Un anno fa, più o meno nel momento in cui stiamo scrivendo, ci lasciava Felice Gimondi.
Una dipartita improvvisa che lasciò tutti profondamente addolorati e sorpresi, perché il campione di Sedrina – amatissimo, e non solo per i suoi grandi successi – lo si vedeva spesso alle ciclostoriche a raccontare le innumerevoli imprese della sua straordinaria carriera. A noi restò anche il dispiacere di non poter fare quell’intervista che avevamo programmato per dopo l’estate e che avrebbe comunque portato, ironia della sorte, Felice sulla copertina di BE40, come è poi avvenuto. Mi pareva giusto ricordare Gimondi in questo editoriale, simbolo, con la sua tenacia e il suo “mola mia”, anche di quella comunità bergamasca così fortemente colpita da Covid-19 ma così pronta a riprendersi con coraggio, in questa estate del Diavolo che tutti ricorderemo.
Molto diverso per indole, carattere e anche palmares – ma non certo per determinazione – fu invece il “diavolo” di cui vi parliamo approfonditamente in questo numero, ovvero il leggendario Giovanni Gerbi, un atleta che fece dell’agonismo e dello scontro feroce – ai limiti talvolta varcati della rissa – un vero e proprio marchio di fabbrica. “Diavolo Rosso” era il soprannome del campione astigiano. Una storia che vi abbiamo già raccontato su BE34 e che lo vide infilarsi in una processione durante una gara, al punto che il prete esclamò scandalizzato: «A chi l’è cul là? Al Diau???». E diaboliche erano le sue sfuriate, le provocazioni. Come la volta in cui sfidò Carlo Galetti in un’impresa impossibile e fu sconfitto solo dal prodigioso ischirogeno (vedere BE37). Ma Gerbi era anche – e forse soprattutto, a guardarlo con il senno di poi – un grande atleta. Uno dei primi a credere in una meticolosa preparazione atletica e ad applicarsi tenacemente per ottenere dei risultati.
Ecco allora affiorare, dalle nebbie del passato, una storia che anche a distanza di un secolo ci insegna qualcosa. Parte da un’adolescenza turbolenta, da scatti d’ira imperdonabili, per poi diventare fenomeno di costume, con tifosi al seguito come non si erano mai visti. Infine, dopo una lunghissima carriera ben oltre gli standard dell’epoca, Gerbi diventa anche il primo corridore a trasformarsi in produttore nella storia della bicicletta, fondando ad Asti la fabbrica che porterà il suo nome.
È una storia di fame, fatica, tigna. Tutti valori che il ciclismo – quello duro, fin dai tempi dei mortali Tour di Henri Desgrange – porta con sé. Quanto ci mancano personaggi come Gerbi e Gimondi, così umani, veri e combattivi nel loro sfidare avversari temibili e fatiche mostruose in gara. Quanto vorremmo che tornassero, in questo finale di stagione sportivo ultra-condensato iniziato proprio con le Strade Bianche senesi, così vicine alla nostra amata Eroica che non vediamo l’ora di poter rivivere e che purtroppo – come annunciato poco prima che andassimo in stampa – quest’anno non passerà da Gaiole.
Chissà mai che il Diavolo, in qualche modo, ci metta la coda, regalandoci sorprese inaspettate.
Alessandro Galli
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