Nell’annuncio del protagonista del racconto di Kafka “La Partenza” risuona l’universale della condizione umana, quell’andar via a cui non occorre una destinazione, poiché è già meta di per sé: la morte, ineluttabile, inconcepibile, inconoscibile, eppure evento-limite che conferisce alla vita il senso più autentico.
Se sono qui a raccontarvi la mia esperienza di vita, è a causa della morte e a tutto quello che da essa, per paradosso, nasce e si trasforma in qualcosa di nuovo e meno spaventoso. Ma andiamo per ordine. Voi volete sapere cos’è un Tweed Ride. Vi darò prima una risposta empirica, basata sui fatti e la pratica che si riassume nel nostro sottotitolo istituzionale: il Tweed Ride è “una pedalata urbana con un tocco di stile”. Ma questa è solo la scorza del tutto. La verità è che il o la, fate voi per me è uguale! Tweed Ride è nata perché a me serviva qualcosa per dare un senso alla mia personale meta. È il mio modo di conferire a quell’evento-limite di cui vi accennavo all’inizio un senso. Dare un senso alla fine o alle molteplici fini che ci accompagnano lungo la nostra esistenza terrena.
Un po’ della mia vita
Il 15 maggio 1977 un bimbo, preso il coraggio a due mani (anzi manopole della sua bici rossa fiammante), si lanciò giù per la delicata discesa che separava la sua casa dalla piccola piazzetta dove lo aspettavano genitori e amici, per tagliare il traguardo del “senza rotelle”! Quel momento è quanto rimane dell’infanzia di ogni adulto – o almeno della mia – è un mondo di poesia vivente e palpabile, che continua a esercitare su di noi il suo fascino e sul Tweed Ride l’aspettativa di ricrearlo a ogni evento.
Ad attendermi all’arrivo c’era mio padre, era il ‘77 io avevo 3 anni e mio padre 36. Da lì a 14 anni mio padre ci avrebbe lasciato per un tumore. Negli anni a seguire avrei già iniziato a conoscere la morte, tuttavia perdere mio padre a 16 anni mi ha inevitabilmente segnato la vita. Novello Amleto mi ritrovavo a dover decidere tra “essere e non essere” tra lasciarmi andare al dolore oppure reagire. Per un po’ rimasi inerme poi il tempo, gli amici e le canzoni di Neil Young suturarono le mie ferite.
A prendere il posto di mio padre fu mio zio. Lo zio Gianni è un artista, negli anni ‘70 fa il pittore e io passo con lui, tra tele pennelli e colori a olio buona parte dei miei primi cinque anni di vita. Posso dire di aver vissuto da bohemien senza saperlo fin dall’infanzia e che anche questa esperienza mi abbia formato. Ho passato più tempo della mia vita con mio zio che con papà. Zio era con me quando a Parigi, dove Papà era ricoverato per un ultimo tentativo di salvezza, lo andammo a salutare prima che fosse troppo tardi. Zio c’era quando attraverso la pittura, passione che mi aveva passato, iniziai a rinascere per la prima volta. C’era quando dieci anni dopo poggiavo la prima pietra del Collettivo Raminghi, un gruppo di anarcho-letterati che avrebbe posto le basi per il futuro Tweed Ride. Zio c’era, nella sua semplicità silenziosa.
Poi la malattia si insinua silenziosa nelle nostre vite, come già tante altre volta aveva fatto. Zio si ammala. Le speranze sono poche, si può solo accompagnarlo verso l’inevitabile. Non posso lasciarlo solo. Voglio stargli vicino, per ripagarlo dell’amore che mi ha sempre dato e lo faccio andandolo a trovare tutti i giorni in ospedale. All’epoca lavoravo in libreria, così in pausa pranzo prendevo la mia bicicletta e affrontavo il mio personale percorso del dolore fino all’ospedale; mi curavo di Zio come meglio riuscivo e me ne tornavo al lavoro. L’ho fatto per mesi. Ero esausto.
Poi un giorno, la bicicletta mi parla: “Caro Ferruccio, tu stai soffrendo troppo. Facciamo un patto! – mi disse – Tu pedala, al resto ci penso io. Ti porto a lavoro, in ospedale, a casa, dove vuoi. Ma tu sfogati, liberati del dolore che hai dentro.” Questa piccolo gesto d’amore della mia bici mi ha salvato la vita. Potevo andare in ospedale, riempirmi del dolore di zio e liberarmene poco dopo per poter ricominciare il giorno seguente. Un ciclo ipoteticamente infinito. Zio Gianni aveva i baffi, vestiva fuori moda o vintage fate voi, si spostava in bicicletta, era sempre presente per i più bisognosi. Erano state buttate le fondamenta per quello che sarebbe diventato il Tweed Ride Italia.
Meanwhile in England…
Nella primavera del 2009 faceva la sua apparizione la Tweed Run. Una pedalata urbana in abiti inglesi nata all’interno del movimento di ciclisti urbani londinesi. Sono sempre stato affascinato dall’Inghilterra, dalla musica allo stile di vita. Così prendo il coraggio e scrivo al suo ideatore.
Lui cita l’Eroica, scrive che ha voluto riproporre il concetto di ciclismo eroico che nel suo caso diventa vintage in contesto urbano. Visto che esisteva già la Tweed Run, chiesi di poterla rifare in Italia. Niente da fare, non voleva si usasse il suo marchio per questioni di copyright. Aveva le idee chiare già all’inizio. Infatti anni dopo ha venduto il marchio a una delle società londinesi più grandi per quanto riguarda l’intrattenimento vintage. Dopo un po’ di “scaramucce” mi permise di farla cambiando il nome. Era ufficialmente nato il nostro Tweed Ride. Settembre 2009. Quattro mesi dopo il loro primo evento a Londra.
Alla prima edizione contavamo di essere una decina; l’idea era quella di passare sotto l’ospedale di zio per portargli un po’ di buonumore a forza di scampanellii e gente vestita eccentricamente. Alla prima Tweed Ride parteciparono più di 40 ciclisti tweed, un risultato inaspettato. Forse avevo trovato un modo diverso ma pieno di essere per me e per quelle persone che davvero inaspettatamente avevano animato quel nostro primo tentativo.
Zio alla fine non c’è l’ha fatta e dopo poco più di dodici mesi di lotta ci ha lasciati una domenica mattina di maggio. Quel giorno ho deciso che il Tweed Ride avrebbe portato un po’ di gioia nelle vite delle persone che magari stanno passando un periodo difficile nella loro vita. Da quel primo Tweed Ride ne sono passati molti altri. Non sempre sono andati come avremmo voluto, ma anche la sconfitta serve nella vita e noi lo sappiamo bene.
Correva l’anno
Nel 2013 siamo esplosi dopo la prima Tweed Ride Roma, la prima esperienza in collaborazione con partner importanti, per i tre Tweed Ride Milano. Da allora siamo stati attivi con il Tweed Ride in tutta Italia, conquistando diverse città importanti come Firenze, Torino, la bella esperienza nella città di Padova dove siamo tornati quattro volte e da dove è partito il 21 aprile il Tweed Ride Tour 2018. Il Tweed Ride Italia in questi anni è cresciuto e procede ormai sulle sue gambe. Tante, tantissime le manifestazioni simili alla nostra sono nate in questi anni in Italia e all’estero. La cosa ci fa piacere e spesso siamo stati noi stessi ad aiutarle a crescere, per le “altre” siamo felici ugualmente: in cuor nostro sappiamo di essere stati i primi e ci basta così.
Vado in bici quotidianamente, è una scelta di vita, e sapere di non pedalare da solo e di aver conquistato tanti amici con il Tweed Ride mi fa affrontare meglio la vita e di questo vi ringrazio. Nel 2014 alla veneranda età di 40 anni ho preso la patente perché dopo la morte c’è sempre la rinascita e con la mia compagna siamo diventati genitori di un discolo che si chiama Riccardo! Non so ancora se sono un buon padre, probabilmente non lo saprò mai, ma so che mi piacerebbe essere il silenzioso genitore che è stato per me mio zio Gianni. L’uomo più tweed che ho conosciuto! Artista, senza patente, bici munito e cultore dei baffi! BE