Realizzare un numero di Biciclette d’Epoca è una bella esperienza per tante ragioni.
Lo è in primis per la stragrandissima maggioranza delle persone con cui si ha a che fare. Lontano dai social – dove ogni tanto si leggono flame epocali su argomenti di vario tipo – la vita “analogica” degli appassionati di ciclismo d’epoca è decisamente gradevole e popolata di persone che sono manifesti viventi del perché questo mondo sia così affascinante per tutti coloro che vi si avvicinano. Può essere un punto di vista un po’ ingenuo e illusorio ma visto che nelle storie d’amore – e questa lo è – l’illusione è una componente importante, ce lo teniamo stretto.
C’è poi una bellezza che deriva da un’importante responsabilità che ci si sente tutti un po’ addosso alla quale abbiamo dato un nome fatto di tre parole: “cultura della bicicletta”. Non è che se ne parli sempre schiettamente in questi termini con tutti coloro che partecipano alla febbrile vita di questa rivista ma questo – in sostanza – è ciò che ci proponiamo di fare e numero dopo numero cerchiamo di mettere il nostro lavoro sempre più a fuoco in questa direzione.
Il termine “cultura della bicicletta” abbraccia davvero tante cose e tutte le trovate nelle nostre pagine, dalla storia del ciclismo (e dei corridori) a quella delle biciclette, dai tutorial alla cultura generale che ruota attorno a questo mondo, fatta di libri, mostre, ciclostoriche. È in quest’ottica che dev’essere letta la scelta del “pezzo di copertina” di questo numero, dedicato ai Moschettieri dell’Atala. Un tema che su questa rivista è stato sfiorato, trattato di sguincio ma mai consistentemente approfondito. E a un certo punto ci è sembrato giusto farlo, per dare a tutti i nostri lettori la possibilità di costruire un background alle storie di Galetti, Gerbi, Pavesi e di tutti quei nomi d’inizio Novecento che se ci guardiamo indietro sono 100 anni fa e più.
Parlare di questi personaggi è un compito difficile, da veri studiosi della bici, perché non è che basti fare un giro sul web per raccontare quell’epoca. Lo sa bene Marco Pasquini, che si è occupato di questo articolo. Ma lo sa ancora meglio Carlo Delfino, che non ringrazieremo mai abbastanza per il fatto di mettere a nostra disposizione – di noi appassionati e lettori di BE – non solo il suo infinito scibile sulla materia del ciclismo d’epoca ma anche il suo prezioso e unico archivio fotografico, che ci permette ogni volta di proporre materiale inedito come quello che lui raccoglie da decenni anche attraverso foto semisconosciute fatte da appassionati a bordo strada che, in qualche modo, finiscono nelle sue esperte mani.
È anche questo materiale, catalogato con cura, che ci permette di provare a diradare quella nebbia che avvolge le storie dei tempi che furono, prima che esistesse la televisione, la radio, quando l’esito delle gare si sapeva se andava bene il giorno dopo dai giornali. Da qui ripartiamo, in questo numero e per ogni numero, mentre ci affacciamo a un nuovo anno che – speriamo – ci faccia lasciare alle spalle i mesi difficilissimi che abbiamo attraversato.
Alessandro Galli
info@biciclettedepoca.net