La passione dei velocipedisti, sorta sostanzialmente nella seconda metà degli Anni ’60 dell’800, non ha nulla da invidiare alla passione che i ciclisti d’oggi hanno per la loro bici.
L’amore per la due ruote è stato da subito totalizzante, anche se inizialmente erano relativamente poche persone a coltivarlo. Il mondo dei velocipedi si è presentato quasi da subito come una passione travolgente fatta di interesse per l’abbigliamento, di passione per la cura del proprio velocipede e di esigenza di condivisione del proprio hobby.
In origine era la Francia
Numerosi furono i periodici che sorsero inizialmente in Francia come Le Velocipede Illustrè edito da quel Richard Lesclide alias Le Grand Jaques, segretario nientemeno che di Victor Hugo, ma forse anche il primo giornalista sportivo della storia del ciclismo. Quella fu la rivista che organizzò la prima gara in linea: la Paris-Rouen del 1869. Quell’anno vedrà nascere, sempre sulla spinta di Le Grand Jaques, l’Almanach des velocipedes tirato in migliaia di copie ma andate esaurite nel giro di pochi giorni e così sostituito dal primo Manuel du Velocipède.
Nel leggere questo manualetto, sono in tutto 110 pagine, sin dall’inizio si nota un’impostazione tesa tutta a nobilitare il velocipede: «così come si parla dell’arte dell’equitazione si deve parlare dell’arte di montare il velocipede». Chi si approccia a questo manuale con l’intenzione di trovare elenchi di marche di velocipedi, o consigli per la guida, o il vestiario resta irrimediabilmente deluso. Infatti, ben 12 pagine di prosa ridondante sono dedicate al fidanzamento e al matrimonio tra madmoiselle Dorothée e il suo fidanzato, complice la passione per i velocipedi. Così tutto il manuale si sgrana tra storie di persone che amano i velocipedi ma senza sostanziali notizie tecniche o consigli sull’uso. Bisognerà arrivare al Manuel du Velocipede del 1876 per trovarsi tra le mani un libro degno del suo nome con indicazioni su come usare la Grand Bi e come evitare incidenti e pericoli ed adottare un abbigliamento appropriato ed efficiente.
Ma certamente il manuale più completo ed esauriente sarà il Traité theorique et pratique du Velocipede di Dubois e Varennes, edito da Garnier Frères (Paris) nel 1888 la cui dodicesima edizione del 1894 sarà, con le sue 350 pagine, la più completa. Questo trattato, veramente completo, inizia con una lezione su come montare in sella del velocipede dando informazioni pratiche e dettagliate interessanti, prosegue poi su come gestire la prima uscita e sulle regole cui attenersi per circolare nell’intenso traffico cittadino. Diversi capitoletti sono dedicati all’approccio con gli altri esseri viventi che invadono le sedi stradali: cani, gatti, volatili, cavalli, pecore e capre ma soprattutto uomini e bambini.
Un’approfondita disamina viene fatta dei vari tipi di mezzi, dai bicicli, alle biciclette, ai tricicli ai tandem ai sociabili. Parlando delle biciclette si legge testualmente: «la bicicletta discende in linea diretta dai bicicli detti di sicurezza». Oltre 90 pagine sono dedicate all’anatomia della bici, alla sua manutenzione ed agli accessori. Interessante la distinzione che viene fatta tra il piccolo ed il grande turismo, con consigli diversificati e con un’analisi approfondita del diverso tipo di abbigliamento e dei diversi accessori necessari per affrontare i due diversi tipi di viaggio. Arriva addirittura a dare consigli sul tipo di alimentazione da seguire per fare i grandi viaggi distinguendo la colazione dal pranzo alla cena ed indicando i cibi assolutamente da non assumere e tra questi c’era il vino, dove se non se ne può fare a meno è consigliato berlo con l’aggiunta di acqua pura (orrore!). Consentiteci di sorridere al pensiero di introdurre, per dovere di fedeltà storica, nei raduni dei velocipedi il consumo morigerato di vino e per giunta annacquato! La scelta dei compagni di viaggio è poi quanto meno spassosa. Innanzitutto, si prendono in considerazione solo compagni – le compagne è meglio evitarle – poi bisogna non essere mai più di tre perché se si è di più e più difficile andare d’accordo (ecco la prova che il mondo evolve ma non cambia!) e soprattutto è importante condividere l’itinerario prima di partire.
Le edizioni del XIX secolo si concludono con il bel volume Cycliste et bicyclette guide pratique du cycliste amateur, scritto dal dott Galtier Boisseire ed edito da Larousse (Paris) nel 1898. È un volume di 200 pagine circa ricco di fotografie ma ciò che lo rende unico è l’ampia trattazione che viene fatta dei processi di fabbricazione dei telai e delle parti di usura dei bicicletti. Così apprendiamo che i perni centrali, i mozzi e “ruote dentate” erano sottoposti al processo di “cémentage” per rendere più duri i materiali.
E in Inghilterra invece…
In Inghilterra uno dei primi manuali più completi è Cycling, del 1887, il primo manuale dei velocipedi a entrare nella famosa collana della Badminton Library, che già trattava in altri volumi numerosi sport, dalla caccia alla equitazione, dalla canoa al tiro a segno. Il volume si presenta molto completo. Dopo una lunga e ridondante introduzione, tipica dell’epoca, viene tracciata la storia del velocipede che deve essere letta con occhio molto critico.
Infatti siamo ancora negli anni di quella guerra commerciale ma soprattutto culturale tra Francia e Inghilterra per accaparrarsi la primogenitura del velocipede. Addirittura viene attribuito a James Starley un velocipede con la sospensione anteriore che sarebbe stato fatto nel 1865. Siamo chiaramente in presenza di una fake news ante litteram, infatti è ormai storicamente provato che la prima industria di bicicli inglese fu la CMC (Coventry Machinist Company), che sorse verso la fine del 1869 e nella quale proprio Starley iniziò la sua esperienza. Mentre Michaux et Cie viene solo marginalmente citata per riferire della donazione di un velocipede di tale marca fatta da un certo Turner, inglese di Parigi, ad un Ginnasio. Anche qui abbiamo numerosi capitoli che insegnano ad andare in biciclo, come vestirsi, spiegano le gare, il turismo in bicicletta, l’allenamento. Interessanti sono le notizie sui vari club distinti tra quelli turistici e quelli corsaioli, anime che probabilmente nella terra d’Albione sono sempre state tenute distinte; mentre in Italia sappiamo che questa separazione avvenne ben sette anni dopo la pubblicazione di questo manuale, nel 1894, con la famosa fuori uscita dei 64 soci dal Veloce Club Milano per fondare il TCCI (Touring Club Ciclistico Italiano).
Una delle cose interessanti di questo libro è certamente l’ampio spazio che dedica ai tricicli da lavoro, alla loro manutenzione e al loro allestimento. Ciò costituisce un’importante fonte di notizie ma soprattutto mette in luce l’importanza che il mezzo a pedali aveva già nella vita quotidiana inglese dell’epoca. La ricchezza di questa edizione è data dalle numerosissime e pregevoli tavole stampate con insolita ricchezza di particolari. Altra fonte d’inestimabile pregio sono le analisi di molti modelli di velocipedi, siano essi bicicli o safety cycles facilmente rintracciabili nel testo, in quanto il manuale è dotato di un indice dei nomi dettagliatissimo che gli dà quasi un valore enciclopedico: ah la precisone britannica!
Poi arrivò l’Italia
Tutti gli appassionati dei velocipedi sono in possesso dell’edizione anastatica ristampata de Il Ciclista – Manuale Pratico, scritto dall’Ing. Grioni ed edito nel 1910 nella collana dei Manuali Hoepli. In realtà questa edizione di circa 500 pagine era già stata preceduta nel 1894 dal Manuale del Ciclista del Dott. Andrea Galante, edito sempre da Ulrico Hoepli e inserito nella stessa collana dei Manuali. Questo primo manualetto di circa 200 pagine ha innanzitutto il pregio di essere fatto per agevolare la consultazione con un indice per materia e per nome che aiuta molto nella consultazione. Il volume si apre con la storia del velocipede e qui il lettore attento nota subito una vera imparzialità culturale, in quanto l’evoluzione storica è messa nel giusto ordine anche se con qualche sfasamento sulle date più antiche. Infatti, l’invenzione della pedivella da parte dei Michaux viene posta nel 1855 quando invece è ormai acclarato che ciò avvenne intorno al 1863. Però c’è da riconoscere che il dott. Galante dà a Cesare ciò che è di Cesare, non togliendo nulla al merito dell’industria francese. Questo è un elemento di notevole interesse per lo storico perché pone in evidenza la nostra indipendenza culturale in questa materia.
Quando esce questo manuale, nel 1894, l’epoca dei grandi bicicli è appena finita, infatti non trovano alcun spazio nelle sue pagine, dove vengono trattati solo i bicicletti o biciclette di sicurezza, quelle con la catena per capirci, e tra esse l’unica concessione al biciclo è quella che illustra il modello Crypto – un biciclo inglese di sicurezza con le pedivelle all’anteriore che costituisce l’evoluzione del Kangaroo – al quale, per la demoltiplica anteriore, la catena è stata sostituita da un sistema di doppia coppia di ingranaggi. Il capitolo degli accessori è quanto mai esaustivo di fanali, borse viti, bulloni supporti per borse ma soprattutto viene analizzato il tagliavento Larue.
Molta attenzione viene data all’igiene del ciclista. Infatti, oltre a parlare dell’igiene che deve aversi se si fanno le gare o se si usa il velocipede per turismo, troviamo un intero capitolo che tratta il problema delle malattie che possono essere indotte dal ciclismo e di un uso non corretto dal punto di vista igienico della bici. In particolare, cosa che non ti aspetteresti in un manuale dell’800, viene trattato l’argomento della donna velocipedista per concludere che anche per essa non ci sono particolari controindicazioni.
Però va rilevato che questo manuale era stato preceduto da almeno due altri. Nel 1891 era uscito Il Velocipedista – Manuale completo, autore “una Società Velocipedistica”, edito da Gnocchi – Milano e sponsorizzato dalla ditta Augusto Engelmann, titolare di uno dei più grandi empori milanesi di velocipedi sito in via Manzoni al n. 52 sull’angolo di via della Spiga, dove erano anche un’officina e una pista per la pratica. Quello che sorprende dalla lettura di questo manualetto – un centinaio di pagine in tutto – è la trattazione dei bicicletti che viene messa prima dei bicicli e viene fatta in modo più esteso, segno evidente che nel 1891 l’epopea delle Grand Bi era ormai nettamente in declino.
Nel 1895 usci La pratica del velocipede e la tecnica dell’allenamento del Dott. Alessandro Roster e Alfredo Orlandini, edito dalla Biblioteca della Gazzetta Ciclistica a Firenze (pagine 312). Alessandro Roster, medico, personaggio facente parte della UVI, dedica un intero capitolo al 19° congresso dove è stato posto il regolamento per i corridori dilettanti e i professionisti separando definitivamente le due categorie. Analizza anche in modo critico i record delle gare mondiali dell’anno 1894. Ma ciò che rende questo volumetto interessante sono i diversi capitoli e le molte pagine in cui si tratta in modo scientifico, compatibilmente all’epoca, l’allenamento in tutte le sue varie forme.
Così esordisce l’autore: «La parola allenamento, entraînement dei Francesi, indica un insieme di manovre e di pratiche, spesso igieniche, che rendono l’organismo capace di sopportare, senza danno, fatiche e disagi. Secondo le parole di Zinnerman [non dimentichiamo che proprio nel giugno del 1895 il primo Campione del mondo Arthur Augustus Zinnerman soggiornò proprio a Firenze – ndr] è la preparazione del corpo ad uno sforzo nuovo ed insolito, è una graduale preparazione perché l’individuo possa sopportare gli esercizi più faticosi e severi».
L’allenamento viene trattato nel suo profilo fisiologico ma anche psicologico, analizzando in particolare il preallenamento, quello che poi si chiama riscaldamento, non dimenticando una importante lezione per i massaggiatori. Grande attenzione viene rivolta alla scelta della macchina, perché solo se si conoscono il corridore e il suo fisico si può azzeccare la macchina perfetta, e la perfezione non è data dalla macchina ma dal rapporto corridore-macchina. Insomma siamo in anticipo di cinquant’anni rispetto alle famose bici su misura di Fausto Coppi. Questo è certamente il più completo manuale dell’800 per quanto riguarda l’aspetto della preparazione atletica.
Però non è possibile comprendere tutto il dibattito medico, scientifico, sportivo, che si sviluppò nel ciclismo dell’800 se non si prende in considerazione il volumetto L’influenza del ciclismo sull’organismo umano del dott. Martin Mendelsohn con note del Dott. G. Carapazzi, edito a Novara nel 1898, dove l’attività ciclistica viene analizzata, criticata, esaltata da un punto di vista puramente medico scientifico e dove si arriva già ad analizzare la ventilazione, il consumo calorico e il tipo di alimentazione più appropriato per chi deve reggere sforzi prolungati.
Ed ora, per chiudere, permetteteci di ringraziare, anche se con oltre 110 anni di ritardo, l’Ing Grioni per aver scritto nel suo Manuale del Ciclista quella che riteniamo una vera e propria pagina di poesia dedicata alla bicicletta di una modernità assoluta, che ci permettiamo di intitolare e di frazionare in versi senza alterarne il testo. La trovate qui accanto.