Il Mugello, la lunga valle che dagli Appennini accompagna il fiume Sieve fino alla confluenza con l’Arno (un tempo d’argento).
Pianura e collina, ma anche passi, come la Futa, il Muraglione, il Giogo (proprio sopra Scarperia). Campi e boschi, strade sterrate, sole caldo nelle estati degli Anni ‘50. L’acqua abbonda, la vegetazione è lussureggiante e le coltivazioni fiorenti. Terra di contadini, ma anche territori di caccia per i Medici un tempo (non manca qualche villa a ricordarlo, come quella di Cafaggiolo). Terra di contadini, ma anche di pedalatori. Aimone Landi prima della guerra, poi Guido Boni e Gastone Nencini negli Anni ‘50. Pedalatori forti, quasi inesauribili, di sicuro affidamento. Capaci di dedizione totale al capitano o di sorgere con forza fino a primeggiare ai Campi Elisi di Parigi. A questi – argomento di questo articolo – si aggiungono le importanti figure di Mario e Vasco Baroni.
Là, in quelle lande verdi, in un punto indefinito, che solo i moderni cartografi saprebbero tracciare, passa l’antica strada tracciata dalle ruote del carretto. Là, alle spalle di Scarperia, di fianco alla Pieve di San Gavino. Là nella balza appare la Zollaia, casa di origine dei Baroni. Dieci figli, uno squadrone di maschi e femmine. Mario è il secondo (1927), Vasco il terzo (1928). La regola della famiglia contadina avrebbe voluto che solo uno dei due potesse dedicarsi al ciclismo, per non disperdere troppe braccia alla terra e alla sua coltivazione. In questa famiglia con 10 ragazzi la regola fu però disattesa. Il primo a salire in sella e a correre fu Vasco. Vinse e portò a casa anche un cospicuo bottino (9.000 lire, un’enormità all’epoca). Si mette in luce anche agli occhi di Gino Bartali che l’ha visto gareggiare. L’affermato campione ne rimane impressionato. Lo consiglia. Non dimentichiamo che all’epoca (fine Anni ‘40) il ciclismo, anche grazie al duello tra Bartali e Coppi, è al massimo della sua popolarità. Tutti i ragazzi vogliono provare a farsi strada pedalando, un po’ come adesso avviene nel calcio.
Scrive Franco Baroni (cugino di Mario e Vasco) in “La Zollaia del Mugello, il ciclismo nel sangue”: «Andava forte, Vasco, ma era sempre sfortunato come Paperino: una corsa per una foratura, una per una caduta, una per il salto della catena e così via, era sempre protagonista, ma vinceva un altro!». In casa Baroni tutti quei soldi guadagnati da Vasco fanno riflettere, soprattutto Mario. «Atleta possente, sempre sorridente. […] Mario aveva iniziato a correre per caso, emulando Vasco, che per primo aveva iniziato, comprandosi una bicicletta da corsa, con un debito dello zio Tonio presso la fattoria di Cafaggio, da cui la Zollaia dipendeva». Si capisce presto che le qualità di Mario sono diverse e i risultati anche superiori a quelli del fratello.
DALLE GIOVANILI
I due si mettono in mostra nelle categorie giovanili e nei dilettanti nel Giro della Toscana (1948). Ricorda Franco: «Dopo una prima tappa sfortunata [Vasco prima della volata finale finisce contro la portiera di un’auto, ndr], erano caduti entrambi perdendo molti minuti, vinsero le rimanenti tappe».
Gino Bartali nel 1949 fa passare Mario nella neonata squadra Bartali. Lo ripagherà con la vittoria della Coppa Lanciotto Ballerini. È il 1950 un anno spartiacque per le carriere dei due Baroni. Mentre Mario si forma alla corte di Gino, Vasco è chiamato alla leva militare (all’epoca di 15 mesi). Prima la formazione a L’Aquila poi in Sicilia. Di fatto esce dal gruppo e perde il treno per passare professionista. «Mario più fortunato non fece il militare, esordì professionista vincendo addirittura la gara di esordio, il Circuito degli Assi a Verona, battendo in volata Giovannino Corrieri e Gino Bartali»
Dopo un anno con Gino (e uno alla Taurea con Martini) Mario passa alla corte di Fiorenzo Magni (1952 Ganna). Sono gli anni in cui mette in mostra le sue doti di infaticabile gregario devoto al capitano, rinunciando anche a quelle poche possibilità di vittoria. Dal 1952 viene chiamato in Nazionale, all’epoca guidata da Alfredo Binda, sia per la squadra del Tour (vittoria di Coppi) che del Mondiale. «Nel 1952, selezionato per i Mondiali dopo aver vinto la premondiale, la gara di Varese, partì riserva. La corsa fu vinta da Muller, uno sconosciuto. Magni, quarto, in seguito ebbe a dire: “Se la volata me la tirava Mario avrei vinto a mani basse!”. Ma Mario era solo riserva!».
La sua fedeltà alla causa di Magni ne fa un prezioso domestique. Il Gigante di Scarperia (così veniva soprannominato Mario), in possesso di un buono spunto veloce, guida abilmente le volate di Fiorenzo. Pur essendo gregario fidato di Magni, Mario continua ad allenarsi con Bartali. Così quando non è in Riviera con Fiorenzo è con Ginettaccio a pedalare in Toscana, tra Firenze e Arezzo, magari allungando sul San Baronto o spingendosi fino a Siena. In questo modo il campione Bartali allena i giovani mugellani Baroni e Nencini. Gli insegna la costanza, a sviluppare la forza, ne forgia le gambe, come in precedenza aveva fatto con Alfredo Martini. La presenza di Gino nella vita e nella carriera (come consigliere) sarà costante per questi corridori.
Intanto Vasco, terminato il periodo di leva, prova a rientrare nel giro del ciclismo. Chiede aiuto al fratello per un ingaggio nella squadra di Magni, ma Fiorenzo preferisce corridori pronti rispetto a un ciclista che, purtroppo, negli ultimi due anni di bicicletta ne ha vista poca. Vasco non demorde e trova un ingaggio per l’annata 1952 nella Welter. Direttore sportivo Pierino Tagliabue, come compagni Carlo Clerici (poi vincitore del Giro d’Italia del 1954), un certo Alfredo Martini e Vittorio Seghezzi. Vasco prova a mettere in evidenza le sue doti di passista veloce. Raccoglie dei buoni piazzamenti (3° al Trofeo Necchi, 4° al Trofeo Cirio, 6° al GP Sinalunga).
Diversi caratterialmente i due fratelli. Più mite Mario («onesto fino in fondo», lo definisce Franco), più estroso Vasco. Entrambi molto alti (1,90 per Mario, 1,82 per Vasco). Mario luogotenente fedele, Vasco più orientato alla ricerca della vittoria personale. Al termine della stagione Vasco trova l’accordo con lo squadrone della Bianchi per l’anno successivo (1953). Stavolta però non potrà giocarsi le sue carte, sarà tempo solo di gregariato. Vince un circuito in Belgio, a Charleroi. Aiuta Petrucci nel Giro delle Fiandre (Loretto sarà quinto).
«Disputò una bella Sassari-Cagliari sempre in fuga, piazzandosi nei primi. Un durissimo giro delle Fiandre al fianco di Petrucci e un Giro di Lombardia, con una lunga fuga sul mitico Ghisallo».
Mentre Mario resta legato a Magni, per Vasco trovare spazio è sempre difficile. Terminata l’esperienza alla Bianchi trova stabilità nella Lygie-Torpado per un triennio (1954-56) magro di soddisfazioni (solo un quinto posto nella Coppa Arno nel 1955).
FRATELLI IN BICI
Quello dei fratelli in bicicletta era un tema molto sentito all’epoca. Non erano poche, infatti, le coppie di familiari pedalatori. Oltre ai fratelli Bartali (Gino e Giulio) e Coppi (Fausto e Serse) da annotare anche i Ciolli (Marcello ed Emilio), i Sacchi (Mario ed Enzo, quest’ultimo olimpionico della pista e campione del mondo). Inoltre Mario e Vasco erano cugini di Gastone Nencini (i nonni erano fratelli). Un terzo Baroni, Gino, ebbe poca fortuna nel ciclismo. Nell’estate del 1952 Gino, anche lui dotato di buoni mezzi, fu costretto a dire addio ai suoi sogni di gloria e alla carriera ciclistica. «Dopo Vasco e Mario anche Giuseppe e Gino correvano in bicicletta», chiosa Franco. Racconta: «[Durante la gara di Vicchio] In Cima a Pratolino transitò Boni a poca distanza da Gino, che era reduce dalla sua prima vittoria a Figline Valdarno. Calando il miglio, un motociclista che non si era fermato all’alt degli organizzatori investì Gino alla curva dei cipressi. Il centauro morì sul colpo, Gino fu ricoverato con trauma cranico, ferite varie e frattura di una gamba».
Come scrive Riccardo Nencini in “Il Giallo e il Rosa” su Mario: «Ben presto era diventato la spalla ideale, l’uomo che preparava le volate a Magni, che rintuzzava gli attacchi degli avversari, che portava acqua e tubolari per il suo capitano. L’uomo che tra Vuelta e Giro [1955] aveva ucciso le speranze di Gastone saltandogli al collo a ogni tentativo di fuga, insomma un secondino perfetto. Erano amici e cugini, ma l’appartenenza a squadre diverse non consentiva a Mario né di soccorrere Gastone, né di restare neutrale».
Lo stesso Nencini era cosciente di questo. Nella tappa da Genova a Viareggio della corsa rosa del ‘55 (in cui entra in carovana anche la scrittrice Anna Maria Ortese) era stato ripetutamente ripreso da Mario. A Vasco, che era andato a trovarlo e che gli pronostica la vittoria del Giro, il cugino rispose: «Tuo fratello Mario va troppo forte, sul Bracco è venuto a prendermi cinque, sei volte». L’ordine di Magni era stato categorico: controllare Nencini a ogni attacco.
Mario ha un po’ di libertà nella seconda parte della carriera. Nel 1956 vince la prima tappa del Giro dei Paesi Bassi (Utrecht-Steenwijkerwold) e si piazza sesto nella Milano-Sanremo. Poi nel 1957, una volta che Fiorenzo Magni ha lasciato il ciclismo pedalato, raggiunge il cugino Nencini nella Leo Chlorodont, ancora con funzioni di gregario. Il Leone del Mugello però si era abituato a fare corsa di testa, con poco utilizzo della squadra rispetto a Magni, ciò dà maggiore libertà ai compagni di andare in fuga. Così Mario vince al Giro d’Italia (14° tappa, Genova–St. Vincent) e alla Vuelta (12° tappa, Barcellona–Saragozza). Mario accompagnerà Gastone nella conquista del Giro d’Italia di quell’anno. Per lui sono gli ultimi fuochi. Chiuderà la carriera nel 1958 nella Calì Broni-Torpado. Al suo attivo 9 stagioni da professionista, con otto edizioni della corsa rosa e tre Tour de France portati a termine. Non sarà mai in squadra con Vasco. Questi, dopo l’esperienza alla Lygie correrà ancora nel 1957 alla Torpado – Girardengo, ma senza gloria.
La Zollaia però non è dimenticata. Entrambi tornano spesso alla casa natale, un po’ per aiutare la famiglia, un po’ come base per la caccia. La caccia è uno sport molto praticato dai corridori dell’epoca. D’inverno, infatti, prima di cominciare la preparazione in Riviera, si passeggia con il fucile in mano. Ecco quindi che nel Mugello non è difficile incontrare Bartali, Martini e Linari. Si ritrovano da Vasco, vanno a caccia e poi a tavola a casa Baroni. Non è un evento raro, anzi.
Ricorda Franco Baroni un episodio del 1953: «A settembre del 1953, il ciclismo era ormai a fine stagione, alla fattoria di Cafaggio furono invitati per una battuta di caccia gli atleti reduci dal Tour de France. Bartali, Magni, Corrieri, Martini… e naturalmente Mario. Figuriamoci l’euforia di noi ragazzi di trovarsi con tanti campioni». La buona abitudine delle battute di caccia resta anche negli anni successivi, al termine delle rispettive carriere.
La bicicletta rimane comunque nella vita di entrambi i fratelli. Mentre Vasco di fatto non scende mai di sella, correndo nelle varie categorie amatoriali e vincendo spesso e volentieri la propria, Mario lascia le due ruote per molto tempo. Solo all’alba dei 60 anni riprende a pedalare. Sarà proprio durante un’uscita in bicicletta che troverà, presso il Passo Sugame (sopra Greve in Chianti), la morte in un incidente stradale (primo agosto 1994). Vasco invece si spegnerà all’età di 84 anni nel 2012, dopo essere stato tra i fondatori del premio Giglio d’Oro, insieme a Saverio Carmagnini e Gastone Nencini.