I Campionati del Mondo di ciclismo sono oggi la più importante competizione sportiva annuale tra nazioni, oltre che una delle massime espressioni dell’agonismo e un evento organizzativo impegnativo e globale.
Ma non è sempre stato così. Tra la fine degli Anni ’60 e l’inizio degli Anni ’70 del 1800 si assistette alla nascita dei primi Veloce Club che poi gradualmente, e spesso con grande tribolazione – come nel caso dell’Italia – diedero il via alle federazioni nazionali, come per esempio l’UVI (Unione Velocipedistica Italiana), con lo scopo – in vero alquanto complesso – di fissare i regolamenti per le gare di bici e organizzare i primi campionati a livello nazionale.
I proto-campionati del mondo
Negli Anni ’80 dell’Ottocento si avvertiva già forte l’esigenza di dare una valenza transnazionale al velocipedismo. Purtroppo, mancando un’organizzazione mondiale, i primi tentativi di campionati del mondo avevano la caratteristica di tornei tra due o tre nazioni. Il 24 marzo 1883, al velodromo Alwstone Road Ground di Leicester (Inghilterra), si tenne la prima gara che si fregiò dell’altisonante titolo di “Campionato del Mondo di Resistenza”.
Ovviamente erano gare in pista. Quelle su strada tardarono ad affermarsi perché ritenute meno spettacolari e soprattutto meno adatte alle esigenze di cassa degli organizzatori. Il regolamento di quel primo proto-campionato del mondo prevedeva due prove annuali: la marca di biciclo che si fosse per prima aggiudicata due vittorie avrebbe portato a casa una coppa in argento di considerevole peso. Vi presero parte solo i dilettanti. Eravamo ancora nel periodo in cui, soprattutto in Inghilterra, il professionismo era visto molto male e coloro che traevano guadagno dall’attività sportiva erano criticati e considerati come sfruttatori dello sport. Erano presenti solo due nazioni, Francia e Inghilterra, e il vincitore fu il francese Federique de Civry, che percorse gli 80 km in 3 ore 13 minuti e 14 secondi. Il 4 agosto 1883 si corse la seconda prova e vinse l’inglese Fred Wood su biciclo Humber.
Nel 1884 venne ampliata la tipologia delle gare che, oltre a quella di resistenza sempre di 80 km prevedeva anche la mezzo fondo di 20 miglia, di 10 miglia e di velocità sul miglio. A questa seconda edizione parteciparono anche gli americani. La prima gara di resistenza si corse il 12 aprile e fu vinta dall’inglese Battensby. Alla seconda del 5 luglio vinse ancora Fred Wood, che stabilì il record in 2 ore 47 minuti e 20 secondi con una Humber che venne così proclamata vincitrice della coppa. Tuttavia, molto cavallerescamente, la coppa venne rimessa in palio a favore del corridore che avesse vinto almeno tre gare.
Seguirono alcuni anni senza questo campionato, che riprese con l’edizione del 1888, mentre nel 1889 a Birmingham si corse il primo proto-campionato del mondo su strada sulla distanza delle 100 miglia, vinto dal francese Charles Terront in 5 ore 58 minuti e 20 secondi, unico corridore a giungere al traguardo. Tra i suoi avversari chi aveva resistito di più fu Robb, che si ritirò al 68° miglio. La mancanza di un’organizzazione internazionale che elaborasse un regolamento condiviso destituiva di ogni interesse queste e le altre iniziative similari organizzate in Germania nel 1890.
I primi campionati del mondo su pista
L’Italia fu tra le prime nazioni a sostenere la necessità della fondazione di un organismo sovranazionale. Interessante fu l’intervento dell’avv. Gustavo Brignone, segretario dell’UVI, all’Hotel Feder di Torino il 18 maggio 1890, in occasione della cena di gala per le gare internazionali che si tenevano in quei giorni al Velodromo Umberto I. La retorica domanda che egli si pose nel discorso fu: «Poiché in ogni paese oramai le società ciclistiche sono legate in unioni nazionali, è quindi impossibile che si formi un’Unione Universale?».
La risposta, che costituiva la sostanza del discorso, trovò molta eco sulla stampa specializzata nazionale e sosteneva l’ormai indifferibile necessità di una Federazione Internazionale che avesse il compito di formare un regolamento per un Campionato Mondiale. Nel discorso Brignone auspicava che l’unione internazionale fosse proposta da Francia, Svizzera e dalle altre nazioni presenti all’incontro di Torino, che avrebbero dovuto porre la sede dell’organismo internazionale a Ginevra. Si dovettero aspettare ancora due anni prima di arrivare alla costituzione di un organismo transnazionale. I tentativi effettuati dalla Germania nel 1891 e dalla Svizzera agli inizi del 1892 finirono nel nulla per scarsità di adesioni.
Fu invece l’Inghilterra ad avere successo nell’iniziativa proposta dalla National Cyclist’s Union nella lettera, datata settembre 1892, che invitava le varie unioni nazionali, tra le quali l’UVI, ad aderire alla costituzione di una federazione ciclistica internazionale e quindi a partecipare alla fondazione della stessa, che si sarebbe tenuta in novembre a Londra in occasione dell’Esposizione Internazionale del Ciclo. All’UVI fecero un po’ di confusione. Invece di inviare la lettera formale di adesione alla costituzione dell’organismo internazionale, inviarono una lettera nella quale nominavano il sig. Giuseppe Bonetti di Torino quale delegato per la costituzione.
Quando il povero Bonetti si presentò a Londra il 23 novembre, fu escluso dal consesso costitutivo per mancanza di adesione formale all’iniziativa ed ebbe la magra consolazione di essere ammesso solo come osservatore.
Comunque, il 24 novembre 1892 venne firmata la costituzione della ICA (International Ciclist Association), i cui firmatari erano Ligue Velocipedique Belge (Belgio), League of American Wheelmen (USA), Canadien Wheelmen Association (Canada), Dansk Bicycle Club (Danimanrca), Deutsche Radfahrer Bund (Germania), National Cyclist’s Union (Inghilterra), Union Velocipedique de France (Francia) e Algemeine Nederlandsche Wielrijders Bund (Olanda).
Nella stessa riunione fu deliberato che il primo campionato del mondo si sarebbe tenuto nel 1893 a cura della League of American Wheelmen, la quale ne delegò l’organizzazione all’Associated Cycling Club di Chicago. La ragione di questa scelta era basata su due ragioni fondamentali: innanzitutto Chicago sarebbe sta sede del grande Expo Universale, inoltre quel club aveva fama di essere particolarmente organizzato e soprattutto ben strutturato finanziariamente.
Il Cycling Club ebbe la forza di trasformare temporaneamente il campo di baseball del Chicago Base Ball Club, sito al 35 di Wintworth Avenue, in un velodromo con una avveniristica pista costituita da una struttura portante in legno e fondo antiscivolo in cemento.
Il campionato si corse dal 7 al 12 ottobre 1893 con tre specialità: velocità, mezzofondo di 10 km e resistenza con allenatori di 100 km. Per le gare venivano utilizzate le biciclette, non più i bicicli. I corridori iscritti provenivano essenzialmente da USA, Canada e Sud Africa. Questo evento mondiale elevò all’onore del podio in ben due specialità, velocità e mezzofondo, l’americano Arthur Augustus Zimmerman, un colosso di oltre un metro e novanta di altezza dalla pedalata potentissima, che in quegli anni raggiunse l’apice del successo con tour europei in Inghilterra nel 1892, Francia e Italia nel 1894. La gara di resistenza fu appannaggio del sudafricano Laurents Maintjes.
Finalmente i professionisti
A seguito di una visione estremamente romantica – e inglese – dello sport, i corridori ammessi ai Mondiali erano solo i dilettanti, in quanto i professionisti non erano ritenuti veri sportivi perché si riteneva che essi facessero del “mercimonio”, non dello sport. Poco importava che lo stesso “dilettante” Zimmerman nel tour inglese del 1892 avesse portato a casa premi di valore inestimabile contenuti in dieci casse, oltre a due carrozze, una pariglia di cavalli purosangue inglesi e un cofano blindato per riporvi tutti i premi costituiti da orologi d’oro, gioielli, pietre preziose e perle. Nel 1894 i campionati si svolsero in Belgio e furono riservati ancora ai dilettanti.
Finalmente, nel 1895, furono ammessi i professionisti. Questa fu una decisione obbligata da parte dell’ICA, che temeva il calo d’interesse nei confronti dei suoi campionati a tutto vantaggio delle gare riservate ai professionisti, come il Gran Prix de la Ville de Paris, che ormai richiamavano l’attenzione del pubblico, al quale non interessava assolutamente nulla della purezza dello sport non inquinato dal mercimonio e voleva vedere corse spettacolari, imprese memorabili e audaci come solo i professionisti potevano proporre.
Purtroppo questo primo campionato professionistico, nato nel segno dell’incertezza, finì sotto quello della comicità. L’incertezza la si constatò al momento dell’assegnazione. Infatti, Francia e Germania ebbero parità di voti nel consiglio dell’ICA e il presidente, anziché attivare una mediazione, fece valere lo statuto che prevedeva, in caso di parità, che il suo voto valesse doppio. Così toccò alla Germania organizzare il primo Campionato del Mondo professionisti su pista. Colonia fu la città prescelta e il Deutsche Radfahrer Bund l’ente incaricato dell’organizzazione.
La gara di resistenza non diede problemi e fu appannaggio dell’inglesino Jimmy Michael. La gara di velocità fu invece l’apoteosi della confusione, che sfociò nella comicità. Sette i corridori iscritti: il velocista americano Banker, i due belgi Protin e Huet, il mezzofondista tedesco Hofmann e gli stradisti Gerger (austriaco) e Weeck e Rosenstengel, ancora tedeschi. Gli organizzatori imposero una prima batteria, formata solo dai velocisti e dal mezzofondista, e una seconda solo con gli stradisti: i primi due di ogni batteria sarebbero andati in finale. Questa decisione non piacque a nessuno e tanto meno alla stampa, la quale riteneva che la prima batteria valesse già come una finale. L’inflessibile giuria confermò però le sue decisioni.
Come se ciò non bastasse, alla partenza della prima batteria successe il caos. I corridori erano Banker, Hofmann, Huet e Protin, schierati in questo ordine dall’esterno verso l’interno della pista. Contravvenendo alle regole fu data la partenza lanciata, anziché da fermo col colpo di pistola. Al passaggio in velocità dei corridori davanti alla linea di partenza il maldestro commissario addetto al via colpì con l’asta del vessillo l’occhio sinistro di Protin, le cui proteste a nulla valsero. Egli arrivò terzo, quindi era fuori dalla finale. Prima della partenza della finale il belga Protin, appoggiato della Ligue Vélocipèdique Belge, vide la giuria accogliere il suo reclamo e quindi corse la finale. Banker impugnò questa decisione minacciando di non presentarsi al nastro di partenza. Dopo le mediazioni dei giornalisti decise però di partecipare. L’ordine di arrivo della finale sembrava prendersi beffa del destino: primo Protin, secondo Banker, terzo Huet. Ma Banker inoltrò reclamo. La decisione dell’ICA, ritenendo illegittima la partecipazione di Protin alla finale, annullò la prova e stabilì, stranamente, di ripeterla a Parigi il 15 settembre al Velodrome de la Seine.
La Germania non era ovviamente d’accordo e il Deutsche Radfahrer Bund minacciò di non versare all’ICA la quota degli incassi che le spettavano, se la finale non fosse stata rifatta in Germania. Ma anche la Ligue Vélocipèdique Belge non restò ferma e diffidò i propri corridori Protin e Huet dal partecipare alla ripetizione della finale fissata a Parigi. Al Velodrome de la Seine il 15 settembre si presentò solo Banker per ripetere la gara dei 1.609 metri che effettuò in 2’04”. Ma l’ICA, nonostante il discredito ricevuto dalla stampa, decise di non ritenere valida la gara in solitario di Parigi e riconvocò la ripetizione della finale a Colonia per il 29 settembre, dove si presentarono solo Gerger e Weeck. Per fortuna la giuria decise di non far partire la gara per l’assenza di Banker, Protin e Huet. Nel frattempo, però, la Lega Belga deliberò l’uscita dall’ICA qualora entro il 15 dicembre 1895 non fossero state annullate dalla stessa federazione internazionale tutte le decisioni precedenti e assegnato definitivamente il premio a Protin. Per fortuna nessun’altra associazione nazionale fu così risoluta nel difendere gli interessi dei propri corridori, altrimenti si sarebbe verificata una spaccatura in seno all’ICA., la quale si rimangiò tutte le decisioni e, finalmente, confermò il titolo a Protin.
Il primo Campionato del Mondo in Italia
L’Italia si aggiudicò l’organizzazione dei campionati nel 1902 e la città chiamata a ospitarli fu Roma, nel velodromo di Porta Salaria che aveva uno sviluppo di 500 metri. Purtroppo la limitata pendenza delle curve non permise di ospitare il campionato dietro allenatori meccanici, che venne effettuato in Germania. I colori italiani erano difesi solo da Bixio e Ferrari, in quanto Eros e Momo, sebbene iscritti, dovettero dare forfait a seguito di incidenti avvenuti nel periodo antecedente il Mondiale. Le gare si tenevano a metà giugno, il giorno delle finali era fissato per il 15.
L’evento ebbe anche un suo momento di suspence proprio a causa di Bixio quando, alla terza semifinale, per lo scoppio della gomma di Arend, ci fu la caduta a tre che coinvolse anche Lawson, il quale si mise a correre a piedi con Bixio verso il traguardo. Tuttavia il corridore italiano, avvertito che doveva tagliare il traguardo con la bicicletta, tornò indietro e caricarsi in spalla il mezzo, tagliando così validamente il traguardo al secondo posto.
Il vincitore fu Ellegaard che, oltre i premi istituzionali, ricevette in dono da re Vittorio Emanuele III, presente alla finale, un orologio d’oro con il simbolo reale tempestato di diamanti. Purtroppo il prezioso gioiello, dopo qualche tempo, fu rubato dagli spogliatoi del velodromo di Parigi mentre il corridore danese faceva allenamento in pista.
Il primo campionato su strada
Le gare su strada erano considerate di scarso interesse: volete mettere la bellezza di godersi la spettacolare velocità di un pistard? Così anche i Campionati del Mondo su strada risentirono moltissimo dello scarso appeal che aveva tale tipo di competizione. A nulla valsero le costanti insistenze italiane in seno all’ICA e ancora meno interessava se manifestazioni come il Tour di France o il Giro d’Italia stavano avendo un grande successo di pubblico. Si dovette arrivare al 1920 per vedere soddisfatte le istanze di Italia, Francia, Germania e Belgio per ottenere una gara su strada valida per il titolo mondiale. Si trattava però di una gara a cronometro, tra l’altro per dilettanti, che si corse in Danimarca nel 1921.
Ci vollero ancora ben due congressi dell’ICA, nel ’21 e ’22, per vedere finalmente approvato il campionato su strada con partenza in linea, anche se ancora riservato ai dilettanti. La Svizzera ospitò questo primo campionato sul percorso Zurigo-Basilea-Zurigo. E fu subito Italia!
La prima parte del percorso si svolse sotto la pioggia, ma questo non ridusse la combattività dei concorrenti, e vide quasi subito la fuga di Leducq, Wambst, Bonney, De Cat e dell’italiano Vallazza. I fuggitivi furono ripresi ma sulla salita prima di Basilea ci fu la fuga di nove uomini. Gli italiani seppero fare gioco di squadra per cui si misero d’accordo e, sulla strada di ritorno a Zurigo, riuscirono a rimontare, permettendo a Magnotti e Ferrario di inserirsi nel gruppo degli inseguitori che, nel frattempo, si era assottigliato a soli tre corridori.
A 500 metri dall’arrivo Magnotti e Ferrario partirono da dietro anticipando la volata. A 350 metri Leducq, Eichenberger e Antenen si stavano pericolosamente avvicinando ai due italiani. Magnotti riuscì a contenere l’attacco degli stranieri sino a 200 metri del traguardo, ma poi dovette cedere. A quel punto Ferrario fece un ultimo sforzo, si staccò dal compagno aumentando ancora l’andatura, riuscendo a tenere dietro gli avversari e tagliando per primo il traguardo, con Magnotti quarto. Con Vallazza sesto e Ciaccheri nono l’Italia riuscì a collocare tutti i suoi quattro atleti nei primi dieci posti, un successo assoluto.
Il primo campionato su strada professionisti
Si dovette aspettare sino al 1927 per veder scendere sulla strada i professionisti con il primo Campionato del Mondo su Strada che si corse ad Adenau in Germania. Questa per l’Italia è una storia estremamente importante che vedremo nel dettaglio sul prossimo numero di Biciclette d’Epoca.
[continua sul prossimo numero]