Le biciclette pieghevoli hanno dominato la scena negli Anni ’60/70. Le si vedeva dappertutto: al mare, in città.
Nelle sere d’estate non era cosa rara vedere un ragazzo che pedalava e l’altro dietro in piedi sul portapacchi. Poi, nel 1973, arrivarono le domeniche dell’austerity, che imposero la bicicletta come mezzo di spostamento non più per ragioni di piacere ma per contrastare la crisi energetica. Per scoprire quando venne introdotta la bicicletta pieghevole, comunque, bisogna fare un salto nel tempo e arrivare alla fine del XIX secolo, quando la paternità di questa tipologia è contesa tra l’inglese William Grout e l’americano Emmit G. Latta.
LA SFIDA DEI BREVETTI
William Grout è spesso riconosciuto come il padre della prima bicicletta pieghevole, anche se la sua proposta prevedeva la piega della sola ruota anteriore con il telaio che veniva smontato. Tale soluzione venne denominata, forse più correttamente, come bicicletta “portatile” piuttosto che come una vera pieghevole. Era una bicicletta alta con pneumatici pieni, la cui ruota anteriore si poteva smontare in quattro segmenti radiali che potevano trovare posto, insieme al telaio piegato, in una valigia triangolare.
Lo statunitense Emmit G. Latta, invece, era un inventore che depositò un brevetto di “bici pieghevole” negli Stati Uniti, datandolo 21 febbraio 1888. Nel testo del brevetto si legge: «Scopo della presente invenzione è quello di realizzare un mezzo che sia sicuro, forte e durevole, guidabile facilmente rispetto alle macchine attualmente in uso, e composto da una struttura e macchina snella in modo tale che la stesso può essere ripiegata quando non è richiesta per l’uso, in modo da richiedere poco ripostiglio e facilitare il trasporto».
Nel 1896 fu brevettata la Faun, una bicicletta safety frame il cui classico telaio “a diamante” (la forma primitiva della moderna bicicletta) poteva essere piegato nel mezzo di un asse verticale. Era davvero un bel progetto e piuttosto funzionale. Dall’inizio del XX secolo vari eserciti europei riposero un particolare interesse per le biciclette pieghevoli tanto da scatenare un’autentica corsa allo sviluppo di diversi modelli particolarmente funzionali.
Esempi piuttosto significativi, sono la variante smontabile per l’esercito svizzero della Dursley – Pedersen, datata 1901, o la Fongers olandese del 1909, con la particolarità di aver utilizzato per prima piccole ruote da circa 16″. Nella seconda guerra mondiale la BSA sviluppò la Folding Military Bicycle per l’esercito britannico, usata anche dai paracadutisti per poter lasciare più in fretta il posto di atterraggio.
Per quanto riguarda l’Esercito italiano, le prime biciclette pieghevoli vennero sperimentalmente assegnate ad alcuni corpi nel 1892, ma la loro grande diffusione avvenne nel 1912, quando la Bianchi vinse la gara d’appalto per la fornitura al corpo dei Bersaglieri ciclisti con un modello pieghevole tecnologicamente molto avanzato, del peso di 14 kg e dotato di ammortizzatori anteriori e posteriori, oltre alle cinghie per il trasporto a spalla.
In campo civile, tra gli Anni ’20 e gli Anni ’40 trovarono spazio diverse biciclette pieghevoli a ruote piccole come la Petit Bi francese (con parecchie somiglianze con le biciclette pieghevoli degli Anni ’70 che sarebbero arrivate dopo).
L’ESPLOSIONE
La vera grande esplosione della bicicletta pieghevole avvenne in Italia nel 1964. Lo stesso anno in cui iniziò la guerra in Vietnam, Nelson Mandela fu condannato all’ergastolo, nacque la Nutella. In campo sportivo, Anquetil fece la doppietta il Giro e Tour, il Bologna vinse il campionato allo spareggio con l’Inter (unico caso nella storia) e John Surtees divenne campione in Ferrari. A noi, però, interessa il fatto che quello fu l’anno insomma in cui nacque la Graziella, la madre di tutte le pieghevoli.
Nel 1964, la ditta di Teodoro Carnielli, di Vittorio Veneto, incaricò Rinaldo Donzelli, che in quel momento era un designer richiestissimo, di creare un progetto che soddisfacesse le esigenze degli italiani di quel periodo storico. Qualcosa di unico, di funzionale ma anche bello e intrigante da vedere. Ne nacque così una cosa stranissima, un oggetto dannatamente rivoluzionario dal nome inconfondibile. “Graziella”, appunto. Un qualcosa che ancora oggi ha un sapore magico e attorno al cui mito si raduna una fitta schiera di appassionati, italiani, francesi, tedeschi e persino sudamericani.
La Graziella era composta da un robusto telaio, pieghevole grazie a una cerniera centrale e all’assenza della canna orizzontale, e da ruote piccole da 16 pollici. La sella imbottita e il manubrio, ambedue sfilabili con la massima facilità, ne consentivano un agile trasporto anche nell’abitacolo di un’utilitaria di piccole dimensioni. Bastarono queste queste poche caratteristiche per identificare immediatamente la Graziella come un nuovo simbolo di libertà e di anticonformismo. Si poteva trasportare in auto o sui mezzi pubblici, la si poteva portare in casa e riporla piegata dietro alla porta del monolocale, visto che in quegli anni lo spazio cominciava ad essere un problema per chi abitava in città.
La Carnielli forniva insieme alla Graziella un tubetto di vernice, con tanto di pennellino incorporato nel tappo, per eventuali ritocchi che solitamente interessavano il portapacchi, normalmente assai esposto a urti e graffiature. Per dirla tutta, questo progetto dimostra che il concetto di bellezza è piuttosto relativo e influenzabile. La Graziella nacque come mezzo di trasporto povero, e in un primo momento il grande pubblico non considerava questa strana creatura proprio così bella in senso assoluto.
Allora i signori Carnielli ebbero la brillante idea di metterla prima sotto le delicate natiche di Brigitte Bardot e poi sotto quelle “creative” di Salvador Dalì. Infine venne la volta di Alfred Hitchcock e fu un vero boom! A oggi la Graziella resta l’unica bicicletta che ha potuto fare sfoggio di sé nel museo di arte moderna di New York, il MoMA. La Graziella pieghevole fece così un clamoroso salto di status, divenendo da subito la bicicletta della gioventù benestante anche grazie allo slogan dell’epoca che la definiva: «la Rolls Royce di Brigitte Bardot». Fu sufficiente far girare una semplice foto. Lo fece poi anche la Peugeot con Steve McQueen durante le riprese del film “Le 24 Ore di Le Mans”, ma questa è un’altra storia.
DA GRAZIELLA A CINZIA
Nel 1967 compaririono sulla scena del mondo pieghevole due imprenditori bolognesi, Giuseppe Bombi e Severino Maccaferri, titolari di un’azienda di verniciatura di parti e componenti per ciclomotori, i quali s’inventarono una nuova pieghevole dal nome di donna, la Cinzia. Segni particolari: le ruote da 20 pollici. La prima Cinzia era di un bel blu, un colore unico, con una lucentezza impareggiabile. Un blu metallizzato. Nessuno prima aveva mai realizzato un trattamento del genere. I rivenditori ne rimangono incantati e ne prendono qualche esemplare da mettere in vetrina per testare il mercato. La moda della Graziella è travolgente ma Cinzia ha le ruote più grandi, i colori più belli e costa meno. Le bici vengono vendute in pochi giorni e parte il passaparola. La richiesta diventa così forte che la produzione non riesce a starle dietro.
Vengono realizzati tre nuovi colori: il verde muschio, il verde lago e l’arancio metallico. Il forno per la verniciatura lavora anche di notte per dare il tempo alla vernice di asciugare. E i negozianti che arrivano dopo aver chiuso, caricano le biciclette prima ancora che siano finite, portandosi via i pedali o i freni per terminare il lavoro nelle loro officine e consegnare le biciclette la mattina dopo. Bombi e Maccaferri capiscono che stanno crescendo molto in fretta e che devono fare una scelta.
Così, il 25 gennaio 1967 nasce la società Cicli Cinzia, con una nuova sede, più operai e una linea di produzione che in tre anni arriva a realizzare 400 biciclette al giorno. Subito dopo anche Carnielli propose le ruote da 20 pollici e poi via via tutte le altre: Berma, Bianchi, Legnano, ecc. Al nord Italia Graziella è diventato sinonimo di bici pieghevole, come la carta Scottex è diventato sinonimo di carta assorbente. Ma al sud, specie in Puglia e Calabria, c’è ancora l’abitudine di chiamare Cinzia tutte le bici pieghevoli.
Ai giorni nostri esistono infinità di biciclette pieghevoli, leggere e funzionali, a cominciare dalle Brompton fino ad arrivare alle Mobiky e a mille altri modelli della grande distribuzione, ma il fascino degli Anni ’70 – testimonial compresi – era davvero tutta un’altra cosa.