Il Covid 19 ha provocato lo sconvolgimento del calendario ciclistico internazionale.
Sono state ufficializzate le date in cui si disputeranno le principali competizioni che sarebbero dovuto andare in scena, come da tradizione, da marzo a luglio. Il risultato è un’eccezionale, e per taluni assurda, compressione e sovrapposizione di eventi tra inizio agosto e inizio novembre. Il calendario di nove mesi formattato in quattro. C’è chi sostiene che sarebbe stato opportuno cancellare l’intera stagione agonistica e rimandare tutto a tempi migliori. Non è bastato affermare, a proposito della pandemia, che “siamo come in guerra contro un nemico invisibile”. Troppi e troppo pressanti sono gli interessi economici in campo. Così la Milano – Sanremo, la Classicissima di Primavera, diventerà, il 9 agosto, un antipasto ferragostano, il Giro d’Italia, la “festa di maggio”, una OktoberFest (3 – 25 ottobre), il Tour de France non potrà festeggiare sulla strada il suo 14 Juillet e si concluderà a Parigi il 20 settembre. Nelle stesse settimane ottobrine si accavalleranno alla Corsa Rosa le Classiche del Nord – Liegi-Bastogne – Liegi, il 5 ottobre; l’Amstel Gold Race, il 10; il Giro delle Fiandre, il 18; e la Parigi-Roubaix, il 25 – senza contare che la Vuelta prenderà il via prima della fine del Giro, il 20 ottobre.
Nella storia sportiva del ciclismo le corse sono state annullate solo per cause belliche. La Grande Guerra fermò il Tour per quattro edizioni, dal 1915 al 1918, e spezzò la vita a tre suoi vincitori: il lussemburghese François Faber e i francesi Octave Lapize e Petit-Breton. Anche il Giro d’Italia si fermò negli stessi anni. Il vincitore del Giro del 1913, il bersagliere Carlo Oriani, morì il 3 dicembre 1917 per le conseguenze dell’attraversamento delle acque gelate del Tagliamento durante la ritirata di Caporetto. Il belga Paul Deman, vincitore del primo Giro delle Fiandre (1912), venne catturato e condannato a morte. Graziato in extremis, nel 1920 vinse la Parigi-Roubaix e nel 1923 la Parigi-Tours. Il francese Charles Crupelandt, vincitore della Parigi-Roubaix del 1914, fu ferito per due volte al fronte e viene decorato con la Croce di guerra.
L’edizione del 1914 del Giro delle Fiandre fu vinta dal belga Marcel Buysse, davanti al connazionale Henri Van Lerbeghe, che si prese la rivincita, dopo l’interruzione bellica, nel 1919, battendo Leon Buysse, nessun legame di parentela con Marcel. Le classiche italiane, la Milano-Sanremo e il Giro di Lombardia, non si fermarono, ad eccezione della “classica di primavera” annullata nel 1916. Sul traguardo in Riviera, sfrecciarono primi Corlaita (1915), Belloni (1917) e Girardengo (1918). Nella “classica d’autunno”, trionfò per due volte Tano Belloni (1915 e 1918), mentre nel 1916 vinse Torricelli e nel 1917 la fecero da padrone gli stranieri: primo Philippe Thys e secondo Henri Pellissier.
A causa della Seconda guerra mondiale, il Tour rimase fermo per sei anni, dal 1940 al 1946. L’ultimo vincitore, il belga Sylvère Maes (1939), passò il testimone al francese Jean Robic (1947), vittorioso grazie a una coalizione di corridori – e forse anche con l’assenso dell’organizzazione – contro Pierre Brambilla, l’italo-francese che vestì la maglia gialla fino all’ultima tappa, prima di pagare lo scotto di un terribile ritardo proprio nella tappa finale, la Caen-Parigi.
Il Giro d’Italia tornò invece a “girare” fin dal 1946: quell’edizione si disputò in un paese martoriato dalle profonde ferite materiali e morali del conflitto, e degli ultimi anni di occupazione nazista e di guerra civile. Ed è per questo che fu ribattezzato “il Giro della Rinascita”. Lo vinse Bartali che cinque anni prima, nel 1940, aveva dovuto cedere il passo a un sorprendente gregario: Fausto Coppi. Gli anni di guerra furono terribili anche per il due grandi rivali. Coppi, dopo aver stabilito il nuovo record dell’ora al Velodromo Vigorelli, il 7 novembre 1942, in una Milano già minacciata dai bombardamenti aerei, venne destinato al fronte africano, dove sarebbe stato fatto prigioniero dagli alleati, non prima di contrarre la malaria che, diciassette anni dopo, gli sarebbe stata fatale. Bartali perse un figlio, nato morto durante i bombardamenti di Firenze e offrì un aiuto determinante, con i suoi viaggi in bicicletta da Firenze ad Assisi, per la salvezza di centinaia ebrei perseguitati. Lo si saprà però solo dopo la sua morte, quando verrà riconosciuto “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem di Gerusalemme, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’olocausto.
Il Lombardia venne sospeso solo negli anni della guerra civile (1943-44): i vincitori del periodo bellico furono Bartali (1940), Ricci (1941, che vinse anche l’edizione dell’ottobre 1945) e Bini (1942). La Milano-Sanremo “saltò” nel 1944 e 1945, mentre Favalli (1941), Leoni (1942) e Cinelli (1943) se l’aggiudicarono negli anni di guerra. La Liegi-Bastogne-Liegi si fermò, tranne che nel 1943 (vince Depoorter); la Roubaix non si corse tra il 1940 e il 1942, ma nel 1943 e nel 1944 vinsero i belgi Kint e Desimpelaere, mentre nel 1945 toccò al francese Maye. L’unica grande classica a non subire interruzioni nel corso della Seconda Guerra Mondiale fu il Giro delle Fiandre, anche per una molto discussa connivenza degli organizzatori con l’esercito d’invasione nazista.
SenzaGiro: il Giro che non c’è
Nel maggio 2020 alcuni giornalisti e scrittori hanno deciso di raccontare, con delle cronache fantastiche, ma verosimili, “il Giro che non c’è”, ovvero il Giro d’Italia che si sarebbe dovuto disputare dal 9 al 31 maggio sul percorso definito, da Budapest a Milano. Nato come un gioco d’invenzione letteraria, si è presto trasformato in un complesso progetto editoriale che ha messo in campo un centinaio di collaboratori – dagli illustratori che hanno disegnato, ogni giorno, un’opera originale a descrizione della tappa ai traduttori che hanno fornito versioni in inglese e spagnolo, dai “corrispondenti” dal territorio ai recensori di libri sulla bicicletta alle schede di descrizione geo-turistica del Touring Club Italiano. Il SenzaGiro (senzagiro.com) è un progetto completamente no-profit a cui è legata una raccolta fondi a beneficio della Cooperativa Sociale Namasté di Bergamo. Al momento della chiusura di questo numero di Biciclette d’Epoca – che è stato partner del progetto – la raccolta fondi ha ottenuto circa 6000 euro, anche grazie alla sponsorship di Santini Cycling Wear.
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