Se state leggendo queste righe, sicuramente avrete visto – magari con una qualche sorpresa – la copertina dedicata a Marco Pantani.
Ci abbiamo messo il Pirata, con le braccia alzate, quel giorno del 1997 in cui vinse per l’ennesima volta all’Alpe D’Huez, buttandosi alle spalle un periodo nerissimo e preparandosi a vivere quella stagione pazzesca che l’avrebbe consegnato all’immortalità. Ci si stringe il cuore a scrivere queste parole, perché la realtà – amara, amarissima – è che Marco Pantani “Se n’è andato”, come titolava la Gazzetta il giorno dopo, in una tragica notte di San Valentino quindici anni fa.
Dedicare la copertina a Pantani, e la conseguente cover story in cui riviviamo le sue gesta, è stata una scelta azzardata, perché parliamo di un corridore che ha dato il massimo alla fine degli Anni ’90. Siamo quindi lontani almeno di un decennio da quello che viene considerato “ciclismo d’epoca”. Tuttavia, guardandoci alle spalle, non abbiamo potuto fare a meno di notare che da quel famoso Giro del ’94, quando il Pirata si rivelò al mondo come uno schiaffo improvviso, siano passati già 25 anni. Anni in cui il tempo in un certo senso si è fermato, perché il ciclismo che abbiamo visto da allora, con i suoi attori contemporanei che sembrano costruiti in laboratorio, è molto molto lontano da quelle suggestioni eroiche di cui parliamo ogni mese in queste pagine.
Ecco allora che la scelta di Pantani è stata una scelta naturale e una scelta d’amore perché, parlandone all’interno della redazione, ci siamo resi conto che per molti il Pirata è stato l’ultimo a riuscire a scaldare veramente i cuori, a portare tanti appassionati a gioire per i suoi successi e a soffrire con lui di fronte ai tanti ostacoli che la malasorte gli ha messo davanti. Lui, in cambiom ha saputo superare ogni avversità con forza e determinazione fino ad arrivare alla clamorosa accoppiata Giro d’Italia e Tour de France del 1998.
Grazie a quel successo – per certi versi inaspettato – Pantani ha gettato nella propria carriera un collegamento con l’anima più pura del ciclismo d’epoca, riportando la memoria a colui che fu il primo a centrare un una simile impresa, prima nel ’49 e poi nel ’52. Parliamo ovviamente di Fausto Coppi, di cui si celebra nel 2019 il centenario della nascita e a cui dedicheremo quest’anno una serie di approfondimenti delle imprese più emblematiche a firma di una memoria storica importante come quella di Carlo Delfino.
Non si può non constatare come Coppi e Pantani, stelle luminosissime del nostro ciclismo, abbiano avuto un simile destino: grandissimi in sella, al centro dei riflettori nella vita privata, mai scontati e – soprattutto – strappati presto, troppo presto all’abbraccio dei propri tifosi e dei propri cari. Forse è anche per questo che ci sono rimasti nel profondo. Noi, di certo, in questo anno denso di ricordi non ce ne vogliamo dimenticare e li guardiamo sempre con affetto e ammirazione mentre se ne stanno lì, in due, a pedalare sul tetto del mondo.
Alessandro Galli
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