Gli italiani sono un popolo di inventori in tutti i campi, specialmente nella meccanica.
Durante il XX secolo, ingegnosi telaisti e meccanici hanno impegnato la loro creatività nella modifica dei componenti della bicicletta cercando di migliorarla al fine esclusivo di ottenere prestazioni migliori e vincere. Tullio Campagnolo, da genio della meccanica qual è stato, oltre al cambio a due stecche e agli sganci rapidi delle ruote, ha inventato soluzioni più o meno fortunate e note, come per esempio il porta catena sul telaio al forcellino posteriore e il ricercatissimo cambio Campagnolo Rally, che permetteva di utilizzare già allora (eravamo negli Anni ’80) un pignone posteriore da 32 denti.
Un altro inventore è Ernesto Colnago, che ha ideato e brevettato alcune soluzioni innovative, come per esempio il reggisella disassato per ottenere un maggior arretramento della sella stessa, la forcella Precisa – completamente dritta – che offriva un miglior controllo della guida, e molto altro ancora. Si è addirittura arrivati, nel decennio scorso, al doping meccanico, con l’utilizzo di motori elettrici inseriti dentro il tubo piantone per aggiungere potenza alla forza muscolare del ciclista.
Ma non tutto quello che è salito alla ribalta è stato originale in assoluto. Se andiamo a vedere la produzione meccanica per biciclette da corsa, infatti, possiamo trovare delle invenzioni poco conosciute che hanno anticipato altre, che sarebbero diventate più famose. Ve ne raccontiamo alcune in queste pagine!
OVALE MA NON TROPPO
La prima invenzione riguarda la moltiplica anteriore. Nel 1986 Shimano, con il gruppo 600, introdusse delle corone per guarnitura denominate Biopace, leggermente ellittiche, che consentivano una pedalata più rotonda e redditizia. Dopo l’abbandono del progetto da parte di Shimano le corone ovali o ellittiche hanno perso d’interesse per poi tornare di moda, pubblicizzate da diverse aziende, come una novità e utilizzate sia su strada che in mountain bike.
In realtà abbiamo scoperto che Shimano non fu pioniera di questa soluzione. Infatti nella rivista “La scienza illustrata”, uscita nel lontano marzo del 1952, con Fausto Coppi in copertina era pubblicata la foto di una corona ovale! La rivista, riccamente illustrata, proponeva diversi articoli dal titolo curioso come “Cucineremo a metano?” oppure “Costruitevi un ricetrasmettitore portatile”. Un approfondimento a firma di Luciano Palomba, inerente all’evoluzione della bicicletta dalle origini fino al 1952, riguardava una moltiplica a raggio variabile, molto simile se non identica all’attuale corona ellittica. L’ideatore, Carlo Ciancia, un tecnico di Cesenatico, spiegava in modo chiaro come lo sforzo della pedalata non veniva applicato in maniera uniforme su tutto il perimetro della ruota dentata e come fosse più conveniente aver un maggior raggio possibile (quindi nella parte della moltiplica più allungata) nel settore in cui la pedalata era maggiormente efficace, cioè tra i 90° e i 160° dell’intera rotazione. Il prototipo raffigurato nelle foto di questo articolo era montato su una bici dell’epoca accoppiata a un cambio Cervino, proprio quello utilizzato da Gino Bartali. Questo cambio era dotato di un tenditore che sopperiva alle variazioni di tensione della catena. Successivamente, negli Anni ’70, anche all’estero ci furono tentativi di promuovere moltipliche ellittiche che ebbero però scarsa fortuna.
Le sorprese non finiscono qui: in effetti ci siamo imbattuti anche in guarniture singole in ferro degli Anni ’30/’40 a 46 e 44 denti che avevano forma ellittica. Probabilmente venivano accoppiate a un tendicatena a molla che ne permetteva l’utilizzo. Anche un vecchio disegno datato 1894 mostra due corone ellittiche per bicicletta. Probabilmente la questione del suo utilizzo per ottenere una pedalata più efficace è stata dibattuta fin dagli albori della bicicletta, quando si cercava di migliorare ogni componente anche procedendo per tentativi.
MOZZI CREATIVI
Un’altra invenzione già “inventata” riguarda i mozzi per bicicletta. La più conosciuta è sicuramente quella ideata da Cinelli. Cino aveva ideato un mozzo dove la ruota libera restava solidale al forcellino posteriore e non al mozzo stesso, e permetteva quindi l’intercambiabilità tra ruota anteriore e posteriore. Il vantaggio era di non sostituire la dentatura in caso di cambio ruota per foratura in modo da cambiare la ruota in soli 5 secondi. Inoltre, questa soluzione permetteva di dimezzare la scorta delle ruote, essendo l’anteriore intercambiabile con la posteriore. La nota negativa, non da poco, era la necessità di aumentare la distanza tra i forcellini a 124 mm (da quella usuale di 120 mm) per agevolare il disinnesto della ruota posteriore. Le immagini che vedete in queste pagine sono tratte dal libro “Il ciclismo” del 1968, a cura della Federazione Ciclistica Italiana, e riservato al corso per direttore sportivo. Lo sgancio era rapido e senza viti filettate, ma a con boccola a incastro che permetteva un rapido blocco/sblocco, per certi versi simile all’attuale perno passante per ruote a disco adottato dalla casa costruttrice di bici Focus!
In realtà anche i mozzi Cinelli hanno avuto un predecessore, anzi due. Nella metà degli Anni ’30 la ditta G. Caimi & C – Castano, che realizzava ruote libere, ideò dei prototipi denominati RAPID. Si trattava di un mozzo che si poteva separare facilmente dalla ruota libera a 4 rapporti. Un perno filettato permetteva di agganciare la ruota alla ruota libera, oppure di sfilare la ruota e di lasciare la ruota libera con la relativa catena attaccata al forcellino posteriore destro. Ruotando il perno filettato fissato al mozzo, e tramite una piccola manovella, era possibile sfilare la ruota. Il componente ritrovato illustrato nelle immagini, lavorato al tornio, ha dentatura elicoidale di pregevole fattura e un perno di 116 mm di lunghezza che consente di estrarre agevolmente la ruota da un telaio classico.
A volte la mostra scambio di Novegro (MI) riserva delle notevoli sorprese. È proprio a Novegro che quest’anno abbiamo potuto osservare la bicicletta ritratta nella foto di apertura di questo articolo. Ritrovata nello stato attuale ha freni a mensola marcati CGF Luxe, sella in pelle marcata Talbot e ingrassatori ai mozzi e al telaio. Datata intorno agli Anni ’30, di probabile fattura francese, presenta non solo un manubrio di grande bellezza (tipo quello utilizzato nelle gravel moderne), ma soprattutto uno sgancio della ruota posteriore simile al RAPID e in parte al mozzo Cinelli intercambiabile. Anche in questo caso è possibile sfilare il perno filettato ruotando il galletto posto sul lato destro ed estrarre la ruota, lasciando i pignoni marchiati ELVA-B, e relativa catena, agganciati al forcellino posteriore destro del telaio. Nessuna scritta di marca nota è stata trovata nel telaio, ma sicuramente l’estro non mancava al costruttore di questa bici!
FRENI VARI
Un’altra curiosa invenzione riguarda i freni. Tutti conoscono i famosi freni Delta di Campagnolo. Ideati nel 1984, furono presentati in una prima versione nel 1985 per poi essere ritirati dal mercato. L’impianto prevedeva un sistema a pantografo e un tiraggio centrale del filo che, agendo su un parallelogramma deformabile, spingeva su due leve portapattini infulcrate nel corpo dei freni Delta. La criticabile funzionalità di questo originale sistema frenante ha richiesto di riprogettare i leveraggi interni per renderlo più efficace (ne abbiamo parlato su BE33). I Delta furono così riproposti definitivamente in una seconda versione migliorata nel 1987.
Qualcuno, però, prima di Campagnolo aveva già pensato di utilizzare il sistema a tiraggio centrale a pantografo per ottenere una migliore frenata. Negli Anni ’60, infatti, una ditta di Milano chiamata Bianchi – ma estranea al notissimo produttore di biciclette – brevettò un freno denominato Expansion con lo schema di funzionamento simile ai futuri Delta. La “Bianchi dei freni” sfruttò la similitudine del nome ma non ebbe fortuna e questi freni caddero nel dimenticatoio. Da sottolineare che già negli Anni ’30 in Francia avevano costruito freni con questo schema di frenata, seppur molto rudimentali. Ironia della sorte, né i Delta né i loro predecessori ebbero molta fortuna, a testimonianza del fatto che forse non si trattava di un sistema particolarmente efficace.
L’ultima invenzione arrivata troppo in anticipo riguarda le leve dei freni Compagnucci, ideati da questo semplice meccanico di Castelfidardo. Siamo alla fine degli Anni ’70 e il gruppo Campagnolo Record la fa da padrone. Nella mente di Compagnucci balena l’idea di rendere la bicicletta più elegante e aerodinamica. Il suo ingegno si focalizza sulle leve freno. L’idea è di togliere gli antiestetici fili esterni e quindi realizza gli stampi di freni che fanno passare i cavi sotto il nastro con un sistema interno semplice, utilizzando in una prima versione una catenella che permetteva il tiraggio orizzontale invece che verticale del cavo.
Spariscono quindi i cavi esterni dei freni, come succederà poi nei freni tipo Record C di terza generazione a partire dai primi Anni ’90. Oggi la partecipazione alle ciclostoriche richiede il passaggio dei fili del freno esterni, ma il buon Compagnucci brevettò e produsse (n° 507/1979) il suo sistema già nel 1979! Non solo ideò il tiraggio orizzontale modificando il meccanismo di frenata della leva al manubrio, ma riprese anche in parte la “C” di Campagnolo sperando in un successo mai arrivato, sebbene avesse studiato anche la leva adottando una forma più arretrata per migliorare la presa con le dita. Compagnucci realizzò diverse versioni dei suoi freni Aero, anche anodizzate nere. Certamente una bella bici d’epoca non sfigurerebbe con queste leve davvero eleganti e anticipatrici sia dei Campagnolo sia degli Shimano AX che compariranno nel decennio successivo.
Come abbiamo visto le idee sono state tante nell’evoluzione della bicicletta, più o meno utili e riuscite. Ogni componente è stato negli anni perfezionato fino ad arrivare alle bici di oggi. Ma quante notti insonni di meccanici fantasiosi, quante prove e insuccessi prima di arrivare alla versione definitiva e al successo. A volte – ma non sempre – arrivato solo tanti anni più tardi!
A cura di: Adriano Vispi e Dario Corsi Sito: italianvintagebicyclescollection.it