Talvolta le biciclette d’epoca databili prima degli Anni ’40 presentano punzonati sul telaio dei “bolli” che riportano un anno specifico. Non si tratta dell’anno di produzione del modello ma, come in molti già sanno, del contrassegno che certifica il pagamento della Tassa sui Velocipedi, l’equivalente storico del bollo per le auto, che sarebbe stato introdotto qualche decennio dopo rispetto a quando le biciclette iniziarono a pagarlo, alla fine dell’Ottocento. In queste pagine vogliamo raccontare la genesi di questa tassa e mostrare le immagini di tutti i bolli che siamo riusciti a recuperare, in modo da aiutare i collezionisti a riconoscerne l’originalità e a orientarsi all’interno di una questione che abbraccia circa quarant’anni della storia ciclistica d’Italia.
NASCE LA LEGGE
La Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 28 luglio 1897 pubblica la legge n.318, su regia iniziativa e approvazione di Senato e Camera dei Deputati. Di seguito la prima parte del testo:
Legge 22 Luglio 1897, n. 318.
UMBERTO I
Per grazia di Dio e volontà della Nazione
– Re d’Italia –
Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato;
Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue:
Art.1.
È imposta, a partire dal 1° Gennaio 1898, una tassa annuale sui velocipedi.
La tassa è dovuta dai possessori, a qualunque titolo, di velocipedi a una o più ruote, di macchine e di apparecchi assimilabili ai velocipedi, comunque siano messi in movimento quando si facciano circolare sulle aree pubbliche. La tassa è: – di lire 10 per i velocipedi da una persona
– di lire 15 per quelli da più persone
– di lire 20 per macchine velocipedi messi in moto con motore meccanico. […]
Si tratta della prima legge a carattere nazionale riguardante la tassazione dei velocipedi e che conseguentemente abolisce e uniforma le varie tasse comunali istituite pochi anni prima da parte di alcuni comuni italiani. A Milano, per esempio, la circolazione dei velocipedi all’interno della cerchia dei navigli venne autorizzata nel 1893 e nel giro di pochi anni la legislazione tributaria – già dal 1895 – impose il pagamento annuale di 12 lire per ogni velocipede in circolazione sul territorio. A Roma, invece, per lo stesso scopo se ne dovevano versare 6.
Dal 1898 quindi, per i velocipedi circolanti nelle aree pubbliche di tutto il territorio nazionale, occorreva comprovare il pagamento della tassa di 10 lire, pena vedersi elevata una sanzione. La sola prova del pagamento della tassa era costituita dal contrassegno che l’Ufficiale dei Pesi e delle Misure dell’ufficio comunale di residenza applicava al telaio della bicicletta mediante un sigillo. Non appena acquistato un velocipede, infatti, il proprietario doveva portarlo – rigorosamente a mano – all’ufficio metrico comunale, dove un impiegato, dopo aver registrato i dati anagrafici, chiudeva il contrassegno al telaio con una tenaglia bollatrice.
Tutti i pubblici ufficiali del Regno erano tenuti al controllo del pagamento mediante il contrassegno applicato. I possessori di velocipedi trovati in circolazione sforniti del bollo subivano il sequestro della macchina in garanzia dell’esazione della tassa e di una multa pari al doppio della tassa stessa. Il pubblico ufficiale che scopriva la contravvenzione aveva diritto a ricevere metà delle multe.
Va ricordato, per capire l’ordine dei costi, che il salario medio giornaliero dell’epoca era di 1 lira, e che le biciclette in commercio avevano un prezzo minimo intorno alle 270 lire per i modelli più popolari, 400 per i modelli di marchi prestigiosi e circa 800 per i tandem.
QUATTRO DECENNI
Come già detto, la Tassa sui Velocipedi venne riscossa per circa 40 anni, cambiando poco nel tempo le linee guida dell’applicazione della legge del 1897, che rimase in vigore fino al 1938. Erano esenti dal pagamento della tassa i militari e gli agenti di bassa forza che si servivano della bicicletta per ragioni di servizio, gli infermi indigenti che ne avevano bisogno per spostarsi, i velocipedi appartenenti a stranieri coperti da bolletta di importazione e – infine – i velocipedi presenti all’interno delle fabbriche o che circolassero esclusivamente in aree private.
Questa tassazione, oltre a fornire entrate economiche al giovane Regno d’Italia, ci restituisce anche i primi numeri del fenomeno “cavallo di ferro”, fino ad allora considerato emergente e difficilmente inquadrabile dal punto di vista della diffusione in termini statistici. Nel 1898 sono almeno 185.000 i velocipedi circolanti in Italia su una popolazione complessiva di circa 32 milioni di abitanti. A Milano vennero pagate 9359 tasse sui velocipedi su una popolazione di circa 500.000 persone: circolavano quindi quasi 19 bicicletti ogni 100 abitanti, mentre la media nazionale non raggiungeva i 6 bicicletti ogni 100 abitanti.
Il velocipede (che abbiamo chiamato “bicicletto” perché così venivano definiti prima dell’introduzione degli pneumatici) era quindi un mezzo diffuso soprattutto tra la popolazione più abbiente. Solo con il tempo sarebbe diventato un veicolo “popolare” che avrebbe visto, all’interno del catalogo di ciascun marchio, alternarsi modelli a basso costo con vere e proprie fuoriserie – per i costi dell’epoca – riservate solo ai più ricchi. Nel secondo dopoguerra, con la grande diffusione dell’auto e soprattutto dei primi ciclomotori (Vespa e Lambretta), la bicicletta perse gradualmente d’importanza come veicolo principale per gli spostamenti. Già a partire dalla fine degli Anni ’30, comunque, la tassa di circolazione per le biciclette venne abrogata mentre si continuò a pagare il bollo sui veicoli a motore come accade ai giorni nostri.
A cura di: Luca Pit Sito: registrostoricocicli.com FB: Registro Storico Cicli Foto e consulenza: Ciclocollection
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In questa pagina potete trovare (quasi) tutti i contrassegni emessi dallo stato italiano in merito alla Tassa di Circolazione dei Velocipedi. Nella prima foto potete vedere il primo che ne certificava il pagamento e che venne applicato tutto il territorio nazionale a partire dal 1898. Al centro è possibile vedere lo stemma araldico di Casa Savoia. La forma venne modificata di anno in anno, per contrastarne la contraffazione e, attraverso le fotografie, è possibile leggere in sottotraccia la storia dell’Italia di quei tempi, con la progressiva comparsa di simboli del Ventennio fascista, e il cambiamento dei materiali costruttivi. Si ringrazia il Registro Storico Cicli per aver reso disponibile questo materiale.