Una volta, uno sventurato giornalista chiese a Claudio Chiappucci, al termine di una durissima tappa di montagna, cosa ne pensasse della poetica del ciclista solitario che pedala sotto la pioggia.
«Macché poetica!», rispose il Diablo, «il ciclista solitario in salita bestemmia!». È questa la differenza tra la realtà che si vive, con le sue emozioni trascinanti, e la realtà raccontata, che fa delle gesta degli sportivi epica e persino – talvolta – canzone. Ho ripensato a quella risposta di Chiappucci proprio in questi giorni quando, come quasi tutti (a parte gli operatori sanitari e quelli dei servizi essenziali, cui va la gratitudine di tutto il Paese), mi sono trovato a vivere in autoisolamento, dando un consistente taglio a tutte le mie relazioni sociali fatte salve quelle familiari. In un certo senso l’immagine del ciclista è calzante, perché anche noi ci troviamo ad affrontare una difficoltà molto grande – e per certi versi ignota – spesso completamente soli, isolati dal resto del mondo con il quale ci relazioniamo. E da bravi ciclisti in salita, anche a noi ogni tanto scappa un’imprecazione ma non molliamo.
Questo numero di Biciclette d’Epoca, stanti così le cose, è nato in una maniera differente dal solito. Eravamo partiti con delle idee ma poi abbiamo dovuto cambiarle strada facendo perché l’impossibilità di spostarci ci ha obbligati a fare scelte diverse. In generale, comunque, abbiamo cercato di mettere in piedi, con la redazione, un numero che fosse molto “da leggere”, con grandi storie da raccontare per cercare di tenervi compagnia un po’ di più rispetto al solito, ora che magari il tempo per leggere è aumentato.
Lo testimonia senz’altro il racconto del 1960 di Nencini, monumentale, che è anche la copertina di questo numero con una foto che oggi mai potremmo vedere ritrarre un professionista. Fu un anno pazzesco, quello, e forse al Leone del Mugello non è stato tributato il giusto onore, visto che sfiorò per pochi secondi l’accoppiata Giro e Tour che la storia ha consegnato solo ai più grandi. C’è poi il Bondone del ’56, altra avventura epica da raccontare più da sopravvissuti che da sportivi: pagine di gelo che abbiamo provato a riscaldare a 65 anni di distanza. Abbiamo poi raccontato del grande Indro Montanelli al Giro, degli italiani al Fiandre (che quest’anno non si è corso), dell’origine dei Grand Bi e proposto una bella carrellata di bici, tra cui sottolineiamo un ritratto storicamente e tecnicamente impeccabile della Maino SuperSport e un salto nella fantasia con una tipologia di bici che non abbiamo mai trattato, le BMX. Spero che questo numero, insomma, vi tenga compagnia per un bel po’ e sia un buon viatico per diffondere la cultura della bicicletta, che è il nostro obiettivo primario.
Mentre sfogliate le sue pagine, mentre salite con Nencini sul Gavia o con Gaul sul Bondone, accompagnandoli nelle ore più dure, isolati nelle vostre case, forse vi sentirete come loro, ciclisti solitari in salita. Ricordate però che ogni salita, in cima, ha un GPM. E poi la discesa.
Torneremo a pedalare.
Alessandro Galli
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