Pochi minuti fa, mentre mi preparavo a scrivere questo editoriale, si è conclusa la gara d’inseguimento a squadre su pista, che ha visto trionfare i nostri Francesco Lamon, Simone Consonni, Jonathan Milan e Filippo Ganna contro la fortissima Danimarca.
Per l’Italia non è solo oro olimpico ma anche record del mondo, grazie a uno strepitoso recupero nel finale del solito Pippo Ganna, che non sembra neanche vero ma per nostra fortuna lo è. Un’impresa eccezionale che ci ha riportato indietro nel tempo all’ultima affermazione italiana in questa spettacolare disciplina della pista: il quartetto composto da Luigi Arienti, Franco Testa, Mario Vallotto e Marino Vigna alle grandi Olimpiadi di Roma 1960.
Gaiardoni, Livio Trapé, Antonio Bailetti, Ottavio Cogliati, Giaco- mo Fornoni, Sergio Bianchetto, Giuseppe Beghetto e i già citati protagonisti dell’inseguimento a squadre: questi i protagonisti di quella strepitosa Olimpiade che abbiamo voluto rievocare per tutti quelli che allora non c’erano – e sono tanti – ma che si sono comunque appassionati a quelle imprese. L’abbiamo fatto andando a interpellare i medagliati di Roma, quasi tutti ancora tra di noi dopo 61 anni e con ancora vividissimi ricordi di quelle imprese. Ripercorrere l’edizione romana è stato davvero un per- corso molto bello, emozionante, che ci ha fatto riscoprire – dato che siamo stati coinvolti in tanti, della redazione – le radici della passione italiana per il ciclismo, i suoi campioni, le sue storie.
Così ha commentato a caldo proprio Vigna, raggiunto al telefono da Marco Pasquini: «In tanti mi hanno chiamato o mandato messaggi. Dopo 60 anni mi
sono emozionato. Ho rivissuto quel mio momento. Sono letteralmente volati. Mi fa veramente piacere, se pensiamo che in precedenza abbiamo avuto grosse delusioni, non pensavo che ci avremmo messo così tanto tempo. Un bravo va detto al CT Villa e, questo non lo dice mai nessuno, alle squadre che lasciano i corridori alle nazionali. Un tempo la pista era vista come una perdita di tempo, adesso invece si è compreso che un grosso risultato può essere un beneficio anche per i team. Ganna fortissimo, e hanno capito come contenerlo, perché altrimenti avrebbe spaccato il quartetto. Poi sono tutti giovani, non solo i titolari ma anche le riserve, abbiamo davanti un bell’avvenire».
Non siamo caduti dal pero – come si dice – perché già da mesi avevamo deciso di dedicare questo numero di BE proprio alle grandi Olimpiadi romane, rimaste nel cuore degli appassionati di ciclismo come nessun’altra edizione grazie ai numerosi successi italiani e ai campioni che li hanno resi possibili. Sante Gaiardoni, Livio Trapé, Antonio Bailetti, Ottavio Cogliati, Giacomo Fornoni, Sergio Bianchetto, Giuseppe Beghetto e i già citati protagonisti dell’inseguimento a squadre: questi i protagonisti di quella strepitosa Olimpiade che abbiamo voluto rievocare per tutti quelli che allora non c’erano – e sono tanti – ma che si sono comunque appassionati a quelle imprese. L’abbiamo fatto andando a interpellare i medagliati di Roma, quasi tutti ancora tra di noi dopo 61 anni e con ancora vividissimi ricordi di quelle imprese. Ripercorrere l’edizione romana è stato davvero un per- corso molto bello, emozionante, che ci ha fatto riscoprire – dato che siamo stati coinvolti in tanti, della redazione – le radici della passione italiana per il ciclismo, i suoi campioni, le sue storie.
Purtroppo Tokyo 2020 non ci ha regalato gli stessi successi. Mentre scrivo, oltre all’inseguimento a squadre sono arrivate “solo” le medaglie di Elisa Longo Borghini nella prova su strada e di Elia Viviani nell’omnium su pista. Ma certamente replicare quell’edizione romana sarebbe stata un’impresa quasi impossibile. Resta il fatto che l’appuntamento olimpico ha un fascino unico, che unisce il Paese e il suo sentimento e ci porta tutti a tifare per i nostri campioni, incitandoli a dare il massimo in tutte le competizioni in cui sono coinvolti, non solo quelle ciclistiche. È questa la grande bellezza dello sport, che tanto ci coinvolge e ci appassiona, che ci fa riconoscere nelle imprese altrui. Perché tutti – tornando al ciclismo – abbiamo provato la fatica delle salite, le picchiate delle discese, lo strenuo impegno che serve per stare al vento quando si va al massimo e si deve tirare il gruppo. Questo è quello che ci unisce e in cui ci ricono- sciamo. È per questo che sentiamo un po’ nostre queste grandi imprese, per le quali dobbiamo essere grati.
Alessandro Galli
info@biciclettedepoca.net