In questo articolo vogliamo soffermarci su un paio di tipologie di trasmissione molto particolari.
Si tratta delle soluzioni adottate da Terrot e da Simpson, che per rarità e produzione limitata rappresentano quasi un unicum molto difficile da trovare in originale. Quello che ci interessa in questa sede, comunque, è descriverne il funzionamento. Partiamo dalla prima, il modello Terrot Lavinge brevettato dalla casa francese di Digione a partire dal 1896. La prima cosa che balza all’occhio sono delle ogive che sostituiscono le canoniche maglie. Questa soluzione, infatti, prevede di alloggiare le ogive all’interno degli spazi vuoti della guarnitura, con un principio inverso rispetto alla normale catena. In pratica le corone sono cave e la catena è in grado di trasmettere la trazione dalla pedalata alla ruota posteriore grazie a questi “denti”. Una soluzione che Terrot ha portato avanti per qualche anno e che ha utilizzato, per esempio, sul modello n°1 da pista di Mario Cionfoli che vedete in queste foto, quindi dotato di scatto fisso, sistema nel quale la catena non aveva solo lo scopo di trasmettere il movimento ma anche di rallentarlo.
Il secondo modello che vi mostriamo è il Lever Chain, brevettato nel 1895 da William Spears Simpson, ed è nettamente più complesso rispetto al sistema precedente. Si trattava di un kit aftermarket di conversione della trasmissione che comprendeva la guarnitura, il pignone posteriore e la catena. In questo caso i due volani sono differenti. L’anteriore è di fatto una guarnitura quasi normale – i denti sono più piatti e distanziati ma il principio è lo stesso – mentre il posteriore, avente forma quasi floreale, è cavo. La catena è molto complessa e la sua interpretazione e comprensione ha richiesto un notevole sforzo alla luce del fatto che la bicicletta sulla quale è applicata non è in Italia bensì a Brighton. Ringraziamo Colin Kirsch, proprietario di questa riproduzione.
CONCETTI INVERSI
Come funzionava il sistema Simpson? Il movimento della guarnitura faceva ruotare la catena conferendole trazione, che veniva poi trasferita alla ruota grazie ai denti a cresta posti sulla circonferenza esterna del pignone posteriore. Un’ulteriore e più semplice analisi riguarda lo spessore della catena, che è l’unica tipologia a oggi conosciuta in grado di far lavorare due volani così tecnologicamente diversi. Operazione possibile grazie al suo spessore che include una doppia traccia di trasmissione: sulla guarnitura lavora come una catena tradizionale forata, mentre sul pignone posteriore va a incastrare due teste tonde poste ai lati del vertice esterno dei triangoli che la compongono per “incastrarli” tra i petali del pignone. Un sistema molto complesso che Simpson pubblicizzò anche grazie ad alcuni corridori dell’epoca.
Naturalmente, catene di questo tipo – molto alternative e utilizzate da un singolo produttore o da pochi appassionati – non riuscirono a prendere particolarmente piede, dato che non c’erano vantaggi evidenti in termini prestazionali che ne giustificassero il costo. Inoltre, anche le riparazioni e le sostituzioni diventavano veramente molto complicate per cui si trattò di esperimenti episodici che furono poi soppiantati dagli standard che oggi conosciamo. Sono però una chiara testimonianza di quanto fosse varia e creativa la sperimentazione tecnologica negli anni pionieristici della bicicletta, quando in tanti cercarono soluzioni alternative oggi cadute completamente in disuso.
Consulenza tecnica Simpson: Carlo Azzini Si ringraziano: Mario Cionfoli, Colin Kirsch