Uno di loro è Francesco Moser, a cui abbiamo dedicato la copertina di questo numero e anche una lunga intervista che spero apprezzerete. Se devo scegliere uno sportivo che incarni al meglio i valori attorno a cui si fonda il movimento delle ciclostoriche, questi è senz’altro Moser. Un vero testimonial di tutta la faccenda, e non solo perché ne organizza lui stesso una (la Moserissima) ma perché esalta con il proprio esempio il fortissimo legame che il ciclismo storico ha con il territorio che attraversa, che viene celebrato e valorizzato attraverso la cultura del paesaggio, delle eccellenze enogastronomiche, dei valori semplici, conviviali che rendono partecipare a una ciclostorica così incredibilmente bello e rilassante. Un viaggio nel tempo, all’indietro, che non si esaurisce certo con l’abbigliamento o il fatto di avere una bici d’epoca, ma che è sempre più filosofia di vita.
Ecco che quindi, a un certo punto, è stato un po’ strano trovarmi a parlare con il corridore più vincente nella storia d’Italia e avere l’impressione di avere davanti un agricoltore prestato al ciclismo, e non viceversa. Come se la parentesi sportiva – dominante, storica – di Francesco Moser fosse stata solo un piacevole diversivo all’interno di un disegno più grande. Un disegno dove uomo e terra sono uniti da un unico, indissolubile legame che forse abbiamo fin troppo perso per strada e che questo universo montante delle ciclostoriche sta lentamente ma poderosamente risvegliando.
Forse è lì, nel fatto di attraversare il mondo che ci circonda al prezzo del nostro sudore ma senza l’ansia di vincere, che si annida la forza contagiosa del cicloturismo d’epoca, che è soprattutto un atto d’amore verso i nostri luoghi del cuore.
Alessandro Galli
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