Affermare che John Boyle Dunlop non è stato l’inventore della gomma pneumatica farà saltare sulla sedia parecchi appassionati togliendo loro quella che sembrava una certezza.
Ma andiamo con ordine. La gomma, intesa come materia prima, comparve in Europa dopo la scoperta dell’America. Già Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio (1493-1494) portò con sé delle palline di uno strano materiale chiamato caoutchouc storpiatura dell’espressione haitiana cahuehe che significa “albero piangente” (oggi è il caucciù). Infatti la gomma è estratta dal tronco dell’omonimo albero: il lattice viene raccolto alla base delle incisioni che vengono praticate sul tronco. Gli indios d’America ne facevano un uso puramente ludico, cospargendosi il corpo o facendo delle sfere con cui giocavano. La zona di maggior diffusione dell’albero della gomma era – ed è ancora oggi – il Brasile dove l’Hevea Brasilinesis, questo il nome scientifico della pianta, fu scoperta da alcuni monaci portoghesi nel 1536 lungo le sponde del Rio delle Amazzoni.
L’impiego quotidiano della gomma avverrà solo a partire dal 1770 a Londra dove era presente sugli scaffali della ditta Nairne, commerciante di strumenti scientifici e per la scrittura, che la vendeva come ottimo ritrovato per cancellare i tratti di matita dalla carta. Sempre a Londra, nel 1820, Charles Mackintosh iniziò ad utilizzare la gomma come impermeabilizzante dei tessuti con cui venivano realizzate le gabbane degli uomini di mare. Circa 10 anni dopo, nel 1830, Thomas Hancock produsse dei soprascarpe, specie di galosce da indossare quando pioveva. Date le affinità di produzione, Mackintosh e Hancock costituiranno una società per lo sfruttamento industriale del caucciù che essendo però usato sostanzialmente vergine mostrava gravi problemi di rigidità invernale e di mollezza in estate.
Una storia industriale
La vera svolta dell’uso industriale della gomma si avrà a partire dal 1839 con la scoperta, da parte di Charles Goodyear di New Haven (Connecticut, USA), del processo di vulcanizzazione. Tale processo sembra sia stato scoperto quasi casualmente durante le numerose e dispendiose ricerche che Goodyear conduceva per migliorare l’uso della gomma e in particolare per renderla più indifferente alla temperatura ambientale. La vulcanizzazione è un processo che comporta l’aggiunta di zolfo e l’utilizzo di temperatura alte che la rendono meno soggetta ai cambiamenti climatici ma anche più dura senza perderne l’elasticità .
Subito si intuì l’importanza del prodotto che venne inizialmente impiegato soprattutto per usi medici e ovviamente si scatenò una guerra commerciale per accaparrarsi la materia prima che si trovava nelle le piantagioni di Hevea Brasilinesis del Brasile. Saranno ancora gli inglesi i più bravi nello sfruttamento commerciale e nello spionaggio industriale. Infatti le maggiori piantagioni brasiliane erano di proprietà del ricchissimo britannico Henry Wiskham, che si doveva però confrontare costantemente con il governo brasiliano il quale, avendo intuito l’importanza di questa materia prima, continuava ad aumentarne i dazi di esportazione e a vietare l’esportazione dei semi della Hevea.
Proprio per sottrarsi a tale situazione, Wuskham riuscì nel 1876 nell’intento di trafugare i semi dell’Hevea spacciandoli per semi di orchidea grazie anche alla complicità di compiacenti agenti doganali brasiliani. Dei 70.000 semi trafugati solo 3.000 giunsero sani in Inghilterra dove grazie alla ricerca dei botanici si organizzò il trasporto verso Ceylon in speciali contenitori che attenuavano gli sbalzi di temperatura Così nel giro di pochi anni presero vita, in gran segreto, le piantagioni nascoste nel centro dell’isola di Ceylon che aveva un clima perfetto per la pianta della gomma. Successivamente Francia, Stati Uniti ed Olanda, con vere e proprie azioni di spionaggio industriale ottennero la disponibilità dei semi che portò la produzione dalle 400 tonnellate del 1840 alle 29.000 del 1890, alle 53.890 del 1900 sino al 1.200.000 di tonnellate del 1939.
Già intorno al 1910 i chimici avevano scoperto che la formazione della gomma si doveva alla presenza di un idrocarburo denominato isoprene, così si riuscì a diversificare la produzione della gomma derivandola anche dal limonene, ricavato dagli agrumi e dalla trementina. La gomma come derivato dagli idrocarburi del petrolio è una scoperta relativamente recente, che avviene negli Stati Uniti durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e da quel momento il caucciù sarà definitivamente soppiantato dalla gomma di origine petrolifera.
La nascita delle gomme
Le prime applicazioni di bande “elastiche” in gomma piena sulle ruote si ha già agli inizi degli Anni ’40 dell’800. Risale al 1845 la grande innovazione della ruota pneumatica ideata dall’ing. Robert William Thomson, il quale registrò il brevetto a Londra per l’utilizzo della gomma pneumatica vulcanizzata sulle carrozze e sui carri per renderne l’avanzamento più agevole e silenzioso. Egli registrerà poi il suo brevetto in Francia nel 1846 e l’anno seguente negli Stati Uniti. L’invenzione di Thomson consisteva sostanzialmente nella applicazione di un tubo di gomma affogata nel cerchione di ferro. All’esterno della camera ad aria era applicato del cuoio molto robusto o della gomma più spessa e meno elastica di quella all’interno. I problemi più importati da risolvere, che diedero origine a numerosi altri “sotto-brevetti”, erano quelli riguardanti il fissaggio della gomma al cerchio e l’usura del battistrada..
Già sulla rivista Mecanic’s Magazine di Londra del 27 marzo 1847 si legge del rilascio da parte di Thomson della concessione alla ditta Whitehurst & Co. per la produzione di questa gomma, in occasione della dimostrazione pubblica avvenuta a Regent’s park il giorno 17 marzo, dove le carrozze munite di queste gomme procedevano in un «sussurro occasionato dal corpo della vettura e dalle parti di essa» e l’avanzamento del mezzo «esige un ben minore sforzo di trazione».
Che si trattasse di ruote pneumatiche lo si apprende dai brevetti ma anche dalla rivista Scientific American di New York che, nel numero dell’8 maggio 1847, descrive la nuova gomma in questo modo: «un tubo vuoto di gomma, del diametro di un piede circa, gonfiato con aria, ricopre ciascuna ruota». Per capire esattamente come era realizzata la copertura dobbiamo far riferimento sempre alla rivista Mecanic’s Magazin, che nel numero del 2 giugno 1849, parlando delle migliorie alle gomme, così le descrive: «Questi perfezionamenti sono di un carattere molto marcato: la copertura che prima era di cuoio è stata rimpiazzata da una copertura confezionata con una specie di tela manifatturata espressamente per questo scopo, e sull’esterno di questa tela, nella parte dove essa è esposta all’usura […] una grossa striscia di gomma è stata incollata sopra.”
L’uso in bicicletta
Per i bicicli l’applicazione delle prime bande di gomma piena sul cerchione di ferro dei bone-shaker avviene negli USA verso la fine del 1868. La notizia si diffuse rapidamente tanto che alla prima gara al mondo di velocipedi, la Parigi-Rouen del 7 novembre 1869, tutti i corridori si presentano con delle nuove “coperture” applicate sopra il cerchione di ferro. Abbiamo così delle strisce di gomma, ma anche delle corde e del cuoio. Tuttavia la difficoltà di tenuta e la pericolosità delle cadute provocate dalla perdita della copertura portarono presto all’abbandono di queste soluzioni empiriche.
Tra i moltissimi tentativi che vengono fatti per dare stabilità alla gomma sul cerchio sarà la gomma Tringlè quella che avrà maggior successo. Si tratta della gomma “piena” , che ancora oggi vediamo applicata sui velocipedi di quegli anni, costituita da un tubo di gomma vuoto all’interno dove viene infilato un filo d’acciaio alle cui estremità è ricavato un filetto e un controfiletto per cui con l’ausilio di un tenditore si riesce a stringere o allargare la gomma sul cerchione.
Un passaggio intermedio verso la gomma pneumatica per i velocipedi è costituito, senza dubbio, dalla gomma semi-pneumatica del 1871 di James Lyne Handcok. Questo tipo di copertura era sostanzialmente un tubo di gomma dura con all’interno una parte spugnosa con la funzione di attutire le asperità del terreno. Sarà questo uno degli pneumatici tanto cari a William Starley, figlio di James, che realizzerà diversi tipi di cerchioni per questo tipo di gomma.
Però, anche se la gomma pneumatica non è più, in senso assoluto, appannaggio esclusivo di John Boyd Dunlop dobbiamo certamente riconoscergli la primogenitura della applicazione al velocipede.
Abbiamo visto quali e quanti sono stati i tentativi di rendere più agevole l’uso del bicicletto attraverso l’utilizzo di una gomma che assorbisse le asperità del terreno. Dunlop, veterinario di origine scozzese trapiantato a Belfast in Irlanda, proprio in funzione della sua professione aveva dimestichezza nell’uso delle cannule di gomma, così avvenne che vedendo il figlio di dieci anni faticare mentre pedalava su un triciclo con gomme piene, nel fangoso cortile di casa, ebbe l’idea di applicarvi un tubo.
Per verificare la sua idea fece un esperimento realizzando un disco di legno incavato sul bordo esterno cui applicò un tubo di gomma, fissato per incollaggio, gonfiandolo per mezzo di una valvola come quella dei palloni di calcio, quindi fece rotolare simultaneamente la ruota del triciclo del figlio, munita di gomma piena, e il disco di legno con lo pneumatico. Quest’ultimo fece una percorrenza quasi doppia.
Quindi commissionò alla ditta Edin & Sinclair la costruzione di un triciclo con delle forcelle più larghe per poter ospitare gli pneumatici. Per mantenere la segretezza dell’invenzione i Dunlop, padre e figlio, uscirono in strada nella notte di luna piena del 28 febbraio 1888, alle 10 di sera, per testare l’invenzione che si dimostrò subito eccellente tanto da spingerli a presentare la domanda di brevetto il 27 luglio, che venne concesso il 7 dicembre 1888 con il n. 10607.
Conquista globale
Fallito il tentativo di cedere il brevetto alla fabbrica di bicicli Singer per 275 sterline, Dunlop pensò di sfruttarlo direttamente attraverso la costituzione della ditta The Pneumatic tyres and boots Cycles Agency. Poi, a distanza di pochissime settimane, fu costituita con Edin & Sinclair e Harvey du Cros la Dunlop Pneumatic Tyres Co. Ltd., la quale ben presto si espanse all’estero con proprie fabbriche e ancora oggi è uno dei colossi mondiali del settore. Dunlop seppe magistralmente sfruttare lo sport ciclistico per imporre il proprio prodotto. Infatti nel 1889 affidò i suoi pneumatici a un mediocre corridore, William Hume, il quale si impose in tre competizioni del Queen’s college di Belfast dimostrando così l’efficacia della sua invenzione.
C’è da chiedersi perché Robert Wiliam Thomson non abbia avuto il riconoscimento che merita e anzi se ne sia persa quasi la memoria. Certamente l’oblio di Thomson è da addebitare al fatto che la sua invenzione trovò applicazione su poche carrozze e non ottenne mai quella diffusione che invece, grazie al felice momento per i velocipedi, ottennero gli pneumatici di Dunlop. Si pensi infatti che nel 1890 i ciclisti nel Regno unito erano 500.000, in Francia 250.000, in Germania 150.000 e in Italia 50.000.
Ma la storia delle invenzioni corre veloce soprattutto quando si tratta di migliorare il prodotto. Infatti gli pneumatici di Dunlop, per quanto fossero stati ampiamente irrobustiti, rimanevano molto esposti al rischio forature: le strade dell’epoca erano irte dei chiodi che si staccavano dai ferri dei cavalli, ma soprattutto non erano di facile riparazione. Allo sfortunato velocipedista che si trovava con la gomma forata non restava che andare da un meccanico con le istruzioni d’uso e attendere anche otto ore tra smontaggio, rimontaggio e presa del collante di riparazione.
Francia e Italia
Fu grazie ad Edouard Michelin che nacque, nel 1891, il copertone quasi come lo vediamo noi oggi. Michelin era titolare di un avviato laboratorio, a Clermont-Ferrand nella Francia centrale, che produceva articoli in gomma per uso industriale, aveva intuito che la gomma Dunlop era notevolmente limitata e che era necessario semplificarne la riparazione per renderne l’uso più generalizzato. Avviò così una serie di sperimentazioni col suo collaboratore, l’ingegnere Laroche, al quale era solito dire: «occorre che lo pneumatico possa essere smontato riparato e rimontato in un quanto d’ora da un imbecille qualunque non da un meccanico».
Nacque così l’idea di sdoppiare lo pneumatico con una camera d’aria elastica collocata all’interno e una copertura molto robusta all’esterno che si fissava al cerchio. La camera d’aria poteva essere sostituita velocemente in caso di rottura e non essendo fissa non aveva bisogno di collanti. La copertura esterna invece era unita al cerchio per mezzo di due cavetti in acciaio fissati ad un supporto a T che fungeva anche da tenditore e che era relativamente facile smontare. Sarà Andrè, che scriverà da Parigi al fratello Edouard: «Le Petit Journal organizza la corsa Paris-Brest e ritorno, se ne parlerà moltissimo. Occorre vincerla!». E la vinsero! Fu grazie a Charles Terront che percorse i 1208 Km in 61 ore e 30 minuti montando gomme Michelin.
Ma anche l’Italia sarà presente nella competizione delle gomme grazie a Gian Battista Pirelli cui si deve, nel 1892, l’idea dello Pneumatico Milano, un copertone con fissaggio a tallone che permette l’eliminazione dei cavetti essendo la tenuta garantita dalla pressione della gomma.
Altra grande invenzione di Pirelli sarà lo pneumatico speciale pista con la camera d’aria e la copertura esterna a tele incrociate che permette di raggiungere pressioni di pompaggio più alte con la conseguenza che uno pneumatico più duro fa meno resistenza all’avanzamento. Tale soluzione applicata ai normali pneumatici stradali dei bicicletti li renderà meno soggetti alle esplosioni estive.
Una storia che poi continua ancora al giorno d’oggi con migliorie costanti e con il ritorno alle tubeless quasi tipo Dunlop. Insomma, flussi e riflussi della vicenda umana.