C’è una strada, a Milano, che è lunga cinque chilometri e spiccioli. Una strada che a guardarla oggi non ha niente di speciale, persa com’è tra i tentacoli della metropoli, soggiogata dall’imponente presenza dei grattacieli di Milano City Life, il nuovo quartiere dirigenziale sorto nel nord ovest della capitale meneghina sulle fondamenta di quella che era una volta la Fiera di Milano, spostatasi oggi nel nuovo gigantesco sito di Rho che ha ospitato EXPO 2015, rilanciando le ambizioni internazionali della città.
Ma c’è stata un’epoca in cui quei cinque chilometri e spiccioli hanno avuto una dimensione internazionale importante, addirittura mondiale, perché la strada che univa Musocco, quartiere milanese a fianco del cimitero Maggiore, al velodromo Vigorelli univa anche due personaggi i cui destini si sarebbero a un certo punto delle loro vite intrecciati fino a non separarsi mai più.
Parliamo degli anni che vanno dalla metà dei ’40 fino alla fine dei ’60 e oltre. E parliamo di due figure che ancora oggi gettano la loro gigantesca ombra sul mondo del ciclismo e dello sport italiano. Due maestri, due artisti, due perfezionisti che la bicicletta ha unito indissolubilmente al punto da averli avvicinati anche nell’estremo saluto. Parliamo di Antonio Maspes e di Faliero Masi, il campione e telaista la cui firma appare sulla bicicletta che vedete in queste pagine: una Masi Special Pista che Maspes amava al punto da custodirla in casa propria.
Un rapporto unico
La storia di Maspes e Masi, com’è noto, è una storia legata da un filo strettissimo e più che doppio. Faliero Masi, che è stato prima corridore di modesto livello e poi artigiano telaista d’impareggiabile maestria, ha costruito biciclette per il campione milanese sin da quando, a 14 anni, un giovanissimo Antonio s’innamorò delle corse su pista proprio al Vigorelli – che oggi si chiama appunto «Vigorelli – Maspes» – attirato al suo interno dal rumore che facevano le moto apripista nelle gare di stayer. Una folgorazione. Fu lì che Maspes decise che voleva competere in quel mondo. Una voglia tale da arrivare a falsificare il proprio documento d’identità, nel ’47, pur di partecipare (vincendo) al Campionato Italiano Allievi. Era di casa da Masi, Antonio Maspes, soprattutto da quando, nel ’50, il telaista di orgini toscane (era nato infatti a Sesto Fiorentino) trasferì la propria bottega sotto gli spalti del Vigorelli, dov’è ancora oggi.
Con quelle bici, Maspes vinse tutto, portando Milano e l’Italia sul tetto del mondo per un’epoca d’oro – e mai più rivissuta – del ciclismo su pista. Sette Campionati Mondiali, tredici Campionati Italiani (più due tra i dilettanti), cinque Gran Premi di Parigi consecutivi, vittorie in Europa e nel mondo contro avversari poderosi come Plattner, Van Vielt, Derkson e Michael Rousseau, il francese che batté due volte in finale Mondiale, ad Amsterdam nel ’59 e a Zurigo nel ’61, grazie alla propria astuzia, alla propria leggendaria capacità di restare in surplace e a quelle gambe talmente esplosive che negli ultimi duecento metri bruciavano i tubolari e spaccavano gli orologi.
Lo strepitoso talento di Maspes fu un brodo di coltura per tutto il movimento del ciclismo su pista. Tra il ’55 e il ’68 l’Italia si aggiudicò ben undici titoli Mondiali grazie a lui, all’eterno rivale Sante Gaiardoni – con cui fino all’ultimo avrebbe lavorato al recupero del Vigorelli – e con Giuseppe Beghetto. Campioni che si sarebbero affermati anche in sede Olimpica portando il ciclismo italiano al vertice nel settore della velocità su pista. Nel corso di questa incredibile carriera, Faliero Masi costruì per Maspes divese biciclette. Pezzi unici, costruiti su misura. «Da sarto», verrebbe da dire, ma Masi era per Maspes qualcosa di più. Lui lo considerava «un orologiaio», vista la sua meticolosità nel plasmare una bicicletta che poi «l’Antonio» trasformava strepitose vittorie sulle piste di tutto il mondo.
Dettagli personali
Perché Faliero Masi è stato più che un telaista. È stato un vero artista che ha traguardato al di là delle conoscenze tecnologiche della propria epoca. Come aveva fatto, prima di lui, Leonardo Da Vinci, genio toscano al servizio di Ludovico Sforza detto «Il Moro» che proprio a Milano, come Faliero, aveva trovato la propria patria. Masi sapeva leggere il corpo di un corridore e trasferire le sue misure e la sua postura nelle bici che costruiva. Come in quella leggendaria notte del ’67, quando in poche ore costruì la bicicletta con cui Jacques Anquetil, il giorno seguente, polverizzò proprio al Vigorelli il record di Riviere che resisteva dal ’58 (salvo poi non venire omologato perché Jacquot si rifiutò di sottoporsi al controllo antidoping). Ecco perché le sue biciclette erano così speciali e fu una vera fortuna che lui e Maspes potettero lavorare così a stretto contatto.
Intensamente uniti in vita, Masi e Maspes lo furono anche, come accennato, nel momento dell’estremo saluto. Entrambi infatti scomparvero nel 2000. Prima il vecchio telaista, giunto ormai alla veneranda età di 92 anni, e poi il campione, stroncato da un infarto. Incredibile come quel cuore capace di passare in pochi istanti da 30 a 150 battiti abbia potuto cedere così di schianto, ma del resto Maspes se ne è andato in maniera roboante, da «bauscia», esattamente come aveva vissuto.
La Masi Pista Special rimase di proprietà della famiglia Maspes fino al 2010, quando la prematura scomparsa del figlio di Antonio, Roberto, indusse la moglie di quest’ultimo a mettere in vendita i ricordi e gli oggetti che erano appartenuti al grande campione milanese. Un’occasione unica per i collezionisti, perché la cosa veramente particolare, al di là degli aspetti tecnici, è il fatto che Maspes abbia voluto tenere questa bici vicino a sé per tutta la propria vita, conservandola in casa. Come da lui stesso dichiarato, Maspes ha avuto a disposizione, nella propria carriera professionistica, non più di 7/8 telai fatti da Masi, finendo per tenerne per sé solo un paio. Gli altri sono finiti al Santuario del Ghisallo, al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, al Vel d’Hiv di Parigi. Il numero è così ridotto per via della mania di perfezionismo che caratterizzava entrambi, al punto da farli lavorare con tempi molto lunghi e con una grandissima attenzione al dettaglio. Maspes era capace di portare Masi all’esperazione per la sua maniacale ricerca della prestazione.
Difficile dire se questa bici, che certamente ha corso e quindi vinto – considerata la carriera di Maspes – sia legata a un episodio in particolare. Certamente simboleggia un’epoca, ed è stata ritrovata talmente ben conservata che di fatto è stato necessario solo spolverarla farle un minimo di manutenzione. È comunque una bici che è stata vissuta, riverniciata e con decal non coeve, come confermato da Alberto Masi, figlio di Faliero che ne ha ereditato la bottega. Ma è stato deciso di mantenerla così, con il tocco che il campione ha voluto darle in vita. Una vera opera d’arte, testimone e punto di contatto tra lo straordinario talento di Masi e quello di Maspes, entrambi puntigliosi al punto che bastava una saldatura raffreddata in tempi differenti per accorgersi, in pista, che la bici avesse qualcosa di diverso. Chissà, forse il campione di Musocco ha voluto tenerla vicino a sé per ricordarsi, con una qualche nostalgia o rimorso, quella grande tracotanza che l’aveva sempre caratterizzato. “Ho vissuto il giorno e la notte”, disse una volta, già avanti con gli anni, “e il viveur che porto dentro l’ho fatto tacere troppo tardi”. Ancora oggi, quel campione nei panni del viveur continua a gridare attraverso le sue bici e il ricordo delle sue imprese. Antonio e Faliero, senz’altro, ne staranno parlando anche adesso.
Collezione e foto: Michele Lozza
Scheda tecnica
- Marca: Masi
- Modello: Special Pista
- Anno: metà Anni ’60 circa
- Gruppo: Campagnolo Record Pista
- Ruote: Fiamme da 28″
- Pipa e piega: Cinelli
- Sella: Brooks