All’inizio del secolo scorso il ciclismo viveva una fase pionieristica. Nelle regioni del Nord Italia, in particolare, gli abitanti cominciavano a conoscere e riconoscere i primi grandi ciclisti tricolori attraverso le numerose corse che si disputavano ogni fine settimana.
Le fugaci apparizioni nei vari comuni attraversati dalle corse su strada dell’epoca diedero vita a numerosi aneddoti sportivi. Il passaparola nei caffè, nelle botteghe e nei circoli contribuiva a formare e a diffondere miti e leggende sui personaggi e sulle imprese ciclistiche. Uno dei primi e più longevi fu sicuramente il “Piciot” (ribelle/scaltro in piemontese) Giovanni Gerbi. Nato nel maggio del 1885 ad Asti, rivelò di sé quanto sin da fanciullo fosse irrequieto e indomito. Come molti ragazzini dei secoli precedenti al nostro, cominciò presto a lavorare: prima come garzone di negozio, poi sarto, fornaio, contadino, poi di nuovo sarto, per entrare infine nell’officina di un meccanico.
È proprio lì che nacque la sua passione per la bicicletta. Nel 1900, a soli 15 anni, la prima vittoria nel Campionato Astigiano di resistenza. Nel 1901 si trasferisce a Milano lavorando come garzone in Porta Ticinese, per partecipare al pomeriggio alle numerose corse in Piazza d’Armi. Quell’anno segnò la sua definitiva ascesa: partecipa a 13 corse, ne vince 11.
Giovanni Gerbi fu persona e corridore rude, pronto a vincere con ogni sotterfugio, a cui venne ben presto dato il nomignolo di Diavolo Rosso per via di una sua rocambolesca irruzione in una processione nel Monferrato, in cui il prete sbigottito esclamò in dialetto: «A chi l’è cul là? Al Diau?». Rossa era la maglia che indossava in gara, rossa divenne ben presto anche la sua bicicletta. Già nel 1910, mentre ancora correva, cominciò a produrre biciclette col suo nome in una piccola fabbrica in corso Indipendenza a Milano. Dopo la Grande Guerra, nei primi Anni ’20, la produzione di Cicli Gerbi ripartì nella natia Asti, in via Cavour 20. A Cicli Gerbi venne affiancato il marchio Cicli Asti con cui venivano marchiati i modelli economici della casa. Tra le biciclette uscite dalla fabbrica astigiana vi è anche quella che qui vi presentiamo e che ha subito tante vicissitudini in quasi un secolo di storia, prima di incontrare un esperto appassionato che l’ha adottata e restaurata. Il suo attuale proprietario, con amorevoli cure e abili tecniche di restauro, ha restituito a questa “diavola rossa” l’anima che l’incendio e il crollo del fienile in cui si trovava rischiavano di strapparle per sempre.
USCITA DALL’INFERNO
Il telaio è a congiunzioni visibili con serie sterzo integrata, tubi di grossa sezione e il carro posteriore a doppio diapason. Al nodo sella la vite di serraggio passa all’interno dei tubi del diapason. Sulla scatola del movimento centrale è presente un oliatore, le asole dei parafanghi sono saldate sui foderi, i ferma pompa sul lato posteriore del tubo verticale. La forcella ha testa a mezza goccia con foderi grossi e asole al di sopra dei forcellini. Per quanto riguarda l’allestimento, è stato possibile recuperare praticamente tutto, comprese le ruote e il manubrio che erano stati schiacciati dal crollo avvenuto a seguito dell’incendio. È stata completata con una sella dell’epoca, poiché quella originale è andata carbonizzata.
Il movimento centrale ha perno marcato Gerbi in corsivo, così come le calotte. Le pedivelle non presentano scanalature, sono marcate Asti e sono abbinate a una corona 44 denti. I pedali a sega coevi hanno centro tornito e presentano un oliatore a fascetta. Le ruote sono composte da mozzi giroruota Gerbi con oliatori, i cui coni hanno datazione 1925, e montati su cerchi stretti per gomme smontabili tipici delle biciclette mezza corsa dell’epoca, fermati ai forcellini mediante dadi a farfalla di generose dimensioni, i classici “galletti”. Una ruota libera da un lato e un pignone fisso di altra dentatura dall’altro fotografano bene l’epoca ciclistica.
L’impianto frenante è composto da una coppia di freni marcati Gerbi – Asti, fissati al telaio tramite fascette e con porta pattini a mensola, abbinati a una coppia di leve in ferro coeve. Il manubrio di tipo non girevole è fissato tramite espander e ha una piega stretta e profonda tipica nel periodo, soprattutto in Italia, che reca ancora una importante cicatrice dovuta al crollo del fienile bruciato.
Difficilmente decidiamo di inserire restauri invasivi nelle pagine di questa rivista, sia per poter offrire immagini autentiche di biciclette originali, sia per stimolare l’appassionato a conservare il più possibile quanto rinvenuto. Tuttavia, dato che le premesse iniziali consistevano in una bicicletta emersa da un edificio crollato a seguito di un incendio, vediamo in questo restauro una indomita passione e una voglia di vincere la sfida a ogni costo. Una voglia che auguriamo a ogni lettore e che in fin dei conti è proprio la stessa che il Piciot astigiano metteva nelle sue gare.
Collezione e Foto: Alessandro Morani A cura di: Luca Pit FB: registrostoricocicli.com
Scheda tecnica
Marca: Gerbi
Modello: Tipo S
Anno: 1926
Telaio: in acciaio
Trasmissione: giroruota
Ruota libera: Perry
Pedivelle: marchiate Asti
Freni: a fascetta Gerbi – Asti
Mozzi: Gerbi con oliatore
Pedali: a centro tornito con oliatore
Sella: Torino in pelle