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Bianchi Bovet 1935

La bici italiana che prese il nome di uno svizzero

RedazionediRedazione
in Le Biciclette
Tempo di lettura: 4 minuti
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Tra i grandi campioni del ciclismo che si distinsero tra le due guerre raramente spunta il nome di Alfredo Bovet, nato svizzero ma partecipante alle gare con licenza italiana.

È quindi abbastanza curioso avere a che fare con una Bianchi che porta il suo nome ma – come ampiamente spiegato nell’articolo sulla Bianchi Sublime del ’33 in questo stesso numero – fu proprio in quegli anni che la casa milanese decise di cambiare la denominazione dei propri modelli, scegliendo, per quelli da corsa, i nomi di due corridori che si distinsero all’inizio degli Anni ’30, ovvero “Gepin” Olmo e per l’appunto Bovet, che in quel periodo era sugli scudi essendosi aggiudicato la Coppa Bernocchi del ’31, la Sanremo del ’32 e la Tre Valli del ’33.

Le fortune del corridore italo/svizzero, però, si fermarono lì, e fu anche per questo che probabilmente Bianchi decise dal ’36 di non proseguire più con tale denominazione associata ai campioni. Nonostante il nome, comunque, questa Bovet del ’35 appartenente alla collezione di Renato Bulfon è sostanzialmente una Saetta, e s’inquadra dal punto di vista temporale come modello successivo alla Bianchi M (fino al ’32) e precedente alla Folgore (dal ’39) per quanto riguarda il top di gamma Bianchi nelle biciclette da corsa.

TENSIONE EVOLUTIVA

Dal punto di vista tecnico, le differenze rispetto alla Bianchi M non sono particolarmente significative e arrivano mano a mano già dagli anni precedenti. Si può notare il processo evolutivo delle congiunzioni sulle M, che passano da “piene”, a quelle “con occhi”, a quelle “a papera” fino ad arrivare a queste della Bovet, frastagliate. La testa della forcella, invece, viene lavorata meglio rispetto alle M, con alleggerimenti differenti e una prima, parziale riduzione dell’inclinazione del tubo sterzo, che si avvicina di più alla bici moderne. Vengono mantenuti fino al ’34 circa i freni Bowden Asso (come su questo modello), per poi passare al mod. 35 di Universal la cui differenza è la molla di richiamo sul perno, che consente di abbandonare il fissaggio a fascetta. Cambiano forma i parafanghi e il manubrio.

A proposito di quest’ultimo e della pipa, va detto che quelli che vedete in foto non sono gli in acciaio, ma una soluzione che Bianchi iniziò a montare successivamente. La ragione è presto spiegata dallo stesso Renato Bulfon, che ci ha raccontato come è entrato in possesso della bici: «Nel 2010 feci una mostra di memorabilia a Grado, in occasione della partenza del Giro d’Italia. Lì mi proposero questa bici, che si trovava a Trieste, e che era stata montata addirittura con un fanale per l’uso quotidiano. Le condizioni erano buone, cosa che mi ha fatto optare per un restauro conservativo, ma la pipa pipa era irrecuperabile, così ho dovuto montare una soluzione leggermente successiva, data la difficoltà nel trovare il pezzo originale. Il manubrio Ambrosio, invece, era già presente». Una scelta obbligata che comune non pregiudica il valore di questo raro esemplare.

I PRIMI CAMBI IN GARA

Molto interessante è il cambio, un Vittoria prima serie, che in sostanza era solo un tendicatena in quanto si doveva spostare manualmente la catena con i piedi (o con la mano), a cui è stato aggiunto un particolare deragliatore Roma di Brianzoli. Si tratta di una soluzione aftermarket perché la Bovet veniva venduta con un semplice giro-ruota. Questo perché quelli furono anni di transizione dal punto di vista regolamentare, dato che in corsa i cambi poterono essere utilizzati al Giro dal ’32 e al Tour solo dal ’37.

Le Bovet, quindi, furono tra le prime biciclette a poter gareggiare con il cambio e questa nuova opzione scatenò una florida offerta di soluzioni per il deragliatore soprattutto a partire dal ’34/’35, quando uscì il Vittoria Margherita. Ricordiamo per esempio il Bestetti, il Dux o l’Osgear inventato dal corridore svizzero Oscar Egg. Completano il quadro di questo ottimo conservato cerchi in legno Baruzzo, tubolari Pirelli, manopole, guarnitura, pedali e sella marcate Bianchi.


Collezione: Renato Bulfon FB: CiclismuseoMortegliano Si ringraziano: Michele Asciutti e Luca Pit


Scheda tecnica

Marca: Bianchi

Modello: Bovet (Saetta)

Anno: 1935

Telaio: in acciaio

Cambio: F.lli Nieddu Vittoria primo tipo a tre rapporti

Deragliatore: Brianzoli Roma

Mozzi: marchiati Bianchi

Freni: Bowden Asso

Sella: in cuoio marchiata Bianchi

Pedali: a sega marchiati Bianchi

Cerchi: Baruzzo in legno

Manubrio: Ambrosio in alluminio


 

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Ciclismuseo a Mortegliano

Se passate da Mortegliano (UD) per vedere il campanile più alto d’Italia, con i suoi 113,20 metri, potete fermarvi anche a visitare il Ciclismuseo di Renato Bulfon, al piano superiore della sua attività Cicli Bulfon. La collezione privata vanta diverse biciclette di varie epoche, principalmente Bianchi, oltre a una vasta raccolta di memorabilia del ciclismo come cartoline, maglie, ecc. che sono stati la prima passione di Renato (in foto con Franco Pellizzotti). Per info:
renatobulfon51@gmail.com o pagina FB CiclismuseoMortegliano.

 

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Tag: anni 30BE45bianchicorsa
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