Ci è capitato spesso di parlare delle biciclette Frejus, descrivendone la mirabile qualità costruttiva, ma raramente abbiamo avuto occasione di illustrare su queste pagine le biciclette Rola, che erano il marchio “a buon mercato” della ditta di Emmo Ghelfi.
Come spesso iniziava ad accadere – siamo infatti agli albori del marketing commerciale – le aziende affermate decidevano di vendere le biciclette meno lussuose di propria fabbricazione con un segno distintivo diverso da quello già affermato sul mercato.
Il motivo di queste scelte risiede principalmente nell’evitare di “annacquare” il marchio principale, ovvero evitare di vendere un prodotto secondario e più economico sotto quello stesso marchio, conservando così il prestigio acquisito dal marchio principale nel tempo. Sorge spontanea una domanda: perché le grandi case ciclistiche cominciarono ad aver bisogno di ricorrere a marchi secondari? Dal punto di vista economico, la risposta va ricercata nei cambiamenti demografici e industriali del secolo scorso. Dal lato della domanda, l’esplosione demografica creava una miriade di nuovi consumatori. Dal lato dell’offerta, la nuova industrializzazione imponeva l’adozione di economie di scala ai fabbricanti. I marchi di seconda fascia aiutavano a raggiungere i nuovi consumatori e contribuivano a raggiungere le economie di scala necessarie a ripagare i nuovi impianti produttivi.
In questo scenario erano nati ad esempio i marchi Touring e Tebro quali seconde marche della Bianchi, Wolsit e Perla quali seconde marche della Legnano, Airolg quale seconda marca della Gloria, ecc. Allo stesso modo il marchio Rola venne registrato presso la Camera di Commercio di Torino il 23 dicembre 1931, e sin da subito andò a contraddistinguere la produzione più economica della casa torinese. È bene sottolineare che sullo sfondo veniva sempre evidenziato che la produzione era riconducibile al marchio principale, al fine di garantirne la buona qualità costruttiva e probabilmente elevare il marchio secondario rispetto alla miriade di concorrenti presenti su tutto il territorio nazionale.
La bicicletta che presentiamo in queste pagine, appartenente alla collezione di Alessandro Foggetti, che le ha restituito la dignità che meritava con un attento restauro, è una Rola modello D4 Mezza Corsa, che a differenza del modello da Corsa D5 è equipaggiata di ruote per copertoni in luogo dei tubolari. Il telaio ha congiunzioni frastagliate, con forme più simili ai modelli Frejus da corsa di inizio Anni ’30 che di quelle coeve. Se non ci si ferma al primo sguardo, la forcella con foderi meno inclinati, l’assenza di oliatori o ingrassatori al movimento centrale, il forcellino giroruota con cava lunga e le tubazioni più sottili rimandano chiaramente alla produzione ciclistica della fine di quel decennio. La forcella ha una testa tipicamente usata dalla ditta torinese sulle Rola, e spesso incontrata su tante produzioni piemontesi tanto che ogni volta lascia il dubbio che le bici che la adottano provengano sempre dallo stabilimento di piazza Statuto per poi essere rimarchiate.
RANGHI DIVERSI
Circa il telaio, la differenza principale che si nota rispetto alle biciclette coeve a marchio Frejus è la qualità delle tubazioni utilizzate: il meglio per leggerezza e qualità sulle Frejus (Reynolds e tubazioni conificate al manganese), tubazioni di rango inferiore sulla Rola. Sull’allestimento se possibile la differenza di rango si nota ancora di più: sulla Rola non sono infatti presenti componenti in duralluminio, mentre sulla più nobile produzione a marchio Frejus gli stessi abbondavano. Tuttavia, la componentistica rimane di ottimo livello.
Il manubrio è costituito da una pipa Ambrosio in ferro a cui è fissata una piega anch’essa in ferro. L’impianto frenante è composto da una coppia di pinze marcate Rola, già di tipo non a mensola, azionate da due leve freno in ferro fascettate al manubrio. Il movimento centrale non presenta particolari alleggerimenti, che in quel periodo erano piuttosto diffusi sulle bici dei grandi marchi, e anche la serie sterzo è piuttosto comune. La guarnitura, probabilmente di produzione Magistroni, presenta però alleggerimenti sulle pedivelle ed è accoppiata a pedali a sega in ferro, di tipo piuttosto economico all’epoca, senza centro intero. Le ruote sono costruite assemblando una coppia di mozzi giroruota in acciaio cromato a un coppia di cerchi tipo R in ferro, tramite raggi in acciaio verniciato in nero.
Alle estremità del mozzo posteriore sono presenti una ruota libera e un pignone fisso di dimensioni più contenute, mentre una candida coppia di coperture Olmo fabbricate in Italia contrasta piacevolmente la vernice rossa della bicicletta. Dello stesso colore i parafanghi in acciaio di larga misura, il posteriore adeguato alla legge in vigore in quegli anni grazie alla vernice bianca e alla gemma in vetro pallinato. Splendidamente conservata la sella da corsa in lamina di cuoio marchiata Rola, saldamente ancorata al tubo orizzontale tramite un accessorio molto in voga all’epoca. Meritevoli di particolare menzione anche tutte le decalcomanie presenti, in particolare quella presente in rosso contornato oro in un carattere tipicamente in stile futurista. Il portaborracce Reg con borraccia in alluminio, il cinghietto porta camera d’aria e un gonfiatore con attacchi in ottone ci riportano con la mente alle strade polverose che la Rola immaginiamo abbia affrontato, pronta ad accompagnare le fatiche del nuovo ciclista italiano della classe operaia, probabilmente ancora poco danaroso ma già voglioso di realizzare il sogno bicicletta!
A cura di: Luca Pit Web: registrostoricocicli.com Collezione e foto: Alessandro Foggetti
Scheda tecnica
Marca: Rola
Modello: D4 Mezza Corsa
Anno: 1938
Telaio: in acciaio
Cambio: giroruota
Guarnitura: Magistroni
Freni: marchiati Rola
Pipa: Ambrosio in ferro
Portaborracce: Reg
Pneumatici: Olmo
Sella: Rola in cuoio