Se dovessimo individuare una corsa del passato che non c’è più in calendario, ma che più di ogni altra è rimasta nel cuore degli appassionati, quella sarebbe senza dubbio il Trofeo Baracchi.
La si correva il giorno dei Santi (1 novembre) o in occasione dell’Unità Nazionale (4 novembre) ed era l’ultima gara dell’anno. Una corsa che chiudeva la stagione del grande ciclismo in modo originale e spettacolare al tempo stesso. Il Trofeo Baracchi era una cronometro a coppie di un centinaio di chilometri, lo organizzava un bergamasco vispo e brillante, Mino Baracchi, dedicandolo a papà Angelo, grande appassionato di ciclismo e al tempo pure presidente dell’Atalanta Calcio. Le coppie venivano ingaggiate e messe insieme da Mino stesso in base ai verdetti della stagione, con arguzia e intelligenza, fra rivalità sempre molto intense e appassionanti.
L’approdo del Trofeo Baracchi, nell’epoca d’oro, era il Vigorelli di Milano, ricco di ricordi e di fascino. Fausto Coppi lo vinse quattro volte, le prime tre in coppia con Riccardo Filippi – il suo scudiero – e la quarta con l’astro nascente del nostro ciclismo, Ercole Baldini. Eravamo ai primi di novembre del ’57. Quella fu l’ultima vittoria importante nella carriera del campionissimo, a 38 anni. Per quattro volte si impose anche lo stesso Baldini. Una sfida a tratti stregata, invece, per due dei più grandi fuoriclasse delle crono, Jacques Anquetil ed Eddy Merckx, che vantano “solo” tre vittorie a testa. Meglio di tutti fece Francesco Moser, cinque volte vittorioso, che a una di queste sfide partecipò con il rivale di sempre, Beppe Saronni. Loro due contro il resto del mondo – più che mai una strana coppia – vinsero di forza, ma anche in quell’occasione trovarono il modo di litigare. Correva l’anno 1979.
Dal 1991 il Baracchi non si corre più. All’inizio del 2012 Mino Baracchi a quasi novant’anni ci ha lasciato, ma ai primi di novembre è sempre piacevole e struggente ricordare quelle epiche sfide che suscitavano entusiasmo e attenzione fra la gente, perché il Baracchi rappresentava una specie di Cassazione, l’ultimo grado di giudizio sulla stagione. E così a Bergamo si ritrovavano (quasi) sempre i più forti: un’ultima corsa, un’ultima bevuta e tanti saluti, ci si sarebbe rivisti alla Sanremo.
LA STORIA
Nel 1949, a stagione ciclistica già conclusa, Mino Baracchi si lancia in un’iniziativa che ai più pare assurda o quantomeno azzardata. Abbandonata la corsa in linea (della quale si svolsero 7 edizioni riservate per lo più ai dilettanti), viene organizzata una “cronometro a coppie” riprendendo la via tracciata con successo per oltre un ventennio dal Giro della provincia di Milano. Non è facile convincere i corridori a tornare in sella per un’ultima fatica, ma la passione e la grinta di tutta la Ciclistica Baracchi riescono ad avere ragione nonostante l’assenza dei fenomenali Coppi, che ha appena conquistato la sua prima accoppiata Giro-Tour, e Gino Bartali. In quella prima edizione si schierano alla partenza ben 11 coppie, tre delle quali straniere, e in una giornata tipicamente autunnale, sotto acqua e vento, risultano vincitori proprio i primi a partire: Fiorenzo Magni e Adolfo Grosso. Tutti e due vestono la maglia della Wilier Triestina. Fiorenzo, campione esperto, e Grosso, trevisano neoprofessionista forse un po’ in soggezione, al primo rilevamento nei pressi di Dalmine si trovano addirittura in quarta posizione, con 1’06” di ritardo da Bevilacqua e De Santi. Leggenda vuole che Grosso in quell’occasione, dopo i primi chilometri, non riuscisse a tenere il passo del compagno, forse intimorito per il fatto di avere a fianco un mostro sacro di così elevata caratura. Allora Magni gli allungò una pastiglia di bicarbonato di sodio e dopo 56 chilometri si ritrovano al comando con 1’ sugli stessi Toni Bevilacqua e Guido De Santi. La coppia vincitrice giungerà all’arrivo nello stadio comunale di Bergamo alla ragguardevole media di 42,622 Km/h, disimpegnandosi poi con onore anche nelle prove su pista disputate nello stesso stadio poco prima dell’incontro calcistico tra Atalanta e Genoa.
L’edizione del 1950 vede ai nastri di partenza nomi eccellenti, una coppia su tutte i fratelli Fausto e Serse Coppi, tenendo in considerazione che proprio Fausto in quell’anno si impose, tra le altre cose, alla Parigi-Roubaix e alla Freccia Vallone, e rimase poi fermo nella seconda parte della stagione a causa della caduta al Giro in quel di Primolano. Alla fine di una gara combattuta, arriva il bis di Fiorenzo Magni che corre in coppia con Toni Bevilacqua, fresco campione italiano su strada e in pista, ma soprattutto iridato nell’inseguimento individuale. Magni e Bevilacqua sono compagni di squadra alla Wilier e in quel Baracchi trionfano unendo le loro forze senza tanti tatticismi e invidie di ruolo, relegando i fratelli di Castellania al secondo posto.
Nella terza edizione, quella del 1951, Magni firma il tris consecutivo in coppia con Giuseppe Minardi, al termine di una stagione esaltante dove aveva trionfato per la terza volta consecutiva al Fiandre, imponendosi pure al Giro e nel campionato italiano. Sotto una pioggia battente mista a grandine, Magni e Minardi vincono su Gino Bartali e Ferdi Kübler – entrambi in maglia iridata – e su Loretto Petrucci e Alfredo Martini. Minardi fece molta fatica quel giorno e saltò parecchi cambi, ma il compagno toscano era troppo forte, tanto che riuscirono comunque a vincere. A distanza di qualche anno, in un’intervista, “Pipaza” Minardi raccontò al cronista: «Il Giro di Lombardia era l’ultima corsa della stagione, perché poi c’era solo il Baracchi, ma a invito. A quel punto non si vedeva l’ora di andare a briglie sciolte, passare qualche ora con delle ragazze e fare l’amore. Dopo cinque o sei mesi di astinenza, le prime due o tre volte neanche le sentivo, poi si cominciava finalmente a ragionare. Andò così. Fatta la frittata, arriva una telefonata al centralino di Solarolo, viene da Milano, è Magni: “Fai il Baracchi con me”, mi annuncia. Io so della frittata, lui no. “Non sono preparato bene” provo a dirgli. “Ma va là, domenica volavi”, mi risponde, e io non trovo più il coraggio di spiegargli…». Il primo novembre 1952 a Bergamo si impone la coppia Giancarlo Astrua e Nino Defilippis, mentre Coppi con l’allievo Gismondi si classificano soltanto terzi e la coppia Bartali-Corrieri non riesce ad andare più in là di un misero settimo posto.
Come già anticipato, Fausto Coppi riesce a centrare la sua prima vittoria al Baracchi solo nel 1953 con il giovane campione dei dilettanti, Riccardo Filippi, che riceve una speciale deroga dall’UVI per gareggiare tra i professionisti. I due riescono a infliggere 5’44” a un certo Anquetil in coppia con Rolland, e per la prima volta l’arrivo è posto lontano da Bergamo, nel prestigioso teatro del Vigorelli. La coppia Coppi-Filippi vincerà il trofeo Baracchi anche i successivi due anni, ’54 e ’55, ma nel ’56, in una giornata ventosa, nei pressi di Seregno il buon Filippi cede di schianto e Coppi deve accontentarsi del secondo posto alle spalle dei più freschi e regolari Rolf Graf e André Darrigade.
Nella già citata edizione del 1957, il trentottenne Coppi è alla fine della carriera, ha vissuto una stagione senza vittorie e cerca il prestigioso riscatto a fianco del nostro astro nascente Ercole Baldini, campione italiano alla sua prima stagione da professionista. I due, che gareggiano insieme come in un ideale passaggio di consegne, dovranno comunque fronteggiare una terribile concorrenza, capitanata insidiosamente dalla coppia Anquetil-Darrigade. Nei pressi di Arcore il vantaggio della coppia francese è di un minuto circa sugli italiani e a 30 chilometri dall’arrivo il distacco rimane immutato, con Baldini spazientito dalla tattica fin troppo prudente del campionissimo. A Desio, Baldini rimane vittima di una foratura e Coppi ne approfitta per procedere piano da solo e rifiatare. Graf-Vaucher, fortissimi negli ultimi chilometri, sono i primi ad arrivare al traguardo facendo segnare un tempo fenomenale e la media record, ma il numerosissimo pubblico sta aspettando l’arrivo di Coppi e Baldini, che al termine di un fenomenale recupero – dove hanno potuto esprimersi al meglio senza tatticismi – riescono a infliggere cinque secondi alla coppia elvetica. Al Vigorelli si verificano scene memorabili di follia collettiva. I tifosi sono letteralmente impazziti di gioia, baci, abbracci e lacrime per questo importante momento storico.
Ercole Baldini vincerà anche nel ’58 e nel ’59, in coppia con il coriaceo Aldo Moser. Quella del 1960, invece, è un’edizione ricca di polemiche. A dare fuoco alle polveri è proprio lo stesso Ercole Baldini, vincitore appunto delle ultime tre edizioni, che critica gli organizzatori per aver favorito Anquetil accoppiandolo a Rolf Graf, un ottimo passista. Inoltre, il forlivese avrebbe preferito essere abbinato all’arrembante Romeo Venturelli anziché ad Aldo Moser, a corto di preparazione.
La prima parte della gara vede nettamente al comando la coppia franco-elvetica Anquetil-Graf, mentre Baldini e Moser perdono terreno. Ma all’improvviso il colpo di scena: nei pressi di Chiari, un gruppo di tifosi romagnoli (tra i quali anche la moglie di Baldini) invade la strada per protesta contro Mino Baracchi, che a loro dire avrebbe danneggiato l’Elettrotreno di Forlì (così veniva chiamato Ercole). Nel frattempo Anquetil e Graf danno segni di cedimento. A 13 chilometri dall’arrivo, lo svizzero, con i riflessi appannati dalla fatica, nel momento in cui deve dare il cambio ad Anquetil ha uno sbandamento, urta il francese e cade rovinosamente a terra! Graf si rialza a stento, dolorante, e nonostante gli accorati incitamenti di Fiorenzo Magni in veste di direttore sportivo, è malauguratamente costretto al ritiro. Il Baracchi sembra incredibilmente stregato per Anquetil. La lotta finale si scatena allora tra le due coppie italiane, con Baldini e Moser che alla fine devono arrendersi allo strapotere di Ronchini e Venturelli, tra lo sconforto dei tifosi per via di un’edizione caratterizzata da troppe polemiche e pure un po’ di delusione, dato che si accorgono che i vincitori del GP Argo (il cosiddetto Baracchi dei dilettanti), svoltosi poco prima sullo stesso tracciato, hanno impiegato 14 secondi in meno dei professionisti Venturelli-Ronchini: si tratta dei bravissimi Marino Vigna e Giuseppe Fezzardi.
FINALMENTE ANQUETIL
Il 1961 vede vincitrice la coppia formata da Ercole Baldini, alla sua quarta affermazione, e dal francese Joseph Velly, mentre nel 1962 arriva il sospirato trionfo per Jacques Anquetil che corre in coppia con Rudi Altig. Il duo franco-tedesco della St. Raphael sembra avere la vittoria a portata di mano ma improvvisamente, lungo il tratto che porta a Trezzo, Anquetil entra in crisi e accusa nettamente la fatica, scuote la testa, ha gli occhi infossati e vitrei, non riesce più a spingere sui pedali. Altig cerca di scuoterlo e arriva perfino a minacciarlo mostrandogli i pugni, ma il normanno è sfinito e a 10 km dalla fine i due iniziano a sentire il fiato sul collo della coppia Baldini-Pambianco. Anquetil è in crisi profonda, tanto che Altig deve addirittura spingerlo per alleviargli la fatica. La vittoria è in bilico sul filo dei secondi perché anche Pambianco è in crisi e il risultato è incertissimo. Allo stadio comunale di Bergamo la coppia Altig-Anquetil riesce miracolosamente a imporsi mantenendo nove miseri secondi di vantaggio su Baldini-Pambianco. Il francese comunque arriva trasfigurato dalla fatica e, nella curva che immette sulla pista dello stadio dove sono previste le premiazioni, si verifica un altro colpo di scena: Anquetil, sfinito e distrutto per lo sforzo (si sussurra che fosse saturo di anfetamine), non riesce nemmeno a girare il manubrio per assecondare la curva e tira dritto contro le transenne, procurandosi una vistosa ferita alla testa. Subito soccorso dal suo massaggiatore, viene sorretto a fatica e riesce a malapena a salutare la folla prima di venire portato d’urgenza in ospedale.
L’edizione del 1963 vede ai nastri di partenza la coppia Anquetil-Poulidor, i due fierissimi e storici rivali, nonché favoriti d’obbligo, ma arrivano secondi alle spalle dei francesi Velly e Novales. Il 1964 è l’anno di Gianni Motta e Giacomo Fornoni in maglia Molteni, che vincono su Baldini-Adorni grazie a un finale davvero entusiasmante. Nel 1965 si corre il 4 novembre in una giornata fredda e piovigginosa. I favori del pronostico vanno sempre a Motta e Fornoni in prima battuta, seguiti da Anquetil-Stablinski e da Poulidor-Chappe in terza battuta. Sono proprio queste tre coppie che danno l’impressione di giocarsi la vittoria, racchiuse sin dall’inizio in pochi secondi. A sorpresa, si inseriscono nella lotta per la vittoria anche gli olandesi Karstens e Nijdam che, alle porte di Milano, balzano in testa con venti secondi di vantaggio su Anquetil-Stablinski. Nel frattempo vanno in crisi Chappe e Fornoni. Gli olandesi sembrano avere partita vinta ma, poco dopo l’ingresso in Milano, Nijdam cade sull’asfalto reso viscido dalla pioggia. L’olandese, in stato confusionale, risale in bici e segue Karstens come un automa. Negli ultimi chilometri i due orange perdono circa sei minuti ed entrano al Vigorelli per il giro finale. Superato il traguardo, mentre Karstens si ferma, Nijdam continua a girare sulla pista, dopo un altro giro gli fanno cenno di fermarsi ma lui continua sollevando l’ilarità del pubblico che non conosce il suo dramma. Lo speaker Proserpio, con voce stentorea, gli intima: «Nijdam, fermarsi!». Niente, Nijdam continua. Nessuno ride più. Sul Vigorelli cala un silenzio terrificante. Nijdam continua a girare. A ogni giro qualcuno cerca di afferrarlo ma lui, con insospettati riflessi, scarta tutti e continua. Il pubblico trattiene il fiato. Nijdam continua a girare. Finalmente riescono ad afferrarlo e lo fanno cadere. Il pubblico tira il fiato. L’olandese viene caricato su una barella e portato via. Mentre la barella si allontana, si nota chiaramente che la mano destra di Nijdam gira in tondo come a simulare una pedalata. Raccapricciante. L’indomani i giornali parlarono di shock dovuto alla caduta anche se qualcuno fece apertamente cenno a un cocktail sbagliato di stimolanti.
Nel ’66 e nel ’67 a imporsi è l’astro nascente Eddy Merckx in coppia con Ferdinand Bracke. Due annate decisamente ostili ad Anquetil, che perde da netto favorito entrambe le edizioni, nel ’66 con Stablinski e la seconda con il connazionale Bernard Guyot. L’edizione del 1968 vede vincitore per la terza volta Jacques Anquetil, questa volta in coppia con uno strepitoso Felice Gimondi. I due lasciano il duo Ritter-Van Springel a 3’15”, ma è proprio il campione francese a essere al centro di un caso che avrebbe potuto clamorosamente privare i due vincitori del meritatissimo successo per un disguido sull’orario stabilito, tanto che Anquetil, non riuscendo a sottoporsi al controllo antidoping, dà adito a mille polemiche. Ma alla fine la vittoria viene regolarmente omologata. Anquetil detiene il record di partecipazioni, ben 10, e tutte sempre molto sentite e combattute dal campione transalpino che era particolarmente legato a questa bellissima manifestazione.
La ventunesima edizione, quella del 1969, vede favorita la fortissima coppia formata da Eddy Merckx e dal neo professionista Davide Boifava. Infatti i due transitano al controllo di Robbiate con mezzo minuto di vantaggio sul duo Van Springel-Agostinho e con 1’03” su Motta-Ritter. Nei pressi di Monza i distacchi aumentano ulteriormente e i giochi sembrano ormai fatti, ma dopo il giro di boa, ritornando verso Bergamo, Merckx entra in crisi. Boifava è costretto a rallentare mentre anche Motta accusa la fatica e costringe Ritter diminuire il passo. Alla fine la vittoria va proprio alla coppia di regolaristi Herman Van Springel e Joaquim Agostinho. Eddy Merckx, alla fine solo terzo, è talmente deluso della sua pessima prestazione e della brutta figura rimediata che scoppia in un inconsolabile pianto.
GLI ANNI ’70
Quello del 1970 è un autentico scontro tra cronoman di razza: gli svedesi Gösta e Thomas Petterson (fratelli, numerose volte campioni del mondo cronosquadre e su pista) contro i danesi Ole Ritter e Leif Mortensen (recordman dell’ora il primo e campione del mondo su strada il secondo). I fratelli terribili vincono con quasi due minuti di vantaggio sui portacolori di Danimarca. Nel 1971 vince un’altra strana coppia composta da Leif Mortensen (secondo l’anno prima) e dallo spagnolo Luis Ocaña, il famoso scalatore, quell’anno compagni di squadra alla Bic. L’edizione del 1972, che si disputa per la prima volta in ottobre, si presenta come un duello tra belgi e italiani, con gli svedesi a fare da terzi incomodi. Per quel che riguarda la gara, non c’è storia: vince sotto una pioggia fittissima la coppia belga Eddy Merckx e Roger Swerts, che rifila 2’33” alla coppia Gimondi-Boifava, giunta seconda con pochi decimi di vantaggio sulla coppia svedese dei fratelli Petterson. Gimondi però subisce l’ennesima sconfitta da parte di un Merckx scatenato, che ha trovato in questa corsa il miglior viatico per quel Record dell’Ora da lui stabilito in Messico quindici giorni dopo questa bella vittoria. Per la cronaca, quella del 1972 fu l’edizione in cui per la prima volta si superarono i 50 Km/h di media e il record rimarrà imbattuto per ben 17 anni.
Nel 1973 a imporsi è uno sfavillante Felice Gimondi in maglia iridata, accoppiato a Martín Emilio Rodríguez, suo compagno alla Bianchi, in una gara con un campo di partenti piuttosto limitato e non di primissimo ordine. Assenti i migliori stranieri e nessun francese ai nastri di partenza. Con il 1974 inizia il dominio di Francesco Moser, che con 5 trionfi rimane il recordman di vittorie al Baracchi: in coppia con Roy Schulten nel ’74, Gianbattista Baronchelli nel ’75, Giuseppe Saronni nel ’79, Bernard Hinault nell’84 e Hans Herik Oersted nell’ 85. Nel 1976 si impone all’arrivo di Brescia la coppia Freddy Maertens, in maglia di campione del mondo, e Michel Pollentier, che si prendono la rivincita dall’anno precedente nel quale, a causa della sua andatura sgraziata, Pollentier aveva approcciato malamente una curva ed era caduto fratturandosi una clavicola. Nel 1977 a imporsi su tutti sono i giovanissimi neoprofessionisti Bernt Johansson e Carmelo Barone, a dimostrazione che non sempre bastava essere campioni affermati per vincere il Baracchi. Oltre alla classe, infatti, erano necessari anche generosità, sacrificio, intelligenza e soprattutto coesione e omogeneità.
Nel ’78 a primeggiare è la fortissima compagine composta da Roy Schuiten e Knut Knudsen, indiscutibilmente in testa dall’inizio alla fine. Come già detto, l’edizione del 1979 è decisamente piccante, dato che al culmine della loro rivalità storica si ritroveranno a gareggiare insieme Francesco Moser e Beppe Saronni. Il trentino è campione italiano e ha stravinto la Roubaix, il novarese, invece, ha dominato il Giro, così i due si ritrovano a essere i favoriti assoluti. Pronostico rispettato: la strana coppia s’impone nettamente sui secondi classificati Alfons De Wolf e Jan Van Houwelinge, dimostrando la loro serietà di uomini prima che campioni, anche se qualche maligno aveva ipotizzato che i due in corsa non potessero andare d’accordo e fossero pronti a giocarsi qualche brutto scherzo. Per un giorno, invece, dimenticano la loro rivalità che tanto farà discutere negli anni a seguire.
L’ULTIMO DECENNIO
Nel 1980, in un’edizione dal tono dimesso con una sola coppia italiana al via (Chinetti-Leali), vincono i belgi Fons De Wolf e Jean-Luc Vandenbroucke. Il trofeo Baracchi, in questo periodo, vive un periodo di crisi: l’organizzazione si sente trascurata dagli enti della città e diminuisce l’entusiasmo del pubblico per la manifestazione. Così, nel 1981 gli organizzatori cercano coraggiosamente un’alternativa e la trovano in Toscana, regione che da sempre ama il ciclismo, proponendo un percorso completamente nuovo da Pontedera a Pisa. Molti assi disertano la gara, in quanto stanchi a fine stagione e impauriti per la durezza del percorso. La coppia favorita è quella composta da Moser e Knudsen ma a vincere è la squadra svizzera fatta da Daniel Gisiger e Serge Demierre. Gisiger è uno dei più forti passisti dell’epoca e vincerà consecutivamente anche le edizioni successive, nel 1982 con Roberto Visentini e nel 1983 con Silvano Contini.
Grandissime novità nel 1984: per festeggiare l’annata strepitosa di Francesco Moser (dopo il Record dell’Ora ha vinto la Sanremo e il Giro d’Italia) il Baracchi si sposta in Trentino, e al fianco di Moser schiera un altro fuoriclasse assoluto che risponde al nome di Bernard Hinault. Una coppia perfetta, insomma, capace di uno strapotere assoluto, tanto che all’arrivo di Trento i due infliggono quasi due minuti alla coppia svedese composta da Tommy Prim e Alf Segersäll. Nell’85, in una domenica di fine settembre quindici giorni prima del Lombardia, sempre in quel di Trento arriva il quinto successo di Moser insieme allo svizzero Hans-Henrik Orsted, che per gran parte del percorso non dà cambi al trentino in quanto terribilmente affaticato, così lo Sceriffo vince praticamente da solo il suo quinto trofeo Baracchi.
Nel 1986 il campo dei partenti è piuttosto affollato e di prim’ordine, e così il Baracchi torna ai fasti di un tempo. La coppia favorita è senza dubbio quella composta da Francesco Moser e Didi Thurau che vanno in testa da subito ma, quando tutto sembra ormai delineato, il tedesco inizia ad accusare la fatica e le sue gambe diventano legnose. I tifosi di Moser sperano in una crisi passeggera e a 30 km dalla conclusione i due mantengono ancora il comando. Il finale però rappresenta un vero calvario per Thurau, tanto che Moser è costretto a spingerlo ripetutamente, con il tedesco che oltretutto si aggrappa troppo spesso all’ammiraglia fingendo inesistenti noie meccaniche. Il trentino avrebbe avuto ancora molto da dare ma è costretto ad aspettare il compagno in quella che diventa una tristissima e tragicomica processione verso Trento. Moser è furibondo perché è costretto a rinunciare senza colpe al sesto Baracchi, e per di più nella sua Trento. Per la cronaca, vinceranno Giuseppe Saronni e Lech Piasecki, che distribuiscono le energie con più saggezza e lungimiranza. Thurau dopo l’arrivo viene portato in ospedale, esausto, al limite della semi-incoscienza. Nel 1987, Moser vuole rifarsi e corre in coppia con Jesper Worre, un pistard di tutto rispetto, che però dopo una prima parte condotta al comando non riesce più a collaborare positivamente, e così il campione trentino viene nuovamente sconfitto per colpe non sue. Non va meglio alla coppia Saronni-Piasecki, pure loro vittima di una crisi nel finale di gara. Spuntano allora i due compagni di squadra alla Carrera, Bruno Leali e Massimo Ghirotto, che vincono sulle loro bici “spaziali” dotate di manubrio a corna di bue e ruote lenticolari. Leali in quell’occasione indossa la maglia Tricolore conquistata alla Coppa Agostoni qualche mese prima.
L’anno successivo tutti aspettano Maurizio Fondriest in maglia iridata, proprio nelle sue strade, e il compagno designato è l’australiano Allan Peiper. Fondriest, però, non è mai stato un grande cronometrista e può solo limitare i danni, al pari di Leali e Ghirotto, i quali non riescono a ripetere la prestazione dell’anno precedente. A imporsi con merito nell’edizione del 1988 sarà la coppia polacca formata da Czesław Lang e Lech Piasecki. Maurizio Fondriest è intenzionato a riscattarsi l’anno successivo, così nel 1989 si presenta nuovamente con Peiper. I due sono molto amici anche fuori dalle corse e a metà gara fanno segnare il miglior intertempo, con 38” su Piasecki-Lang e più di un minuto su Laurent Fignon e Tierry Marie. Ormai sembra fatta, quando invece la coppia francese, grazie a un finale straordinario, a 15 km passa in testa e ci rimane fino al traguardo. Per Fondriest è un’altra delusione in una stagione sfortunata e anonima, che rinnova la leggenda della maglia iridata stregata. La coppia francese farà segnare la media record della gara: 50,487 km/h.
Nel 1990 il campo di partenti è particolarmente ricco, ben 17 coppie, e nessuno immagina ancora che quella sarà l’ultima edizione. Mancano Bugno, Lemond e Kelly, i protagonisti della stagione. Nessuna coppia italiana tra i primi classificati di quell’edizione, che vede vincitrice la coppia Rolf Gölz-Tom Cordes. Una chiusura un po’ in sordina per un Baracchi che vive tristemente la sua ultima edizione. Troppi problemi organizzativi, l’affollamento del calendario internazionale, la poca disposizione dei grandi campioni a sopportare una prova tanto impegnativa e sempre più specialistica, sono i fattori che purtroppo non permettono più la disputa di una manifestazione che ha comunque svolto per 50 anni un ruolo di primo piano nel ciclismo internazionale.
Per tantissimi anni il Trofeo Baracchi ha rappresentato la chiusura della stagione ciclistica su strada. In un clima generale da “giorno dei morti” si attendeva sugli spalti del velodromo l’arrivo delle varie coppie. Nell’attesa veniva organizzata una riunione su pista, in cui professionisti, dilettanti e allievi si davano battaglia per l’ultima volta all’aperto, in attesa di riprendere, di lì a poco, l’attività al tepore del vecchio Palasport di piazza VI Febbraio o al maestoso Vigorelli con la voce di Carlo Proserpio che dava costantemente notizie della corsa. Poi entravano le varie coppie in un boato di applausi. Dopo i giri d’onore, i cronometristi e i giudici di gara lasciavano la torretta e venivano risucchiati dalla “zeriba” al sottopassaggio assieme a corridori, massaggiatori, biciclette da strada, biciclette da pista, ruote, asciugamani. Calavano le prime ombre della sera, una nebbiolina piovigginosa sfumava i contorni della grande tettoia e offuscava le scritte pubblicitarie sulle curve della pista. Il pubblico usciva lentamente, in silenzio, quasi a volere prolungare in un clima dolcemente melanconico la stagione ciclistica. Per quell’anno era tutto finito, arrivederci alla prossima primavera in quel di Sanremo. Ormai il Baracchi non c’è più da tempo. In molti se lo sono dimenticati, tanto era “solo” una cronometro e per di più a coppie. Un’esibizione ormai quasi blasfema, un male letale per gli scalatori in un ciclismo così tanto, troppo moderno. Però quando arriva quella nebbiolina che sale dai campi, quando arriva quella pioggia autunnale, quando arriva quella festa dell’unità nazionale – oggi delle Forze Armate – ci prende la nostalgia e ci viene in mente quando in quei giorni si mangiavano le castagne col vino novello, mentre alla radio si parlava del Baracchi.