L’idea che lo stato maggiore di una corsa o di una squadra ciclistica viaggi in “ammiraglia” lo si deve al giornalista (e neologista) più famoso dello sport nostrano, Gianni Brera, di cui peraltro parliamo in questo stesso numero per la sua cronaca al Tour del ’49. È lui a utilizzare per primo il gergo marittimo per descrivere gli automezzi che ospitano i direttori sportivi. All’epoca, giusto per fare due nomi, Eberardo Pavesi della Legnano viaggiava sul “Norge”, mastodontico camion-ammiraglia perché paragonato a un dirigibile; mentre il suo rivale alla Bianchi, Giovanni Tragella, insieme al Commendator Zambrini, si accomodava sulla “Checca” – al secolo una Bianchi S9 – guidata da Gino Oriani, figlio di Carlo, primo al Giro 1913. Sono mezzi di grande fascino perché unici, poiché prototipi con la livrea della squadra (il verde ramarro, nel caso della Legnano, o l’azzurrino tipico nel caso della Bianchi) e preparati per le esigenze di copione.
Tendenzialmente scoperte per agevolare la visuale, avevano spesso le fiancate sagomate per facilitare gli interventi meccanici in piena gara. Le fotografie dell’epoca le ritraggono sempre al seguito del ciclista di turno, complete di insegne della corsa e con il passeggero in piedi ad osservare la scena. E proprio da queste fotografie Giancarlo Pietra, erede insieme al cugino Maurizio dell’azienda Freni Universal, ha avuto lo spunto per una collezione creata insieme all’amico modellista, Claudio Spiller. In comune la passione per le automobili e i modellini d’epoca in scala 1:43.
Personalizzazione unica
Funziona così: dalle fotografie o dai libri di corsa si desumono i colori, le modifiche e gli accessori (come il porta bici o speciali roll-bar); poi si trova un modello d’auto “di serie” in scala 1:43, si smonta tutto, si mette mano alla carrozzeria e si rivernicia. Il tocco finale è l’applicazione degli adesivi e delle decalcomanie, rigorosamente fedeli a quelle dell’epoca: una collezione che si è presto aperta a tutti i mezzi coinvolti in un Grand Tour, quasi 400 esemplari a coprire 70 anni di storia del ciclismo. «Le ammiraglie sono il fiore all’occhiello», spiega Pietra, «anche se, a dirla tutta, il primo modellino che abbiamo realizzato è stato il nostro furgone della Universal, l’F12 dell’Alfa Romeo. Poi abbiamo proseguito con la Fiat 1100, che usavamo proprio agli albori, e infine con il Ducato, ultimo valoroso carro personalizzato che ancora possiedo e che porto alle ciclostoriche». A livello tecnico, il più facile da realizzare sembra proprio l’autocarro della Fiat. In realtà dei tre è stato quello che ha richiesto maggior cura, ci spiega Spiller: «Per l’F12 è bastato colorare la carrozzeria, apporre la decalcomania e l’insegna. Per il Ducato, invece, è stato più difficile dato che non esiste in commercio il modellino con il tetto basso. Mi sono quindi industriato per sostituirlo con uno in resina fatto da un amico. Dcisamente impegnativo».
La Carovana pubblicitaria
Dopo gli automezzi targati Universal, si è passati alle ammiraglie e – logica conseguenza – ai mezzi che componevano la carovana pubblicitaria del Giro d’Italia nel corso dei decenni. Gli indimenticabili carri della Sagip (mangimi animali, infatti è rosa e sormontato da un maiale), Liebig, Campari (con tanto di orso polare sul tetto e ghiaccio che minaccia di invadere l’abitacolo), Coca-Cola, Ferro-China Bisleri, della Superga, della Utet, della Hatù («che agli albori, da produttore di caucciù, si occupava anche di penumatici», specifica Pietra sorridendo), della Binaca, della Fizz («La bevanda numero uno», recita lo slogan sulla fiancata), della Simmenthal, sono delle “Madeleine proustiane” per Pietra, che potrebbe raccontare un aneddoto per ogni modellino.
«Si trattava di vere realizzazioni artistiche, in molti casi» spiega. «Carrozzieri bravissimi che con creatività e ingegno rendevano questo torpedone che anticipava la corsa davvero meritevole di attenzione e curiosità. In Francia, al Tour, si possono ancora ammirare creazioni del genere, in Italia purtroppo il codice della strada si è fatto più stringente e l’appeal della carovana ne ha risentito terribilmente».
Prosegue Spiller: «Uno di cui vado molto fiero è quello della Superga, perché abbiamo modificato molto il furgone scatolato di partenza. Abbiamo aperto tutte le fiancate e inserito dei modellini di pneumatici all’interno. Anche Utet è curioso: con la plasticard (fogli di stirene o polistirene, materiali plastici comuni ai modellisti, ndr) ho ricreato la forma del dorso dei volumi enciclopedici, un mezzo iconico all’epoca. Anche Chlorodont, con quei due tubetti di dentifricio sul tetto, è stato pesantemente rimaneggiato rispetto al modellino originale. E il risultato è magnifico». Con il passare degli anni i due amici hanno aperto la ricerca ai mezzi di servizio dei giornali – ogni testata aveva la sua macchina, completa di autisti e inviati – e della televisione. «C’è l’automobile dell’EIAR, Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche, progenitore della Rai», continua Pietra, «e poi una serie di mezzi della televisione pubblica che per un lungo periodo furono colorati di un azzurro speciale perché si distinguessero dagli altri. Tutti veicoli modificati in funzione delle riprese televisive: tetti aperti, corrimano, sostegni per la telecamera. Ho scoperto che la Rai ne ha recuperato un esemplare, l’ha restaurato e lo utilizza per i servizi di Rai Storia». La collezione interessa anche i mezzi dell’assistenza medica: si passa dalla vettura anni Sessanta del “mitico” dottor Frattini, alla Giro Clinica Also (poi Enervit) e a quelle della farmaceutica francese Aspro, per un triennio al seguito della Corsa Rosa.
I Sessanta e i Settanta
«È certamente il periodo d’oro della collezione», afferma Giancarlo. «Sono decenni ricchissimi di sponsor, corridori, mezzi». E infatti le ammiraglie sono quelle della Molteni di Gianni Motta, della Faema di Eddy Merckx, della Jolly ceramica di Fausto Bertoglio, la Scic di Giuseppe Saronni, la Brooklyn di De Vlaeminck, la Ferretti di Alfredo Martini, la Bianchi Piaggio di Felice Gimondi, le Citroën ID Break della Dreher Forte… potremmo andare avanti a lungo. Preferiamo aggiungere una curiosità legata a quegli anni: le corse sono finalmente aperte al gentil sesso, osteggiato per lungo tempo da un’organizzazione timorosa delle distrazioni dei corridori. Ecco quindi le prime Miss, della Irge o della San Pellegrino, guardate a vista da Antonio “Tony” Bailetti, ex corridore che per la professionalità dimostrata nel ruolo sarà soprannominato “l’eunuco”. Oltre a presenziare sul podio al termine della tappa, le fanciulle viaggiano su automezzi personalizzati, anch’essi presenti nella collezione Pietra.
Un capitolo a parte meritano le ammiraglie dei patron del Giro d’Italia: indimenticabile, anche perché in copertina su Lo Sport Illustrato di un numero monografico dedicato a Coppi, la fiammante Freccia d’oro della Alfa Romeo che vede Armando Cougnet con la tipica bandiera rossa (il fischietto sarà prerogativa del successore, Vincenzo Torriani), accompagnare il Campionissimo in fuga solitaria con la maglia di campione del mondo. «Il nuovo progetto prevede la riproduzione di tutte le automobili di Torriani: la Fulvia, l’Argenta, la Gamma e via discorrendo. Ma Claudio nicchia perché bisogna prevedere sempre l’oblò tipico del direttore di corsa, tagliando la carrozzeria del tetto di ogni modellino, eliminando di conseguenza il sedile davanti». In realtà Claudio nicchia perché sta ultimando l’Alfa Romeo Matta AR51 al seguito di Coppi al Tour del 1952: mancano solo le insegne e poi è pronta anche l’ammiraglia della seconda doppietta Giro – Tour.
A cura di: Federico Meda Si ringraziano: Sergio Meda, Giancarlo Pietra
mezzi di fatica
Ci sono camion che trasportavano le transenne e che a fine tappa andavano recuperate e montate all’arrivo successivo oppure la staffetta apricorsa, in questo caso una Fiat 125 nera, con stemma “La Gazzetta dello Sport” sulla fiancata e un curioso adesivo che intima “Bambini non attraversate la strada!”.