La prima gara italiana di velocipedi, degna di essere assunta ad evento agonistico, fu la Firenze-Pistoia che si disputò il 2 febbraio 1870.
Firenze ebbe questa primogenitura perché capitale d’Italia e come tale stava vivendo uno dei periodi più vivaci e più internazionali della sua storia recente.
Siamo alla fine degli Anni ’60 dell’800 che hanno visto realizzarsi l’Unità d’Italia (1861) ma nel quale si sta vivendo ancora un periodo di forti tensioni. In Europa la politica di unificazione doganale tra la i regni di Prussia, Baden, Wüttemberg e Baviera, avviata dal cancelliere Otto Von Bismark, unitamente alle mire sul Lussemburgo da parte di Napoleone III porterà presto alla guerra franco-prussiana del 1870-1871. Nella neonata Italia è più che mai aperta la questione romana con il Papa Pio IX che, appoggiato dal francese Napoleone III, si ritiene prigioniero del Re d’Italia. Questa situazione di stallo si risolverà solo il 20 settembre 1870, quando Vittorio Emanuele II, approfittando della sconfitta dei francesi a Sedan, darà l’ordine ai bersaglieri del generale Raffaele Cadorna di entrare a Roma aprendo la famosa breccia di Porta Pia.
Ma quegli anni sono caratterizzati anche dall’Expo universale di Parigi del 1867 che tanta importanza ha avuto per lo sviluppo e la diffusione dei velocipedi. Non dimentichiamo che, proprio grazie al grande numero di ordinativi ricevuto durante questo Expo, Pierre Michaux si vedrà costretto a stringere accordi societari con i fratelli Olivier per poter aumentare la produzione, mentre altre aziende francesi produttrici dei boneshakers -così gli inglesi chiamano i bicicli tipo Michaux- saranno costretti a stingere accordi con società di Birmingham e Coventry per incrementare la loro produzione.
Sarà grazie all’esposizione parigina che l’alessandrino Carlo Michiel acquisterà il velocipede, ovviamente di marca Michaux, per portarlo nella sua città lasciando tutti sbalorditi ed aggiudicandosi così il primato di primo velocipedista a pedali italiano. Ho precisato “a pedali” perché sicuramente già erano state importate in Italia delle draisine, basti pensare a quella appartenuta ai nobili cremonesi Ala Ponzone Cimino, ora custodita nel Museo Civico della città.
L’Italia è presente all’Expo dove esibisce soprattutto opere d’arte. La nostra industria, infatti, è ancora molto arretrata rispetto a quella di altri paesi europei. Grazie però all’incessante lavoro dell’Istituto Tecnico Toscano saranno illustrate le ricerche scientifico – industriali nazionali contribuendo a creare l’immagine di un giovane stato dove non esiste solo la cultura dell’arte ma anche quella tecnico – scientifica.
INARRESTABILI VELOCIPEDI!
I velocipedi correranno poi velocemente sull’ala del successo. Infatti, già nell’aprile del 1869, a Milano, il sindaco conte Giulio Belinzaghi si vide costretto a modificare l’ordine della polizia che regolamentava la circolazione sin dal lontano 3 settembre 1818, ponendo il divieto d’uso «in tutta la zona della città racchiusa entro la cerchia dei Navigli, più lungo tutti i corsi, e lungo via Principe Umberto, nei pubblici giardini, lungo il Bastione da Porta Nuova a Porta Venezia e anche lungo i viali di Foro Buonaparte». Il divieto era dettato da motivi di ordine pubblico in quanto i velocipedi provocavano panico tra i pedoni. La Giunta comunale ne avrebbe liberalizzato completamente l’uso solo nel 1893.
È impossibile stabilire storicamente quale sia stato il primo evento agonistico della storia. Non dimentichiamo infatti che, già nel 1820 circa, nei Giardini di Luxembourg a Parigi era d’uso per i proprietari di draisine lanciarsi delle sfide reciproche e scommettere sul risultato. L’interesse verso il mondo del velocipedismo aumenta a dismisura sul finire del decennio. Sarà Parigi a esprimere la miglior organizzazione di gare grazie alla presenza di club di appassionati. Il primo, fondato nel 1868, è il Veloce Club de Paris, di cui si ha notizia sul giornale Le Figaro del 15 maggio 1868. L’interesse è altissimo tant’è che nascono anche le prime riviste specialistiche quali “Le Velocipede illustré” il cui direttore era Ricard Lesclide, segretario nientemeno che di Victor Hugo, e “Le Velocipede” di Favre.
Le gare erano molto diverse da come le possiamo pensare oggi: erano quasi sempre su un circuito, spesso si utilizzavano gli ippodromi o percorsi realizzati nei giardini pubblici. In particolare va notato che non erano solo di velocità. La cosa che ha inizialmente colpito il pubblico nell’uso del velocipede a pedali non è stata la velocità ma l’equilibrio. Sembrava infatti impossibile poter reggersi in sella su due ruote e per giunta con i piedi sollevati da terra. Teniamo presente che la famiglia Michaux, per incrementare l’uso del mezzo, si vedrà costretta ad aprire una vera e propria scuola per insegnare ad andare in velocipede, con annesso ampio spazio di prova, proprio per superare le titubanze del pubblico.
Ecco quindi che le prime gare, oltre a quella di velocità comprendevano anche prove a ostacoli, corse a vantaggi e gare di lentezza. I regolamenti prevedevano come obbligatorio un abbigliamento uniformato alle gare equestri, ecco quindi comparire gli stivaloni, i berretti e le giubbe.
Nelle prove a ostacoli si doveva effettuare un percorso disseminato di tronchi, ripidi saliscendi con piani in assi di legno e guadi, i quali spesso dovevano spesso essere superati a piedi mettendosi in spalla il velocipede. D’altra parte cosa si poteva fare di meglio per esaltarne le doti di leggerezza (sic!)? Le gare di velocità a vantaggi consistevano nell’utilizzo di handicap costituiti non da punti o da metri, ma da pesi. Infatti i vincitori delle gare venivano, nella gara successiva, penalizzati con l’aggiunta di pesi di 5 Kg sul telaio. Le gare di lentezza tendevano sostanzialmente a esaltare le doti di equilibrio per cui vinceva chi arrivava ultimo senza però mai invertire il senso di marcia. Il “surplace”, probabilmente, non veniva contemplato perché non ancora inventato.
LE PRIME GARE
Le prime riunioni velocipedistiche di una certa importanza, non aperte solo ai membri di un club, furono organizzate proprio dal Veloce Club Paris nel 1869 a Saint Cloud, a La Varenne, a Saint Hilaire, a Charenton e all’ippodromo di Parigi.
La primogenitura di una gara su strada appartiene alla città di Tolosa i cui appassionati si cimentarono sul tragitto Tolosa – Caraman di 34 Km, in tutto percorsi nel tempo di 3 ore e 9 minuti dal vincitore Jules Leotard, acrobata e inventore de trapezio volante. Il 7 novembre 1869, sponsorizzata dal giornale “le Petit Journal”, si correrà invece la prima vera gara “in linea”, la Paris – Rouen di 123 Km . Gli iscritti furono 323 ma solo 109 si presentarono alla partenza. I premi furono messi in palio dalla Compagnie Parisienne de Vélocipèdes, che era praticamente la nuova denominazione assunta dalla fabbrica Michaux et. C.ie dopo l’uscita della famiglia Michaux dalla compagine sociale. I fratelli Olivier, diventati unici proprietari della più importante industria di velocipedi francese – e forse all’epoca anche del mondo – ben seppero interpretare il mondo del velocipedismo con un carnet di premi di prim’ordine: 1000 franchi al primo, un biciclo al secondo, una medaglia d’oro al terzo, una d’argento al quarto e una di bronzo al quinto.
L’ordine di arrivo fu il seguente: James Moore, inglese trapiantato a Parigi, in 10 ore e 40 minuti, secondi a pari merito, i francesi Casterà e Robilier a 15 minuti i quali non giunsero sulla stessa linea ma entrambi chiesero di essere considerati a pari merito (ah! le buone regole dei cavalieri) per la differente linea che avevano in partenza, quarto Pascaud e quinto Cantellauve.
Tra i partenti della Paris-Rouen c’erano ben 10 donne, di cui solo una giunse al traguardo guadagnandosi una medaglia d’oro. Va sottolineato che la presenza femminile nelle gare c’è sempre stata, anche se quasi mai nominata dalla stampa dell’epoca, che non faceva certamente del polically correct uno dei propri fondamenti. Comunque già nel 1868 all’ippodromo Parc Bordelais di Bordeaux si corse la prima gara riservata solo al gentil sesso.
In Inghilterra la mitica London-Brigthon si tenne per una scommessa tra tre amici il 17 febbraio 1869 ma non ebbe mai valenza di gara ufficiale e se ne conosce la cronaca solo attraverso il Times, il quale ne diede notizia il 19 febbraio. I tre temerari rispondevano al nome di Rowley Turner, John Maymall e Charles Spencer, che si aggiudicò l’amichevole disputa. Londra ebbe invece l’onore di tenere il primo incontro internazionale su pista della storia il 6 marzo 1869, quando si scontrarono la rappresentanza francese con quella inglese. I francesi, tra cui compariva come corridore anche Ernest Michaux, ebbero un netto sopravvento.
DA FIRENZE A PISTOIA
Ma veniamo alla nostra Firenze capitale, dove si respirava un’aria internazionale come non mai, dato che era la sede di ambasciate presso il Regno d’Italia, di rappresentanze culturali e dove erano presenti capitani dell’industria internazionale interessati a quella giovane nazione che aveva necessità di sviluppare il suo tessuto industriale ed economico.
In questo contesto il 7 dicembre 1869 nasce il Veloce Club Fiorentino, in assoluto uno dei primi club per bicicli italiani: il Veloce club Milano sorgerà qualche mese dopo, nel marzo 1870, ma ciò sarà sufficiente per lasciare alla terra toscana dei meritati primati.
La sede sociale del neonato sodalizio è nello chalet presso il parco delle Cascine, per la precisione in quella zona del parco che era nota come Barriera degli Zuavi, tra i soci fondatori figurano personaggi quali l’avvocato Fazzini il Conte Piero Bastogi, già ministro delle finanze, il principe Tommaso Corsini. Primo presidente fu nominato Gustavo Langlade, nobile belga.
L’ambiente del club vede la presenza di molti nobili e borghesi che potevano permettersi il costoso biciclo, ovvio quindi che le sfide lanciate per competizione o per scommessa siano all’ordine del giorno. La presenza di tanti stranieri, anche grandi pedalatori, conferisce da subito al moderno settore dei velocipedi fiorentino un carattere internazionale. Degno corollario alla costituzione del neonato club è il lancio della sfida che, come si apprende dal quotidiano La Nazione del 25 gennaio 1870 si terrà domenica 2 febbraio, allorquando «alle nove precise i concorrenti partiranno da Porta al Prato e si dirigeranno verso la meta della corsa [Pistoia distante 33 Km- n.d.a.]».
La gara, pur non essendo propagandata all’estero e non essendo stato invitato alcun club straniero, proprio grazie a quel carattere internazionale di cui dicevamo pocanzi assume ben presto il connotato di sfida tra nazioni. Subito si azzardarono i pronostici, e sicuramente con essi anche le scommesse. Il totalizzatore dava inizialmente come favorito il barone belga Alexandre De Sariette, anche se mano a mano che si conoscevano i nomi degli altri iscritti le quotazioni del barone andavano calando. Con l’iscrizione alla gara di Rynner Van Hest, un giovane di circa vent’anni americano di origine belga figlio di un funzionare di consolato, il pronostico per il favorito barone De Sariette diventava sempre più incerto. Il percorso prevedeva l’attraversamento di otto comuni tra cui San Donnino, San Piero a Ponti, Poggio a Caiano – dove era l’unica salita della corsa – e quindi, attraverso i rettilinei della strada Regia, si arrivava all’arrivo a Pistoia, in Porta Carratica.
La gara fu un’occasione di festa e un evento mondano al tempo stesso. Già delle prime ore del mattino, nonostante il freddo e una leggera pioggia, gli spettatori confluirono numerosi per assistere alla partenza sotto l’arco di porta Prato. Lo scarso spazio disponibile sotto l’arco impose di ordinare i 19 partenti su quattro file. Alle nove precise venne dato il via. Molti spettatori si affrettarono a raggiungere la stazione Maria Antonia per prendere il treno per Pistoia e poter così assistere anche all’arrivo. I concorrenti erano seguiti anche da carrozze e carri di supporto, mentre il servizio d’ordine era garantito dal reggimento di Cavalleria del Duca d’Aosta. All’inizio della salita di Poggio a Caiano era previsto un “controllo timbro” e il primo a timbrare fu proprio il giovane statunitense di origine belga.
Così viene descritto l’arrivo dal quotidiano di Firenze La Nazione: «All’improvviso alcuni gridarono “Eccolo, Eccolo!”. Presto tutti poterono vedere da lontano, sopra un oceano di teste, un berretto con il distintivo del Veloce Club. Era il signor Rynner Van Hest, un giovane americano. […] Avanzava piuttosto lentamente e stava piegato, ma nessun altro era in vista. Scoppiò un applauso uniforme e prolungato. La folla era sbalordita nel vedere un giovane – sembrava non avere più di quindici o sedici anni – vincere una gara così lunga». Questo l’ordine di arrivo: primo Rynner Van Hest in 2 ore e 12 minuti secondo il francese Auguste Charels a 3 minuti; terzi a pari merito Alexandre De Sariette e Edoardo Ancillotti di Pisa, primo degli italiani, quinto il belga presidente del Veloce club Gustavo Langlade.
Anche in questo caso per il terzo posto si ripetette quanto già accaduto alla Parigi – Rouen con la necessità, da parte della giuria, di decidere per un salomonico ex equo dovuto alle diverse posizioni sulle linee di partenza.
Il vincitore montava un biciclo Michaux dalle ruote più piccole rispetto a quelle di altri concorrenti infatti erano di 85 cm all’anteriore e 50 al posteriore a differenza degli altri che privilegiarono ruote di circa venti centimetri più alte, così il giornale La Nazione il vincitore: «pallido e magro, ma veloce e rilassato». La sua velocità media fu di 15 km/h. Sulle ruote montava gomme, più propriamente potremmo definirlo un nastro, in caucciù. Piuttosto singolari i premi: al primo spettarono un attestato, una medaglia d’oro e un revolver; al secondo invece una medaglia in argento dorato e un oggetto artistico.
Così ebbe inizio l’epoca pionieristica delle corse in Italia che tante soddisfazioni anche internazionali dette al nostro paese ma che oggi sembra caduta nell’oblio perché oscurata dalla più recente storia del più celebrato periodo del “ciclismo eroico”. Un particolare grazie a Paolo Ciampi per il bel libro, fonte di notizie per questo articolo: il titolo è “La prima Corsa del mondo”, che consigliamo di leggere per prendere contatto con un periodo e un mondo solo apparentemente lontani.