«Tu segui il numero 71: dove va lui, devi andare tu».
Il romagnolo Luciano Pezzi era un direttore sportivo esperto, autorevole, stimato e rispettato da tutti. Era stato un buon corridore, compagno di squadra di Fausto Coppi alla Bianchi nel 1958, e in precedenza perfino comandante partigiano. Il numero 71, al Giro delle Fiandre del 1967, se lo era appuntato un ventiduenne belga, che nel personale carniere aveva già messo due Milano – Sanremo. Si chiamava Eddy Merckx. Chi doveva marcarlo stretto e non preoccuparsi d’altro era un ventisettenne padovano, di difficile inquadramento ma dal buon rendimento. Si chiamava Dino Zandegù. Pezzi dirigeva la Salvarani guidata da un autorevole capitano, Felice Gimondi, un venticinquenne bergamasco che nelle prime stagioni da professionista era stato capace di vincere: tre tappe e la classifica finale del Tour de France nel 1965, la Parigi-Roubaix, la Parigi-Bruxelles, una tappa del Giro di Romandia, una tappa del Giro d’Italia, la Coppa Agostoni, il Giro di Lombardia e la Coppa Placci nel 1966. Insomma: Gimondi era il capitano, tutti gli altri i gregari, Zandegù l’addetto a Merckx. «Per non dimenticarmelo, mi sono appuntato il numero 71 sul guanto», ricorda Dino. «Alla partenza da Gent c’erano tanti corridori, uno più bravo dell’altro, ma io dovevo seguire solo Merckx. A 40 chilometri dall’arrivo Merckx ha iniziato a condurre una serie di attacchi e ogni volta che accelerava nel gruppo di testa ne rimanevano sempre di meno. Lo tenevo d’occhio, appena lo vedevo muoversi non me lo lasciavo scappare. Dopo il Kapelmuur nel gruppo principale siamo rimasti in 15 ma superata quell’asperità Merckx ha preso la decisione di non tirare più e di attendere in ultima posizione, probabilmente per capire quali mosse avrebbero fatto gli altri. Quando l’ho visto dietro, ho pensato che quello fosse il momento giusto per attaccare». Zandegù disubbidisce agli ordini di scuderia, va a riprendere il fuggitivo Nöel Forè e lo fulmina allo sprint.
Questo e molti altri aneddoti succosi sono raccontati dal giornalista romano Carlo Gugliotta nel libro “Giro delle Fiandre, la classica dei tifosi”, tredicesimo volume della collana Storie a pedali di Alba edizioni (134 pagine, 15 euro). Il libro, con prefazione dell’ex ciclista e fine commentatore Riccardo Magrini e foto di Roberto Bettini, ripercorre le vittorie dei corridori italiani alla Ronde: 1949, 1950 e 1951 Fiorenzo Magni, 1967 Dino Zandegù, 1990 Moreno Argentin, 1994 Gianni Bugno, 1996 Michele Bartoli, 2001 Gianluca Bortolami, 2002 Andrea Tafi, 2007 Alessandro Ballan, 2015 Elisa Longo Borghini, 2019 Marta Bastianelli e Alberto Bettiol. Gugliotta, il cui racconto è abbellito da giornali e riviste d’epoca dalla collezione di Renato Bulfon, tuttavia si sofferma molto anche sulla peculiare atmosfera che circonda il Giro delle Fiandre, che lo precede e lo accompagna, trascinando centinaia di migliaia di tifosi lungo il percorso di quello che è considerato il mondiale dei Fiamminghi.
UN TIFO UNICO AL MONDO
«Il Giro delle Fiandre è principalmente la classica dei tifosi – scrive Gugliotta –. Insieme ai corridori, i tifosi a bordo strada sono i veri protagonisti di una giornata che è paragonabile a una vera e propria festa nazionale per il popolo fiammingo. Il profumo delle patatine fritte e della birra fa da contorno alla fatica dei corridori. Persone che hanno pagato cifre pazzesche per avere un posto in tribuna, bus che permettono agli appassionati di spostarsi da un muro all’altro, scorciatoie improbabili che vengono percorse a piedi da chi non vuole perdersi nemmeno un passaggio della gara. La passione fiamminga è veramente smisurata e il tifo è rivolto a tutti corridori. Ecco il motivo per il quale credo che il Giro delle Fiandre debba essere definito la classica dei tifosi».
Descrizioni mitiche di una gara da leggenda. Tuttavia il Giro delle Fiandre, prima di diventare di diritto la classica dei tifosi, è stata la classica dei minatori italiani. Quelli che, a sacrificio della propria stessa vita, per garantire carbone alla patria e migliori condizioni di vita ai famigliari, con la valigia di cartone hanno raggiunto le buie e pericolose gallerie belghe. Il giorno della Ronde era festa anche per loro, risorti per un giorno nella speranza di vedere in testa alla corsa un corridore italiano.
E come un minatore nel 1949, a spese proprie, Fiorenzo Magni prese il treno a Milano per andare a conquistare la prima delle sue tre vittorie consecutive al Fiandre e regalare un sogno a chi non poteva vedere la luce.
A cura di: Giacinto Bevilacqua Photo credits: Bettini Photo