Il Giro del 1940, oltre a raccontare il primo volo dell’Airone, racconta di quei campioni che, pur nella semplicità di vita e nella modestia, seppero coinvolgere le folle infinitamente più di qualsiasi altro evento sportivo. Ricorda inoltre i protagonisti di un Giro d’Italia che avrebbe posto fine ad un’epoca ciclistica caratterizzata dal coraggio, dalla forza, dalla fantasia, dall’abnegazione e dalla voglia di emergere per allontanare l’indigenza e la miseria.
Quella del 1940 è quindi un’edizione che fa da spartiacque alla Storia: sportiva, ovviamente, ma anche sociale e civile. Infatti, per un centinaio di giovani che si apprestavano all’annuale cimento sportivo – forse il più importante d’Europa – tanti altri, molti di più, anzi troppi di più, si armavano e venivano spinti ad un’era di guerra, di violenza e di prevaricazione: un’epoca in cui la forza ottusa e intollerante doveva dominare sul libero mondo delle idee e del dialogo.
Un’aria cupa e tetra aleggia su quel Giro d’Italia allestito con tanta cura ma oppresso dai preparativi bellici, su quel Giro che doveva costituire la “madre di tutte le corse” per designare il più forte corridore da corse a tappe. Il duello atteso e annunciato era tra il “mito” Bartali e il convincente Valetti, i vincitori delle ultime quattro edizioni della Corsa rosa (’36/’37 Bartali, ’38/’39 Valetti). Giovanni Valetti è ingaggiato dalla Bianchi che da oltre vent’anni non mette le mani sulla Maglia Rosa (ultimo nel 1920 Tano Belloni) e ha approntato una squadra fortissima. Ma inaspettatamente venne alla luce “l’uomo nuovo”, come l’avrebbe definito Orio Vergani. Inopinatamente, un giovanissimo tortonese conduce a Milano un Giro che si rivela interessantissimo, incerto e combattuto: un “tutti contro tutti” dalle mille sorprese e verità.
L’AIUTO DI BARTALI
Il Giro agonisticamente si mette subito male per la Legnano del direttore sportivo Eberardo Pavesi: Bartali cade nella discesa della Scoffera e si infortuna gravemente. Pare che non sia più in grado di proseguire. Ma la grinta agonistica del toscano prevale sui cerotti e la sua corsa continua. Anche Valetti ha i suoi guai; sale allora in cattedra un coequipier di Gino, il cremonese Pierino Favalli il quale prende la Maglia Rosa. Poi gliela strappa di dosso lo scalatore torinese Enrico Mollo dell’Olympia ma, insospettabilmente e con la regia di un Gino Bartali a mezzo servizio ma più che mai uomo squadra, un giovanissimo (non per niente è il vincitore più giovane della storia del Giro) segaligno e timido, dalla faccia aguzza e dal sorriso timoroso, quasi diventa un gigante e vince un Giro che rimarrà nella storia perché dopo di esso nulla sarà più come prima.
Coppi, l’ancora sconosciuto Fausto Coppi, dopo aver dato segnali interessanti da dilettante, si erge a vincitore, sorprendente e meritevole. Il suo è il successo inaspettato di un ragazzo, quasi di un “cucciolo”, la vittoria di un campione ancora in fieri: il primo, grande, volo di un meraviglioso “airone”, come verrà soprannominato in seguito. Ma, come ricorda la “Gazzetta” nel giorno del trionfo, è pur sempre un “coscritto” e tanto basta per capire in che clima stia vivendo lo sport e in generale tutta una nazione, anzi un intero continente. Fatto quanto mai emblematico, il giorno seguente la conclusione di quel “Giro” l’Italia entra in guerra: la Storia, la nostra Storia, vivrà un periodo oscuro e tragico.
L’Italia, la nostra Italia, morirà travolta dal conflitto e da una guerra civile ma, splendida Araba Fenice, saprà risorgere dalle sue macerie e dalle sue ceneri.
Degna di nota e ricordata fin troppo spesso da storici e biografi come tappa regina, è la Firenze – Modena, dove il giovane Fausto decolla, e sull’Appennino Tosco Emiliano conquista una Maglia Rosa che non perderà più. Ma leggendo nelle pieghe della corsa si vede come il giovanissimo Fausto Coppi, già dalle prime tappe, dimostra di essere, a discapito del fisico allampanato, atleta solidissimo e tatticamente accorto. Bartali, di buon grado, riesce a guidarlo saggiamente nel finale verso un successo che sorprende tutti in carovana e che lascia supporre giustamente, un futuro da campione.