L’eccezionale stato di conservazione di questa bellissima bicicletta di casa Bianchi ci consente, oltre che di contemplarla, anche di fare una breve analisi del background in cui va inserita la storia di questo modello oggi rarissimo – tra i più rari costruiti alla fine degli Anni ’30 dalla storica azienda milanese.
Per capire a fondo l’idea che portò al concepimento di questa Bianchi mod. Claudio risalente al 1939, infatti, bisogna fare un breve excursus che ci riporti a quel decennio produttivo, che tanto ha segnato la storia industriale del nostro Paese.
Una delle tipologie di biciclette, più peculiari di tutti gli Anni ’30 è sicuramente la cosiddetta bicicletta R-Sport. Questa classificazione comprende tutte quelle biciclette basate su particolari manubri derivati dal tipo R e montati su telai di derivazione corsa. Non solo, i freni utilizzati sono tipicamente pinze da corsa, e dunque comandate a filo – anche se come vedremo non sono mancate soluzioni differenti – così come da corsa sono i mozzi, che in quegli anni sono i famosi mozzi a doppia filettatura, i cosiddetti “giro-ruota” per il gesto che occorreva fare per il cambio di rapporto. Altri stilemi sono invece tipici delle biciclette da passeggio, primo fra tutti il carter copricatena. I parafanghi erano invece elementi trasversali a tutte le tipologie di bici dell’epoca, escluse quelle da pista. I cerchi per copertoni e camere d’aria venivano utilizzati sia per le due ruote da passeggio che per le corsa, che con tale allestimento venivano denominate “mezza corsa”; non mancano però biciclette R-Sport dotate di cerchi per tubolari da corsa.
Un “crossover” a pedali
La domanda che può immediatamente sorgere è come sia stato possibile fondere questi particolari così apparentemente antitetici in un unico modello. I principali problemi riscontrabili nella costruzione di questo vero e proprio ibrido ciclistico sono due: la convivenza tra un manubrio tipo R e le pinze freno da corsa e quella tra il mozzo a doppia filettatura e il carter copricatena. La risposta a questi due principali problemi non fu sempre uguale per tutte le case produttrici che vi si cimentarono. Analizzando i più famosi modelli R-Sport disponibili all’epoca sul mercato, ovvero quelli della Bianchi (modelli M-Sport/Rodi/Claudio), la Dei mod. Bordino, la Wolsit mod. 54 Sport, la Ganna tipo Sport e la Gloria tipo Sport/B Sport possiamo notare differenti ma simili soluzioni sia per quanto riguarda la frenata sia per il carter. Mentre Bianchi, Dei e Ganna manterranno la configurazione R-Sport sui loro modelli per tutti gli Anni ’30, i modelli sportivi di Wolsit e Gloria, benché nati come modelli R-Sport puri, si evolveranno introducendo una frenata cosiddetta “a tenaglia”, che prevede che i pattini agiscano sempre sulla spalla del cerchio – come tutti i freni da corsa grosso modo dagli Anni ’20 in poi – ma venissero imperniati alla forcella e azionati mediante tiranti rigidi. Non rientra tra i modelli R-Sport nessuna Maino, che invece concepì da subito il nuovissimo modello Supersport, declinando il concetto di sportività in chiave ancor più moderna riducendo il peso della propria ammiraglia di lusso attraverso l’uso di tubazioni e leghe leggere. La casa alessandrina utilizzerà infatti tubazioni corsaiole per il telaio, impiegando forcellini tipo R alleggeriti, e oltretutto farà ampio uso della nuova lega leggera del decennio – il duralluminio – che verrà utilizzata per gran parte dell’allestimento partendo dai cavallotti dei suoi freni tipo R, così come per il padellino del carter, i mozzi, i pedali, gli ingranaggi (nelle prime versioni), i parafanghi e persino per le aste degli stessi. Pur rappresentando una estremizzazione del concetto di sportività dell’epoca, e un modello decisamente avveniristico, la Maino Supersport non rientra però nella categoria R-Sport in disamina.
Concludendo questa breve analisi trasversale possiamo notare come siano tre le differenti soluzioni trovate per quanto riguarda la convivenza tra mozzi giroruota e carter. Mentre in Bianchi e Wolsit si utilizzano mozzi giroruota senza spostamento, in Dei, Ganna e Gloria si utilizzeranno anche appositi mozzi a doppia filettatura con lo spostamento per il carter. Mentre Bianchi, Ganna, Gloria e Dei adattano il top dei loro carter tubolari chiusi creando dei codini ad hoc che consentissero la rimozione della ruota dai forcellini corsa, Wolsit adotta dei carter senza codino, ovvero aperti posteriormente. Incrociando le ultime due osservazioni possiamo notare che dunque solo in Bianchi venne utilizzato sempre il mozzo posteriore giroruota senza spostamento abbinato a un carter tubolare chiuso. Questa convivenza rappresenta senza dubbio una forzatura, soprattutto per la complessa regolazione della ruota sul telaio, essendo scarsissimo lo spazio disponibile per ottimizzare la tensione della catena ed evitare dunque fastidiosi rumori dovuti allo sfregamento della stessa sul carter, oltre che dei raggi sul codino del carter.
Le sportive di Bianchi
Proviamo ora a fare un’analisi in relazione a modelli R-Sport precedenti sfornati dallo stabilimento milanese di viale Abruzzi. Il concetto nasce più o meno a cavallo dell’anno 1930 e viene presentato in catalogo raramente, senza raggiungere mai numeri di vendita meritevoli di tali attenzioni, evidentemente. Una delle poche eccezioni è rappresentata nel catalogo Bianchi del 1931 col tipo M modello Sport, che viene sinteticamente descritta con “Dettagli tipo M normale, Manubrio R a leve interne, Copricatena tubolare, Verniciatura nera o celeste”. Inoltre poteva essere in alternativa ordinata con cerchi per gomme smontabili o per tubolari, sempre in legno. Uno dei motivi per cui queste biciclette oggi sono così rare è sicuramente il prezzo elevato che avevano all’epoca. Nel catalogo del ’31, per esempio, la M modello Sport costa circa 700 lire, contro circa 630 lire del modello M da corsa, le 920 del modello di punta R, e le 470 lire del modello S più economico di casa Bianchi. È da notare che il PIL pro-capite italiano del periodo era sotto le 2900 lire annue: ciò significa che occorrevano dunque circa tre interi stipendi medi dell’epoca per acquistarla. Il prezzo, oltre che elevato, non appariva forse giustificato: per i canoni di bellezza dell’epoca una bicicletta lussuosa, quale ad esempio la mod. R, era considerata estremamente elegante grazie all’occultamento alla vista della freneria rigida, ed era la bicicletta allora più ambita dai nobili e ricchi, mentre probabilmente non si poteva dire lo stesso della mod. M-Sport. Lo stesso modello è illustrato nel catalogo del 1932, dopodiché il modello M-Sport scompare per un lustro dai cataloghi commerciali, per riapparire nel 1937 sotto il nome di mod. Rodi, ma solo didascalicamente descritto. Nel catalogo commerciale del 1940 è invece presente il modello Claudio, anche se fotografato in una configurazione di cui non mi è noto alcun ritrovamento. Attualmente pertanto non sappiamo con certezza se mai sia stata prodotta così come appare in quel catalogo.
La Bianchi Claudio
È per questo e gli altri già citati motivi che questo ritrovamento è importantissimo, perché appartenuta sempre alla stessa famiglia, che conosce le piccolissime modifiche subite nel tempo, ovvero la sostituzione da parte del proprietario dei cerchi in legno rotti con dei nuovi cerchi in legno prodotti dalla storica ditta Ghisallo, situata proprio vicino al famoso santuario ciclistico.
Partendo dall’analisi del telaio, possiamo vedere come si tratti di una delle ultime versioni del telaio della Saetta – il modello da corsa della casa per giroruota della seconda metà degli Anni ‘30 – che veniva tipicamente montato con cambio Vittoria Margherita. Non dunque il nuovissimo telaio del modello Folgore, con le nuove congiunzioni e i nuovi forcellini dentati per il cambio a due leve di Campagnolo, ma quello precedente (addirittura un telaio del 1937) che poi è quello usato anche per la Bianchi mod. Rodi, senza oliatore per catena e con ingrassatore al movimento centrale. Dal modello Rodi questa Claudio eredita praticamente tutto: innanzitutto il manubrio R-Sport Bianchi dedicato con chiusura a espander e fregio smaltato peculiare per quel modello, con gli stessi fermi e rinvii, abbinato agli stessi freni Universal mod. 33 (sebbene non marcati) in ferro; per continuare con il carter tubolare lussuoso della casa, con codino tagliato a misura per consentire lo smontaggio della ruota posteriore dal forcellino giroruota; chiudendo con i parafanghi piatti Bianchi usati sempre per la propria ammiraglia di lusso, il modello Super, ma divisi in 4 parti, con doppie aste e fermati da piccoli galletti come tradizione corsaiola vuole. Quel che non eredita sono piccoli dettagli, meglio definibili come aggiornamenti, ovvero le manopole in osso divise in due parti e la sella in lamina di cuoio: monta infatti manopole in osso a pezzo unico e una sella tipo Terry, prodotta da Aquila e personalizzata Bianchi, oltre a presentare la nuova gemma posteriore dedicata della casa, con supporto non ancora rivettato o saldato ma avvitato al parafango. Altre piccole ulteriori novità che seguono le disposizioni su tutta la gamma di quell’anno sono le marcature Bianchi in stampatello minuscolo racchiuse nel riquadro sui mozzi, sui pedali e sulle pedivelle, al posto di quelle in corsivo precedenti, e la colorazione dell’ultima parte del parafango in bianco (imposta dalle stringenti disposizioni sull’oscuramento notturno delle città durante il periodo bellico) fatta direttamente in fabbrica, peraltro ottimamente conservata sul modello osservato. A proposito di decalcomanie, i modelli R-Sport della casa nel corso della loro decennale carriera sembrano utilizzare sia quella con l’aquila sia quella con lo scudo rosso. Nelle nostre osservazioni su questi particolari modelli abbiamo notato che fino al 1936 circa viene utilizzata la decalcomania con l’aquila, poi quella con lo scudo. Per finire questa disamina circa la Claudio qui presentata, passiamo agli elementi mutuati dal modello da corsa Saetta, ovvero i mozzi giroruota con oliatori a fascetta, prodotti da Siamt e marcati Bianchi, e i movimenti: la serie sterzo senza collarino a cui viene aggiunto il portafanale e il movimento centrale. Dei modelli R “da viaggio” della casa prende invece i pedali a 4 gommini con la B a centro non tornito, la corona da 42 denti e le pedivelle, i raggi da 1,8 mm verniciati di nero e infine i dadi di chiusura dei mozzi.
In conclusione, non è difficile intuire il motivo del successo odierno dei modelli R-Sport, che non è meramente legato alla rarità collezionistica. Forse non molto capiti all’epoca, erano di fatto dei veri e propri ibridi, che oggi definiremmo crossover, che permettevano di pedalare una bicicletta leggera ma elegante e allo stesso tempo estremamente efficiente nella frenata. Inoltre, erano biciclette che potevano “trasformarsi” all’occorrenza in biciclette da corsa o mezza corsa. E, ad onore del vero, il manubrio R-Sport è stato largamente usato anche negli anni bellici e post bellici per utilizzare quotidianamente le vecchie biciclette da corsa, poi sostituito dai manubri sportivi. Nonostante i tempi non fossero esattamente propizi allo sviluppo di questo genere, soprattutto a causa della crisi economica che affliggeva il nostro Paese in quegli anni, i canoni dettati da questa particolare tipologia di bicicletta hanno senza dubbio contribuito al concepimento delle biciclette sportive delle decadi successive, che non a caso ne manterranno i principali elementi di leggerezza del telaio ed eleganza di carter e parafanghi, abbinati all’efficienza della frenata a filo.
A cura di: Luca Pit Dregistrostoricocicli.com FB: Registro Storico Cicli
Scheda tecnica
Marca: Bianchi
Modello: Claudio
Anno: 1939
Cambio: giro-ruota.
Telaio: in acciaio tipo Saetta.
Cerchi: Cerchio Ghisallo in legno (nuovi)
Mozzi: Bianchi
Freni: Unversal Mod. 33
Manubrio: Bianchi R-Sport
Sella: Aquila tipo Terry in pelle marchiata Bianchi
Pedivelle: cromate marchiate Bianchi
Faro e dinamo: Randsonne
Lucchetto: Zenit
Manopole: in osso
Parafanghi: in acciaio smontabili in quattro pezzi
cerchi in legno by cerchio ghisallo
Come già accennato nel testo principale, la Bianchi Claudio che vedete in queste immagini è arrivata ai giorni nostri praticamente tutta orginale eccezion fatta per i cerchi. Quelli originali in legno, infatti, si erano irrimediabilmente danneggiati ragion per cui il proprietario originale aveva deciso di sostituirli con una coppia in alluminio, preservando ovviamente raggi e mozzi. In vista della pubblicazione sulla rivista, è stato deciso di riportare i cerchi alla loro configurazione originale. Per fare questo ci siamo avvalsi dell’aiuto di Antonio Cermenati, titolare di Cerchio Ghisallo, azienda produttrice di cerchi in legno da ormai tre generazioni la cui sede è a Magreglio (CO) a cento metri di distanza dallo storico santuario della Madonna del Ghisallo e dal più recente (e interessante) museo.
Antonio ci ha accolti nella sede dell’azienda, che ancora oggi lavora con metodi artigianali occupandosi della produzione di ogni singolo cerchio dalle materie prime, alla verniciatura, al montaggio. In una breve visita abbiamo potuto vedere come le listarelle di legno vengano incollate a mano e sagomate attraverso delle dime, seguendo un processo produttivo che è rimasto sostanzialmente invariato per oltre settant’anni. Una volta creato l’anello in legno, una macchina si occupa di ritagliarne e perforarne il profilo per poter ospitare camera d’aria, copertoni e raggi. Infine, il cerchio viene verniciato e montato con mozzi e raggi, in questo caso presi dal cerchio in allumio originale. Un servizio completo la cui resa potete ammirare in queste pagine. Per informazioni:
- web: www.cerchioghisallo.com
- tel: 031 96.51.46