Figlio di un dio – Giove – e della mortale Alcmena, regina di Tirino, Ercole era un eroe famoso e celebrato in tutta l’antichità classica per la sua forza smisurata e le sue famose dodici fatiche.
E di forza ne ha avuta tantissima, soprattutto nei primi, travolgenti anni della propria carriera, un altro e più moderno Ercole, che però al posto di brandire la clava, deviare corsi dei fiumi e uccidere mostri si è “limitato” a compiere imprese che ancora oggi sono rimaste nel cuore di tanti appassionati. Parliamo di Ercole Baldini, le cui fatiche più importanti sono state solo quattro ma che ancora oggi brillano fieramente nell’annuario del ciclismo d’epoca: un Record dell’Ora, un’Olimpiade, un Giro d’Italia, un Mondiale. Tutto nel giro di pochissimi anni, dal ’56al ’58. Una vera meteora – anzi meglio: una cometa – che è sfrecciata nel cielo degli eroici lasciando un segno che per molti avrebbe potuto essere ancora più profondo.
Torniamo a trovarlo come sempre molto volentieri. «Di rimpianti ne ho senz’altro», ci dice con la sua voce sottile e lucida. «Avessi vinto il Tour de France avrei potuto dire di essere stato un grande campione ma invece penso di aver fatto una buona carriera e niente di più».
Incredibile sentirlo dire da uno che ha inanellato in brevissimo tempo successi che la maggior parte dei professionisti ha potuto solo sognare, e che ha centrato al primo colpo l’obiettivo di essere l’uomo più veloce del mondo in sella a una bicicletta, al punto da essere soprannominato “Il treno di Forlì”. Ma del resto, umiltà, schiettezza e senso pratico sono sempre stati elementi chiave della carriera sportiva e dell’indole di Ercole Baldini.
«Ho iniziato ad andare in bicicletta seriamente verso i 17/18 anni, ma senza grossi successi», continua Baldini, “dimenticando” che proprio in quegli anni, nel ’54, stabilì il Record dell’Ora dei dilettanti. «Nel ’55 feci il servizio militare decisi che una volta tornato avrei provato a dare il massimo per una stagione e se le cose fossero andate male mi sarei ritirato per tornare a lavorare nei campi con i miei fratelli, che si erano sacrificati, insieme a mio padre, per permettermi di provare a fare il ciclista. Per fortuna le cose andarono bene. In pista andavo forte, al punto da riuscire battere Leandro Faggin, che era fortissimo, sia ai campionati Italiani sia al Mondiale dilettanti, a Oslo, al punto che mi cercarono sia Guido Costa per la nazionale su pista sia addirittura Alfredo Binda per quella su strada. Per non scontentare nessun decisi di partecipare a entrambe. Il risultato fu che in poco tempo feci il Record dell’Ora assoluto e vinsi le Olimpiadi».
LE SFIDE CON ANQUETIL
Ercole parla con facilità e chiarezza di un mondo che oggi possiamo vedere solo nei filmati e nelle foto d’epoca, raccontando con naturalezza dei suoi duelli con i grandi campioni, come se sfidarli e batterli fosse stata una cosa normale.
«Il Record dell’Ora fu una grande impresa perché Anquetil andava fortissimo. Lui aveva avuto il grande merito di aver battuto Coppi, che sembrava inarrivabile, anche se in due tentativi. Questo diede coraggio un po’ a tutto l’ambiente e allora, visto che le Olimpiadi di Melbourne – che si tenevano in inverno – erano ancora lontane, decisi di provarci anch’io. La preparazione non fu niente di particolare, potevo provare a girare solo quando andavo al Vigorelli perché qui di piste non ce n’erano. Anche per la bicicletta non mi preoccupai più di tanto: come sempre mi fidai della squadra corse della Legnano e riusci a battere Anquetil al primo colpo».
Il duello con il campione francese è stato senz’altro il più difficile, pervasivo e soddisfacente di tutta la sua carriera, al punto che per riuscire a sfidarlo – e a batterlo – Baldini dovette contare sull’aiuto di un amico, Giorgio Ceroni, che gli organizzò addirittura una gara internazionale solo per l’occasione.
«Tornavo con Giorgio da Ginevra dove avevo preso la solita batosta da Anquetil», continua Ercole. «La mia convinzione è che su un terreno piatto e senza curve avrei potuto batterlo, perché lì mi sentivo in vantaggio, mentre Anquetil era veramente inarrivabile su percorsi più tortuosi. Ceroni a quell’epoca era presidente della U.S. Forti e Liberi di Forlì, una piccola società ciclistica. Di fronte alla mia convinzione, decise di organizzare una gara a cronometro internazionale coinvolgendo un imprenditore locale, Bruno Ugolini, che produceva un tendicollo per camicie. Nacque così la “Tendicollo Universal”, una gara piatta e lineare in cui io e Anquetil ci sfidammo sei volte. Finì 4 a 2 per me, ma lui vinse solo perché una volta avevo un braccio ingessato e l’altra la febbre».
DUELLI TRA CAMPIONI
Anche Coppi torna spesso nei racconti del Treno di Forlì, e senza alcun timore riverenziale, come quando racconta del Trofeo Baracchi del ’57, dove si trovò a tirare da solo per tutta la gara trainando il Campionissimo alla vittoria, o al Mondiale del ’58 – che poi vinse – quando proprio non ne voleva sapere di andare a riprendere Gastone Nencini in fuga come gli aveva ordinato il grande Fausto.
«Con Coppi non eravamo proprio amici, anche perché al Baracchi era stata una gran fatica e alla fine la gente pensava che avessimo vinto per merito suo, invece era mio», racconta Baldini. «Per il resto nel gruppo ero amico quasi con tutti, tranne il lussemburghese Charly Gaul e lo spagnolo Federico Bahamontes, che in quegli anni erano i corridori di punta e batterli in salita era per loro considerata un’offesa. Io lo feci qualche volta, compresa la tappa del Tour del ’59 che arrivò ad Aosta, perché in salita mi difendevo bene. Purtroppo, quel Tour lo persi nella cronometro del Puy de Dome. In quegli anni si doveva dormire negli alberghi decisi dall’organizzazione. Noi restammo a Clermont-Ferrand, dove faceva caldissimo, mentre tanti altri, in barba al regolamento, andarono a dormire in montanga. Non chiusi occhio, quella notte, e fallii proprio la tappa in cui avrei dovuto fare la differenza».
Il ciclismo di oggi, Ercole Baldini lo segue ancora, ma è molto diverso. «È difficile andare in fuga, ti riprendono sempre. Un’azione come quella che abbiamo fatto io, Nencini e Gaul nel ’58 sarebbe impossibile. E poi i ciclisti rischiano troppo, è per quello che cadono così spesso e si fanno male».
Altri tempi, altre preparazioni, altra tecnologia applicata al ciclismo. Non sembra quasi vero che sia esistito un tempo in cui tutto era diverso e dove gli avversari erano Coppi, Bobet, Gaul, Bahamonte, Aquetil, Riviere. Per questo, ascoltare le storie Ercole Baldini, il Treno di Forlì, e visitare il suo piccolo ma iconico museo è un’esperienza che lascia senza fiato.
A cura di: Alessio Stefano Berti e Alessandro Galli Foto Guido P. Rubino – Archivio Delfino