S‘erano mai fidati troppo in America del biciclo.
Quell’aggeggio con un ruotone e un ruotino da pedalare a un metro circa da terra era considerato diabolico, opera del dimonio. Al punto che in molte città non poteva entrare perché contrario alla religione.
Andò meglio, qualche anno dopo, con la bicicletta di sicurezza. Qualche prete provò a demonizzarla, qualche politico, cavalcando l’onda dello sdegno, a vietarla. Andò male a tutti loro. In pochi anni le bici si moltiplicarono e con la loro moltiplicazione iniziarono le corse, soprattutto su pista. Di gente a vedere le corse delle biciclette ce ne era tantissima ovunque, al punto che dovettero spesso affittare gli ippodromi per riuscire ad accogliere tutti gli spettatori.
Le più appassionanti e seguite erano quelle che organizzava la League of American Wheelmen. Ed erano le più belle e seguite perché si sfidavano i corridori più forti in circolazione.
La League of American Wheelmen era un’associazione di amanti della bicicletta, di grandi amanti della bicicletta, di gente che in quel mezzo vedeva un grande avvenire, la realizzazione del sogno americano. Un sogno veloce, dinamico, la rappresentazione stessa del progresso.
La League of American Wheelmen iniziò a battersi per i diritti dei ciclisti, a contrastare la discriminazione che chi non andava in bicicletta – cocchieri, gente a cavallo, guidatori di tram – riservava a chi andava in bicicletta. Diritti bianchi, perché i neri non ce li volevano né in bicicletta né a sfidarsi in pista. Non era cosa per loro, dicevano. E non erano i soli, era la gran parte dell’America che non li voleva. D’altra parte erano schiavi, nonostante la schiavitù fosse stata abolita il 6 dicembre del 1865. Almeno ufficiosamente. Ci volle qualche anno in più perché questa schiavitù fosse abolita ufficialmente. Centotrent’anni in più: l’ultimo stato a ratificare l’emendamento fu proprio il Mississippi nel 1995. Anzi nel 2013 visto che nessuno dal 1995 al 2013 lo comunicò al National Archives and Records Administration, l’agenzia indipendente che si occupa di registrare e rendere consultabili i documenti governativi e amministrativi negli Stati Uniti.
Il progresso bianco della League of American Wheelmen correva anche per le strade d’America, per tutte le strade d’America, al punto che venne in mente agli associati di dover iniziare a fare qualcosa per migliorare lo stato delle strade. S’impegnarono a chiedere di sistemarle, pavimentarle. S’impegnarono loro stessi a sistemarle, appianarle, pavimentarle. Soprattutto s’impegnarono a mapparle.
C’aveva ancora pensato nessuno a mappare i percorsi da fare in bicicletta. Piazzarono una tavoletta di legno dotata di porta matite e ferma foglio sul manubrio. Pedalavano e appuntavano, misuravano distanze grazie a un dozzinale conta giri di ruota grazie al quale potevano facilmente calcolare i chilometri fatti. Appuntavano i metri di dislivello, le salite, i tratti più duri girando con pionieristici altimetri che erano parecchio imprecisi, ma che qualcosa facevano.
Se fu Paul Kollsman nel 1928 a inventare l’altimetro barometrico, parte del merito fu di Jimmy Doolittle. Jimmy Doolittle era un aviatore, divenne generale, soprattutto era stato un ciclista e figlio di uno dei pionieri della League of American Wheelmen, uno dei primi a capire l’importanza della cartografia per muoversi in bicicletta su lunghe distanze. Soprattutto il primo a percorrere in bicicletta la prima “ciclovia” americana: la Boston-Richmond, 639 miglia, ossia 1.028,37 chilometri. E fu grazie agli insegnamenti e agli esperimenti del padre che l’aviatore portò l’ingegnere tedesco sulla via giusta per il perfezionamento della sua invenzione.
Raccoglievano tutto quelli della League of American Wheelmen: dati, distanze, idee, spunti, contatti, ristoranti e pensioni. Pubblicavano guide tascabili facilmente consultabili dai ciclisti. Avevano praticamente realizzato con carta matita e matematica il prototipo del Garmin, oltre un secolo prima del Garmin. Poi iniziarono a curare anche la segnaletica verticale: nessuno aveva mai pensato a piantare a bordo strada segnali dettagliati che comprendessero percorsi, luoghi di interesse, distanze. Certo, già i romani avevano l’abitudine di erigere delle pietre miliari lungo le vie consolari, quelle della League of American Wheelmen erano però più dettagliate, avevano un loro linguaggio, erano facilmente consultabili anche in movimento. Avevano una loro semantica. La segnaletica stradale attuale deve tanto, forse tutto, a quella ciclistica di allora.
Erano l’avanguardia. Furono gli Stati Uniti il primo Paese al mondo a costruire ciclovie funzionali, percorsi ciclabili adatti alle esigenze dei ciclisti a fianco delle strade già esistenti. Erano percorsi migliori di quelli precedenti, a tal punto ben realizzati che divennero strade, ci iniziarono a passare le automobili. Ma l’America si era già dimenticata delle biciclette, le aveva abbandonate chissà dove. Una sostituzione totale.
Ora stanno tornando, si stanno pian piano riprendendo uno spazio e un’identità. Forse è troppo tardi, ma c’è chi è fiducioso. «Sembra strano dirlo, ma il progresso negli Stati Uniti arrivò in bicicletta. Il problema è che gli Stati Uniti lo hanno dimenticato. Ora il nostro compito è farle tornare centrali nelle nostre città, perché le biciclette sono la miglior medicina per rendere le città migliori». A dirlo fu Bill de Blasio, ex sindaco di New York, il primo dopo decenni e decenni a reintrodurre le piste ciclabili nella Grande Mela. I