Correva l’anno 1936 e il 18 maggio al Giro d’Italia si disputava la terza tappa che partiva da Genova per arrivare a Montecatini dopo 206 chilometri. Quello fu un giro davvero strano e particolare, decisamente insolito visti i fatti accaduti e i personaggi protagonisti. Tanto per cominciare, nessun partecipante straniero: alla «Corsa Rosa» furono invitati soltanto atleti italiani.
Altro episodio, strano e unico nella storia del Giro, fu che al termine della quinta tappa, con arrivo a Napoli, Gepin Olmo e Aldo Bini – appaiati in classifica – ricevettero una Maglia Rosa ciascuno. Ci penserà poi Bartali a metterli d’accordo entrambi, poiché al termine della nona tappa il Gino si prenderà la maglia e se la terrà fino a Milano. A quel giro partecipò pure un’icona del ciclismo mondiale, l’ormai quarantunenne Costante Girardengo, che dopo la terza frazione fu costretto al ritiro, ma anche un corridore coraggioso, irriverente, impavido, fuori dagli schemi, arrogante con gli avversari e galante con le donne: Raffaele Di Paco, un vero mattatore.
Ma torniamo a quella terza tappa. Il caldo era soffocante,e sull’ultima salita di giornata, ad aspettare il passaggio del Giro, c’erano due o trecento spettatori. Tutti tranquilli, tutti ordinati. E che motivo ci sarebbe stato, poi, per agitarsi, dato che i corridori sarebbero passati almeno quattro ore dopo? All’improvviso però, ecco arrivare dalla pianura una trentina di ragazzotti scalmanati armati di vernice bianca da muro e pennelli da imbianchino. «Ma che fanno quelli?», si chiesero stupiti gli altri spettatori, vestiti di nuovo e con le scarpe lucidate da poco. Già, perché a vedere quella tappa si poteva andare con le scarpe lucide, poiché l’ultima salita era stata asfaltata di fresco: un manto nero, liscio, una vera novità per l’epoca. Un nastro meraviglioso e cattivo. «Ma cosa stanno facendo? Stanno rovinando un capolavoro! Via! Via, di là brutti teppisti! Smettetela».
“W DI PACO”, scrissero quegli scavezzacollo sull’asfalto, quel giorno: per la prima volta nella storia del ciclismo, comparve un incitamento al proprio beniamino sul fondo della strada. Quell’episodio fece il giro del mondo e scandalizzò tutti coloro che erano predisposti a scandalizzarsi, anche perché – diciamocelo francamente – il buon Raffaele di Paco mica era uno stinco di santo, figuriamoci i suoi sostenitori…
Pisano di Fauglia, classe 1908, è stato protagonista d’infiniti aneddoti più o meno verificati. Per esempio, si dice che sia stato il primo atleta della storia a tagliare il traguardo a braccia alzate dopo una vittoria, al Tour de France del 1931, dopo 322 chilometri al termine dei quali vinse la volata di gruppo: nessuno aveva mai visto una simile esultanza. Amava la bella vita, fumava e beveva regolarmente.
Subito vincente
Da quel 18 maggio del ’36 al Giro le strade asfaltate crebbero a vista d’occhio, e quando le carrarecce bianche in salita venivano nastrate di bitume – magari proprio per vestirsi da festa per il Giro – ecco che ogni gruppo di “tifosi d’epoca” si divertiva a imbrattarle con frasi indirizzate ai propri beniamini. Frasi che fecero la storia, al punto da diventare aforismi e citazioni. Perché, diciamocelo: il tifoso d’epoca è un simpatico bugiardo, che mai ti racconterà menzogne. Anzi, ti farà salire sulla macchina del tempo e ti ci porterà a spasso, assieme ai vari Guerra, Nencini, Gaul e via via fino al ciclismo moderno, così ricco di immagini digitali e di cinici filmati condivisi che hanno portato all’estinzione dei rari esemplari sopravvissuti di tifososauro.
Era Forte Raffaele Di Paco, simpaticissimo con gli amici ma arrogante e spaccone con gli avversari. Una sua celebre frase, spesso citata da Adriano De Zan, recitava così: «Chi vuole arrivare secondo si metta alla mia ruota». Come appunto al Tour del ’31 – dove tagliò il traguardo cinque volte davanti a tutti – quando balzò al comando della generale dopo la quarta tappa, trovandosi l’indomani, al termine della Vannes-Les Sables d’Olonne di 212 chilometri, raggiunto con lo stesso tempo dal francese Charles Pelissier. Così, il giorno dopo, i due partirono entrambi con la Maglia Gialla. Bastò però quella tappa, che arrivava a Bordeaux dopo 338 chilometri, a restituire in esclusiva la casacca del primato al pisano, che poi purtroppo la mollò definitivamente al termine dell’ottava frazione.
Un ex-aequo che non si verificò mai più nella storia del Tour e che la dice lunga sull’originalità di Di Paco: forse un poco di buono, invidiato da molti e rispettato da tutti, ma di certo non uno qualunque.