Come ogni fine anno che si rispetti, chiudiamo questo 2022 con un botto clamoroso, ripartendo un po’ da dove avevamo iniziato, ovvero parlando di una Hirondelle (“rondinella” in francese).
Se su BE54, a febbraio, avevamo presentato una Retrodirect degli Anni ’30, caratterizzata dal tipico sistema a retropedalata della casa di Saint-Étienne, capoluogo della Loira, oggi abbiamo la possibilità di analizzare un esemplare stratosferico, ovvero una Hirondelle Superbe A del 1889. Parliamo del primo modello in assoluto messo in produzione dal marchio d’Oltralpe, costola – come chi ci legge da tempo già sa – della settecentesca Manufacture d’Armes et Cycles de Saint-Etienne, azienda che in due secoli di vita produsse più armi che biciclette, riuscendo comunque a distinguersi anche in quest’ultimo campo.
Nell’ambito della propria produzione, la Manufacture – e quindi anche la Hirondelle – fu tra le prime aziende a introdurre una produzione su misura per il cliente, a vendere per corrispondenza, a stampare cataloghi e persino ad avere un giornale sportivo dedicato, il “Chasseur Français” (ovvero “Il Cacciatore Francese”, tuttora esistente in versione online). L’attività sulle biciclette prese vita nel 1886, principalmente come rivenditori e riparatori di biciclette e tricicli britannici, e fu solo nel 1887 che i due direttori di allora, Mimard e Blanchon, entrarono nel mercato con un proprio catalogo. L’Hirondelle nacque ufficialmente solo nel 1889, dopo che una piccola produzione era iniziata nel marzo dell’anno precedente, come attestato da una richiesta della Manufacture al locale direttore del Crédit Lyonnais di un prestito per tre mesi di 30.000 franchi.
La Hirondelle puntò subito fortissimo sulla contrapposizione rispetto ai “safety frame” inglesi Rover di John Starley: le loro biciclette non avrebbero avuto il telaio a diamante dei velocipedi inglesi, ma si sarebbero distinte – per il modello di punta – per un elegantissimo telaio a “C” di differente sezione che avrebbe sancito la superiorità francese dal punto di vista del design. Il modello in questione necessitava naturalmente di un nome appropriato, e quel nome venne individuato in “Superbe”. Il brevetto fu depositato il 28 giugno del 1888.
RARA ED ELEGANTE
Nel mondo dei collezionisti le Hirondelle Superbe in buone condizioni sono esposte nei musei più importanti oppure in qualche raccolta strettamente privata. Quella che vedete in queste pagine, invece, appartiene a Maurizio Botta, di cui abbiamo già parlato nello scorso numero, che ha lungamente inseguito questa bicicletta proprio per le sue caratteristiche uniche. Un vero unicorno a due ruote, raro, elegante e dalle caratteristiche uniche.
«Questa bicicletta è la primissima versione della Superbe, un modello che possiamo definire “A” per le differenze nello sterzo rispetto alle due versioni successive, collocabile tra la fine del 1888 e l’inizio del 1889, ovvero quando Hirondelle iniziò la propria produzione», spiega Maurizio. «L’ha trovata un mio contatto a un’asta negli Stati Uniti. Non era certamente in condizioni perfette, anzi, ma era stata notevolmente pasticciata e riverniciata». Forte delle proprie capacità di restauratore, Maurizio non si è certo scoraggiato di fronte a quella che poteva essere un’impresa impossibile per i più.
«L’ho smontata completamente e ho tolto a mano sia tutta la vernice sia lo stucco», continua Maurizio. «Negli Stati Uniti, infatti, hanno un po’ questo modo di fare quando si tratta di restauri, anche nel campo delle auto, dove utilizzano molto lo stucco per ripristinare – riverniciando – porzioni danneggiate. Un lavoro notevole».
A colpire immediatamente è la C del telaio. Morbida, sontuosa e al tempo stesso possente. Si tratta di un tubo unico il cui diametro e sezione cambiano diverse volte: la sezione sotto parte leggermente conica, poi si ingrandisce e diventa rotonda, poi ovale in un senso, poi ovale perpendicolarmente al tratto precedente e finisce diventando piatta a goccia. Una lavorazione che ha dell’incredibile e che sarebbe estremamente complicata da realizzare anche oggi. «Nell’800 non c’erano piegatrici di tubi che permettessero di realizzare una cosa simile», spiega Maurizio. «A mio parere veniva estratto dalla forgia il tubo rovente, veniva bloccato nelle due testate e veniva piegato utilizzando dei paletti di ferro per fare leva. Andando a toccare il tubo con i polpastrelli, infatti, si percepiscono dei punti di piega, che si alternano anche a possibili riparazioni, perché questa bicicletta, per la struttura che aveva, era abbastanza fragile».
Una fragilità che apparteneva al telaio ma ancora di più all’incredibile manubrio elicoidale, una soluzione unica nella storia della bicicletta, il cui impatto estetico non corrispondeva di certo a una utilità pratica tale da mantenerlo nel tempo. «Il manubrio era in pessime condizioni, praticamente marcio», spiega Maurizio. «Ho dovuto foderarlo con resina e polvere di carbonio per dargli un minimo di resistenza, ma resta sempre un “guardare e non toccare”, perché si regge su un equilibrio precario».
INTERVENTI DELICATISSIMI
Interventi ovviamente necessari su una bicicletta che si avvicina al secolo e mezzo di vita e che ha attraversato vicissitudini avventurose. Botta ha comunque, come sempre, effettuato un restauro rispettoso andando a colmare quelle che erano le lacune dell’esemplare rinvenuto. Le manopole in legno, per esempio, sono coerenti e coeve, esattamente come la sella, che è il modello originale in pelle montato sulle Hirondelle, e il faro, non presente sul modello originale ma applicato come completamento di quello che poteva essere il setup della bici a fine ‘800.
Le ruote sono originali con i raggi che, come sempre nel caso di velocipedi così datati, lavoravano a compressione e non a trazione come nelle ruote moderne. Lo dimostra il generoso diametro di 3 mm. Anche i parafanghi sono originali tranne una punta, che è stato necessario ricostruire in quanto non più presente, esattamente come i poggiapiedi, che erano stati molto incautamente rimossi con colpo di mola da uno dei precedenti proprietari.
Dai poggiapiedi lo sguardo cade sulla complessa meccanica dello sterzo che, a differenza delle biciclette contemporanee – ma anche di moltissime dell’epoca – non si inseriva direttamente nella C del telaio ma in una struttura chiamata “pivot” che aveva lo scopo di agganciare la forcella al resto del velocipede (l’americana Rambler del 1888, invece, la innestava direttamente nel telaio). I freni sono a tampone, come da tecnologia dell’epoca, senza nemmeno la gomma che andava ad appoggiarsi sullo pneumatico anteriore, ovviamente di tipo pieno. Altre aggiunte successive al ritrovamento sono il predellino posteriore per salire in sella, data l’altezza della bici, e i coni del mozzo che sono stati ricostruiti. I pedali, assenti, sono stati sostituiti con un modello coevo mentre la catena, caratterizzata da uno dei tanti passi sperimentati all’epoca (vedasi scheda) è quella originale.
Il principio costruttivo alla base della Superbe era quello che dovesse essere una bicicletta morbida e molleggiata, ben prima dell’invenzione degli ammortizzatori. Un problema che all’epoca era molto sentito, al punto che i primi velocipedi venivano chiamati dai britannici “bone shakers”, ovvero “scuoti ossa”. Parliamo di telai pesantissimi – esattamente come è questo – con sezioni generose e spessori dei tubi notevoli, dotati di pochissima elasticità, nemmeno paragonabile a quelle che sarebbero state le biciclette d’inizio Novecento, simili a quelle attuali in acciaio per geometrie e dinamiche. Ecco quindi che il telaio a C e il manubrio elicoidale dovevano, con un notevole sforzo creativo, rendere la pedalata più confortevole. Nella realtà, invece, funzionava molto poco e, come già detto, era facile che avvenissero delle rotture. Per questo, nel giro di pochi anni, queste bizzarre soluzioni vennero abbandonate, ed è una delle ragioni per cui le Superbe sono così rare.
Quelle che possiamo ammirare oggi, comunque, sono esemplari favolosi, veri capolavori di design dell’epoca. Pare che il suo progettista si fosse ispirato a un cigno per idearla, disegnandola con queste due ruote dal diametro differente (64 cm all’anteriore e 75 cm al posteriore) e dandole una personalità che l’avrebbe resa immortale nei decenni a venire. Difficile sapere quanto questa bicicletta sia stata effettivamente utilizzata all’epoca, per il peso, per le geometrie, per la frenata inesistente che la rendeva un vero pericolo in discesa. Certamente, chiunque le metta gli occhi addosso ai giorni nostri non può che restare affascinato dalla creatività, dall’inventiva e dalle lavorazioni ardite che trasmettono prepotentemente, da qualsiasi angolazione la si guardi, la forza irrefrenabile di quegli anni pionieristici del velocipede, prologo di una storia infinita che continua ancora oggi.
Collezione e restauro: Maurizio Botta
Scheda tecnica
Marca: Hirondelle
Modello: Superbe A
Anno: 1888
Telaio: in acciaio a C a sezione variabile
Cerchi: anteriore 64 cm, posteriore 75 cm
Trasmissione: scatto fisso.
Catena: a passo Humber con anelli di tipo Abincdon block.
Freno: anteriore a tampone
Sella: in cuoio coeva