Nel mondo delle biciclette d’epoca sta lentamente facendo capolino una nuova, polverosa arrivata: la Mountain Bike. Ne abbiamo parlato quando abbiamo annunciato la Retro Boschilonga, la prima manifestazione dedicata alle MTB costruite prima del 1997, quando il telaio era d’acciaio e gli avambracci per pedalare giù dalle montagne pure, visto che non esistevano le sospensioni.
La breve vita della MTB, però, ci dà un grosso vantaggio: poter intervistare direttamente i pionieri che l’hanno ideata. E tra questi c’è senz’altro Tom Ritchey, californiano classe ’56, il più baffuto e intraprendente tra quei matti che, negli Anni ’70, decisero – a spese delle loro ginocchia sbucciate – che serviva una nuova bicicletta per pedalare in montagna tra i monti.
Fu così che un gruppo di ragazzi che adorava saldare telai, costruire biciclette e correre tra i sentieri tracciati nel chapparal inventò la Mountain Bike.
Biciclette d’Epoca: Joe Breeze, Gary Fisher, Charlie Kelly e Tom Richey. Sembrano nomi di jazzisti ma in realtà siete considerati oggi il gruppo di persone che ha dato vita a una vera rivoluzione nel mondo delle biciclette. Cosa ci può dire di quegli anni, quando la Mountain Bike ancora non esisteva?
Tom Ritchey: Di base all’epoca molti dei concetti, per non dire tutti, relativi alla Mountain Bike non esistevano e la gente ha imparato a conoscerli solo con il passare degli anni, nel corso della sua evoluzione. La California settentrionale, dove tutti noi vivevamo, era un ambiente nel quale la gente aveva già l’abitudine di andare in bici fuori strada con una certa frequenza, proprio come me. Per esempio, ragazzi come Jobst Brandt si sono fatti migliaia di miglia correndo lungo sentieri e strade sterrate. Noi eravamo fissati con le corse, su strada e fuori strada, e le montagne di Santa Cruz erano il posto ideale, con infiniti percorsi sterrati che nel tempo avevamo imparato a conoscere alla perfezione. Se andiamo a scavare nel passato, vediamo che il gruppo di Saratoga – Saratoga era un po’ come il mio giardino di casa – usciva con delle bici adattate dai modelli da strada, con pneumatici e freni più adatti allo sterrato. Siamo partiti da queste bici primordiali e le abbiamo modificate.
BE: Ci può raccontare qualche episodio di quegli anni pionieristici? Quali biciclette utilizzavate per andare nei boschi della California prima di inventare la Mountain bike?
TR: Prima di arrivare alle ruote da 26” usavamo bici da strada con pneumatici tubolari e sotto la guida di Jobst Brandt facevamo uscite da 100-150 miglia, che sono un sacco di strada, soprattutto se considerate che circa il 30% era su sterrato. Tutto è nato uscendo insieme a corridori di altissimo profilo, come lo stesso Brandt, che purtroppo è venuto a mancare un paio d’anni fa. Loro correvano per allenarsi, per tenersi in forma. Fui proprio io a invitare Joe Breeze e Gary Fisher ad alcune delle nostre uscite, che negli Anni ’70 rappresentavano un’esperienza pressoché unica.
BE: E per quanto riguarda l’abbigliamento? Utilizzavate quello dei ciclisti da strada o prendevate qualche accorgimento particolare?
TR: La maggior parte di noi, nel periodo precedente alla nascita della Mountain Bike, usava i classici indumenti da bici in lana. Il motivo per cui ero spesso in contatto con Joe e Gary è che ero il solo che veniva invitato a un evento di downhill chiamato Repack. Una faccenda piccola, piccola, roba da dodici persone al massimo. Joe, Gary e Charlie Kelly erano ciclisti, ma gli altri partecipanti erano semplicemente gente vestita coi jeans che si buttava a bomba giù in discesa. Considerate che io ero l’unico fuori dal giro locale che veniva invitato. Si saliva in cima con i pickup e poi ci si lanciava, quindi al Repack l’abbigliamento era personalizzato, magari partendo dai Levi’s e adattato per proteggersi nelle cadute. Lì nessuno usava le robe tradizionali da ciclismo, perché sono sprovviste di protezioni, ma noi, che pedalavamo un sacco anche e soprattutto in salita e su lunghe distanze, lo preferivamo comunque.
le montagne di santa cruz erano il posto ideale per andare sullo sterrato
BE: Si sarebbe mai aspettato che la Mountain Bike raggiungesse in tempi così rapidi un successo mondiale?
TR: Nessuno di noi pensava alla Mountain Bike in ottica commerciale e mi rendo conto che oggi come oggi è difficile immaginare come ragionavamo, visto il successo del fenomeno. Il mondo allora era diverso, le idee erano diverse e tutti eravamo più che altro concentrati sul nostro lavoro più che sul fatto di dare vita a un fenomeno, alla prossima grande novità. Anche perché la gente non ti prestava molta attenzione. Io, per esempio, lavoravo sulle mie bici e sui tandem, avevo fatto migliaia di telai prima di arrivare al telaio da Mountain Bike alla fine del ’78. Insomma, non ci vedevo il potenziale commerciale: lo facevo per divertirmi e come me tutti quelli coinvolti non pensavano alle opportunità di successo. Pensavamo solo a fare tutte le bici che ci venivano in mente e a usarle in tutti i modi possibili e immaginabili. La California settentrionale era il centro nevralgico del ciclismo statunitense. Da qui, tanto per dire, sono venuti fuori alcuni dei migliori ciclisti americani, gente come Greg LeMond e Jacques Boyer, e alcuni si sono poi fatti valere anche all’estero. Io, nel mio piccolo, ho partecipato al Campionato Mondiale del ’74 in Polonia. Per tutti noi di queste parti, il nostro territorio era il groud zero del ciclismo!
BE: Lei hai iniziato a saldare telai che era molto giovane e l’acciaio era ancora il materiale leader. Qual è stato, a suo parere, il cambiamento più importante, nella produzione dei telai in acciaio, in tutti questi anni, e secondo lei possono ancora dire qualcosa nel mondo della bicicletta?
TR: L’acciaio era di base l’unico materiale disponibile, il più utilizzato in assoluto se non si considerano un paio di esperimenti con il titanio e l’alluminio. Ho iniziato a produrre telai nel ’72, nel ’75 è arrivato il titanio e l’alluminio pressapoco nello stesso periodo. Il telaio in acciaio rappresenta un valore assoluto per il mercato delle bicicletta nella sua globalità. Una volta Jobst mi ha detto che ci vuole una generazione, quindi circa 40 anni, affinché la gente capisca veramente il valore delle cose, faccia sue le idee e i design innovativi. Quindi, tornando all’acciaio, la gente ci ha messo 40 anni per capire che il peso non è l’unico valore da tenere in considerazione e che è proprio l’acciaio il materiale in grado di trasmettere migliori sensazioni in sella. Il telaio in acciaio ha delle caratteristiche uniche per quanto riguarda la restituzione dell’energia. Non a caso le sospensioni dei treni e delle macchine usano molle in acciaio. Quello che fa un telaio in acciaio è assorbire l’energia e restituirla, proprio come fa il corpo umano. Quindi la combinazione del corpo di un ciclista capace e di un telaio in acciaio rappresenta la perfezione, è un sistema molto efficiente.
BE: I suoi telai più pregiati sono saldati con la tecnica “silver fillet brazed” (ovvero con l’argento). Perché questa scelta? Perché la considera migliore rispetto alla saldatura TIG?
TR: Con l’argento si fa una brasatura che è ideale per le congiunzioni, per questo lo usavo al posto dell’ottone, dato che ha un’alta viscosità e quindi penetra molto dentro l’acciaio, garantendo una grande tenuta, oltre a una temperatura di fusione bassa. Il fillet brazing con l’ottone ho iniziato a usarlo perché volevo usare tubi di sezione differente.
ci sono dei progetti che ho in testa da quarant’anni ma mancano i materiali
BE: Lo sa che in Italia iniziano a comparire le prime manifestazioni riservate alle Mountain Bike d’epoca? Cosa prova guardandosi indietro e rivedendo questo mondo che le conosce fin dagli esordi.
TR: Bene, è chiaro che gli eventi vintage sono ormai una consuetudine, non solo per le Mountain Bike, e penso che sia sempre un’ottima cosa celebrare gli oggetti del passato, quelli delle origini. Non parlo solo delle bici, ma anche delle moto e delle macchine. Nel caso delle bici, poi, si tratta anche di celebrare la semplicità.
BE: Lei è stato il primo a produrre Mountain Bike su vasta scala. Come è cambiato questo modo in tutti questi anni? Quali sono state le innovazioni tecnologiche più importanti, incluse quelle che lei stesso ha portato.
TR: Direi che il Logic Tubing è probabilmente una delle innovazione più rilevanti, se non la più importante in assoluto. Ha modificato in maniera radicale il processo produttivo e ha reso possibile utilizzare diverse geometrie. Parlando degli anni ’70 e ’80, il motivo per cui l’Europa era molto lenta nello sviluppo del mercato delle Mountain Bike, nello specifico dei telai, è che in Europa i telai erano ancora con le giunzioni e non era stato capito il valore dei telati privi di giunture, cosa che invece avevano già iniziato a fare i produttori asiatici. La produzione di telai senza giunzioni ha cambiato radicalmente il metodo produttivo per tutto il mondo della bicicletta. Altre innovazioni che ho apportato, secondarie per importanza al Logic Tubing, riguardano la geometria dei telai, il movimento centrale con cartuccia sigillata, le forcelle unicrown. Tutte queste tecniche pionieristiche sono poi diventate un business per la mia azienda e fondamentali per quella che è poi diventata l’industria della Mountain Bike.
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BE: Secondo lei verso cosa può evolvere, oggi, il mondo della Mountain Bike? Cosa ne pensa del fenomeno delle Mountain Bike a pedalata assistita?
TR: Penso che nel momento a cui su una bici viene montato un motore, un qualunque tipo di motore a prescindere che sia elettrico, a combustione o a vapore, sia più giusto parlare di una motocicletta. Mi piacciono i motorini, ne ho avuti un paio da ragazzo e avevano anche i pedali. Quest’anno ne faccio 62 e magari quando sarò più vecchio avrò bisogno di una sedia a rotelle motorizzata per andarmene in giro.
usavamo i vestiti classici di lana ma c’era anche chi scendeva con dei comuni jeans
BE: C’è una bicicletta a cui è particolarmente legato, tra quelle che usa tutt’ora o tra quelle che ha utilizzato in passato?
TR: Ovviamente la bici da corsa tradizionale, con telaio in acciaio, che uso ancora adesso e mi dà grandi soddisfazioni quando ci vado in giro.
BE: Lei è sempre stato un’innovatore. C’è un progetto che tiene nel cassetto e che non vede l’ora di potere realizzare?
TR: Fondamentalmente tutto è legato ai materiali. L’evoluzione dei materiali e la tecnologia produttiva si sono entrambe sviluppate molto negli anni e all’epoca in cui abbiamo iniziato a lavorare sui telai non potevamo neppure immaginare come sarebbero diventate le bici di oggi, perché i materiali erano pochi, limitati nella disponibilità e spesso sperimentali. Di contro, però, se guardiamo una bici di oggi, anche la più sofisticata che magari costa sui 20 mila dollari, vediamo che ha ancora i raggi in acciaio, i perni delle ruote in acciaio, i cuscinetti in acciaio, i cavi in acciaio, la catena in acciaio, gli ingranaggi in acciaio… Certi componenti non c’è modo di rimpiazzarli con materiali diversi dall’acciaio, per adesso. Ovviamente ci sono i telai in carbonio e anche altri componenti molto costosi, esotici e aerodinamici: ci sono i cambi elettronici e pedali con sistemi di sgancio rapido molto avanzati. Oggi siamo arrivati a un livello di evoluzione per cui ci sono ancora 5 o 6 componenti in acciaio su una bici e in futuro, ma non sono sicuro che ciò accadrà davvero, l’acciaio potrebbe essere sostituito da altri materiali. Questo, ammesso che succeda, sarà un cambiamento epocale e mi piacerebbe potervi assistere, ma mica sono sicuro che farò in tempo. Ci sono dei progetti che ho in testa da 40 anni, ma i materiali non sono ancora pronti per trasformare queste mie idee in realtà. Penso che l’evoluzione scientifica nel contesto dei materiali termoplastici potrebbe rendere possibile la realizzazione di componenti con le stesse caratteristiche fisiche dei metalli.
Autori: Alessandro Galli / Francesco Bisoglio Foto credits: courtesy of Tom Ritchey