Come promesso nel precedente numero, l’avventura della rubrica Genesis prosegue in questa seconda puntata alla scoperta delle innovazioni tecnologiche relative al telaio.
Questa volta, avendo già discusso precedentemente le basi dell’origine dei safety frame, ci avvieremo sino alle porte del XX secolo.
Questo periodo rappresenta l’epoca d’oro della stragrande maggioranza di tutte le case velocipedstiche. Si deve infatti tenere in considerazione che quasi tutte le aziende italiane erano già attive in quella galassia di aziende che caratterizzava Milano e più in generale tutto il Nord Italia. La raffinatezza industriale, unita a una precisione intrinseca delle macchine operatrici di nuova generazione, dava modo alle ditte di fornire telai robusti, sicuri e anche leggeri.
L’inizio della generazione dei safety frame, unitamente alla leggerezza di cui sopra accennato, diede modo a innumerevoli marche di sviluppare modelli e brevetti che arriveranno a definre anno dopo anno il telaio per come lo conosciamo oggi. Si tratta di un processo tanto affascinante quanto degno di riflessione. Quello che accadde è che tutte le ditte che nella fase precedente erano caratterizzate da una forte personalità stilistica e progettuale mano a mano che ci si avvicinava al XX secolo iniziarono ad adagiarsi su schemi molto simili, portando una sorta di appiattimento e monotonia progettuale come se si trattasse di un primo esempio di globalizzazione ante litteram.
STERZO E GEOMETRIE
Uno dei primi aspetti a trovare una nuova dimensione nel corso del periodo storico in oggetto furono le varie tipologie di sterzo, riconducibili sostanzialmente a tre soluzioni: la prima a pivot, la seconda a molla (o per meglio dire “spring stearing”) e la terza infine a cuscinetti, ovvero a sfere. La prima tipologia, già descritta nel primo appuntamento, funziona grazie a un nasello che è libero di muoversi entro due alloggiamenti ricavati all’interno della forcella. La seconda tipologia rappresenta l’anello di congiunzione tra lo sterzo a pivot e quello a sfere. Il funzionamento è sempre su bronzine ma per garantire più plasticità e fluidità vi è inserita una molla nella parte superiore dello sterzo. L’ultima tipologia è quella canonica ancora usata nelle bici di oggi, e vede l’impiego di sfere e di cuscinetti a sfera, la cui costruzione fu resa possibile grazie alle nuove tecniche di bonifica e tempera delle calotte dello sterzo e delle biglie metalliche inserite all’interno delle camere circolari, che ne garantirono la sufficiente durezza .
L’altra grande rivoluzione riguarda il design dei telai. Il periodo immediatamente successivo al Rover (di cui abbiamo parlato nello scorso capitolo) è infatti caratterizzato da un disegno battezzato da appassionati e studiosi della storia del velocipede col nome di “X frame”, ossia “telaio a croce”. Si tratta di un nome ovviamente autoesplicativo, dato che il telaio presenta una tipica forma a X ottenuta incrociando le due strutture principali che lo compongono, ovvero il tubo sella e la monotrave che unisce lo sterzo al mozzo posteriore. Tuttavia, in diversi esempi di telai a croce è possibile vedere tiranti e puntoni di rinforzo utili per l’irrobustimento della struttura.
Il primo step nella rivoluzione del design telaistico arriverà con l’introduzione dei cosiddetti “open diamond frame”, che arriveranno a delineare una soluzione di continuità molto resistente ma leggera che lega tutti i punti nevralgici della bici: parte superiore del cannotto di sterzo, nodo sella, mozzo posteriore, movimento centrale, per ritornare infine alla parte inferiore del tubo di sterzo. Un diamante aperto, senza tubo sella obliquo a congiungere il movimento centrale.
È importante ricordare che alcuni esempi di telai, sia di tipo open diamond frame sia X frame, iniziarono a essere progettati cercando di tenere in considerazione un aspetto che fino a quel momento non era stato particolarmente curato: il comfort. Tra le soluzioni sperimentate, circa cento anni prima delle moderne Mountain Bike, che inizieranno ad adottarle verso la fine degli Anni ’90, erano previste l’inserimento di un sistema di molleggio sia per la ruota posteriore sia per quella anteriore.
SOLUZIONE DEFINITIVA
L’ultimo step nella fase evolutiva del telaio dalla prospettiva del design venne definito, ancora una volta dal mitico James Starley, con un modello più unico che raro: la “Giraffe”, costruita dalla J. K. Starley & Co. Ltd nel 1894. Questo bicicletta è riconosciuta come primo esempio di telaio moderno, in quanto nella parte anteriore disegna un quadrilatero irregolare mentre in quella posteriore il “carro” presenta un triangolo che funge da supporto per la ruota. In seguito all’introduzione del telaio Giraffe, la quasi totalità delle case costruttrici ne seguì lo stile progettuale, arrivando così a definire la forma canonica del telaio.
Nonostante nell’ultima decade del XIX secolo numerose furono le invenzioni e i brevetti, solo un numero limitato di essi influenzò la forma delle biciclette: uno fra tutti fu il cardano che, con lo scopo di ovviare al problema delle rotture delle catene, prevedeva l’inserimento della trasmissione rigida attraverso un braccio di raccordo tra due ingranaggi.
Un’altra soluzione ampiamente diffusa in questo breve ma intenso periodo evolutivo nella storia della bicicletta è senza dubbio l’ammortizzazione anteriore, utilizzato in maniera consistente dalla casa di produzione americana Overman Wheel Company. L’ultimo aspetto nella fase evolutiva del telaio su cui vogliamo soffermarci – e da un certo punto di vista anche un po’ fine a sé stesso, data l’epoca di cui stiamo parlando – è l’impiego di materiale ligneo nelle componenti.
Numerosi sono gli esempi come quello nella foto numero 17: una Grunder & Lemisch del 1898 realizzata in bambù ma con congiunzioni perfettamente conservate in acciaio nichelato. Il modello in questione è molto curioso e anticipa di circa 35 anni il periodo autarchico della limitazione delle risorse cui era sottoposto il Regno d’Italia nel periodo antecedente il Secondo Conflitto Mondiale, ben rappresentato dalla Littorina costruita dalle Officine Vianzone nel 1939 (qui non trattata).
ARRIVA L’ALLUMINIO
C’è ancora un ultima soluzione tecnica utilizzata nell’ultima decade del XIX secolo che merita di essere doverosamente ricordata in questo capitolo: l’utilizzo di duralluminio nella costruzione del telaio, tra le soluzioni tecnologiche più innovative e che sarebbero state tenute in considerazione molto a lungo anche nel futuro.
Per essere precisi, fu nel 1891 che la ditta P. Fageot di Lione sviluppò un telaio ultra leggero di cui purtroppo non abbiamo più esemplari conservati, oggigiorno, ma che nonostante questo è senza alcun dubbio un esempio importante da menzionare. In conclusione, desidero ringraziare per il supporto alla stesura di questo testo il sito oldbike.eu, gestito da Colin Kirsch, che rappresenta per tutti gli appassionati di biciclette vintage una risorsa inesauribile di informazioni e cataloghi d’epoca originali. A lui si aggiunge anche Robert Sterba, per l’alta qualità e integrità delle biciclette sul sito sterba-bike.cz.