Nel 1950 il filosofo e accademico svizzero Carl Gustav Jung teorizzò la “sincronicità”, ovvero un principio per cui – in maniera molto sintetica – tutto quello che sembra casuale in realtà non lo è e le cose s’incastrano secondo uno schema consequenziale non intellegibile ai mortali.
Lo scrivo perché, proprio il giorno prima di mettermi a scrivere queste righe, mi sono trovato a una cena in cui in maniera del tutto casuale – ma non secondo Jung – una ragazza che sedeva al tavolo con noi a un certo punto, dopo aver saputo che mi occupavo della nostra rivista, ha detto: «Avevo un fidanzato appassionato di ciclismo. A me non interessava per niente ma c’era una gara che attendevo con ansia: la Parigi – Roubaix. Chissà se quest’anno piove».
Ho pensato che fosse proprio un caso di sincronicità di cui valesse la pena parlare. Non tanto per il fatto in sé – anche se è curioso – quanto perché dà la cifra della potenza e della maestosità che una gara come la Roubaix può suscitare in chiunque la guardi, indipendentemente dal fatto che sia un fan del ciclismo. La storica gara francese, con i suoi terrificanti e leggendari tratti in pavé, lassù nell’Inferno del Nord, ha saputo raccontare per generazioni le gesta di eroi solitari che, in sella ai propri cavalli d’acciaio, hanno lottato con tutte le forze per arrivare primi al traguardo del velodromo.
Sangue, fatica, sudore e ancora fatica.
La consapevolezza di essere soli a combattere in una gara che quasi sempre diventa una bolgia infernale, in cui, prima ancora che gli altri corridori, i nemici con cui battersi sono la polvere, il fango e le dure rocce scivolose e aguzze. Abbiamo raccontato in questo numero la storia di questa classica monumentale partendo dalle origini, com’è normale sulla nostra rivista, e svelando alcune tra le infinte storie e caratteristiche che ne hanno forgiato il mito.
Parlare della Roubaix è stata anche l’occasione per dedicare, nel decennale della sua prematura e tragica scomparsa, la nostra copertina a Franco Ballerini. Ballerini – insieme a Tafi, Museew, Bortolami – è stato parte di quello straordinario team Mapei che nella metà degli Anni ’90, su bici Colnago in carbonio, andò a prendersi la Roubaix lanciando una sfida impossibile su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo. Eppure vinsero, eccome se vinsero, come gli Argonauti contro il Drago a difesa del Vello d’Oro.
A loro, e a tutti coloro che in oltre un secolo hanno pedalato, sofferto, vinto e perso lungo i tratti di pavé che separano Parigi da Roubaix, va la nostra gratitudine. A loro, a questi indomiti eroi, che, spingendo sui pedali, hanno sconfitto il Drago del Nord.
Alessandro Galli
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