Cento anni fa, il 12 giugno 1921, Giovanni Brunero vinceva il suo primo Giro d’Italia.
Sarebbe stato il primo di una fantastica tripletta: il campione piemontese si ripeterà infatti l’anno successivo, il 1922, e poi ancora nel 1926. Eppure, al giro tondo del secolo, il nome di Giovanni Brunero, non riecheggia nelle memorie ciclistiche tanto quanto quello dei suoi rivali di allora, il Campionissimo, Costante Girardengo, e Alfredo Binda, il Trombettiere di Cittiglio.
Giovanni Brunero era nato il 4 ottobre 1895 a Ceretta, frazione di San Maurizio Canavese ed era arrivato alle corse solo dopo la Grande Guerra. Si segnala nel giugno 1919 vincendo da dilettante la Coppa del Re e di lì a poco il campionato italiano di categoria. Nel luglio dello stesso anno vince otto delle dieci tappe del Giro dell’Italia centrale e meridionale. Grazie a questi risultati strappa un contratto da professionista con la Legnano del commendatore Bozzi, il titolare del marchio, e di Pietro Cerlatti, il direttore sportivo. L’esordio al Giro d’Italia non è dei più fortunati, ma non per colpa sua. Si piazza regolarmente nei dieci nelle prime cinque tappe e sale al terzo posto in classifica generale. Ma all’indomani della Chieti – Macerata, per protesta contro una penalizzazione che per comportamento non regolamentare la giuria ha inflitto a Tano Belloni, ma che la Legnano ritiene non commisurata alla scorrettezza commessa dal capitano della Bianchi, tutti i ramarri non si presentano al via, Brunero compreso. La UVI, a sua volta, punisce i corridori della Legnano con una squalifica dalle corse per un mese. Quando rientra in gara, Brunero dimostra di che pasta è fatto. Il 21 agosto 1920 vince il Giro dell’Emilia e lo vince alla sua maniera: per distacco. Arriva 8 minuti prima di Girardengo. Sarà questa la caratteristica di Brunero: per vincere ha bisogno di trasformare la corsa in una sfida a eliminazione. Lui, quasi sempre, sarà l’ultimo a mollare.
Nel 1921 alla Legnano arriva Eberardo Pavesi, il grande plasmatore di campioni. La sua prima “invenzione” – dopo quelle che verranno: Binda, Bartali, Coppi, Baldini… – è proprio Giovanni Brunero. Brunero si prepara alla corsa rosa (che “rosa” ancora propriamente non è, dal momento che il simbolo del primato verrà indossato solo dieci anni dopo, nel 1931) vincendo il Giro del Piemonte con oltre 12 minuti su Azzini, Sivocci e Gremo. Al Giro tutto sembra arridere al Campionissimo: Girardengo vince le prime quattro tappe, ma sempre in volata. Quando iniziano le montagne vere, la musica cambia. Nella Chieti – Napoli Gira va in crisi tra i monti d’Abruzzo e sul Piano delle Cinquemiglia, mentre gli altri lo attaccano senza pietà, scende di sella e traccia una fatidica croce nella polvere della strada: lì finiva il suo Giro. A Napoli vince Belloni ma Brunero gli è alle costole. Nella Roma – Livorno prende il comando della classifica. Da lì a Milano è un testa a testa fra i due, ma il canavesano rintuzza gli attacchi del bel Tano e vince il Giro con 41” di vantaggio.
La Legnano si trova così in casa un campione e nella stagione successiva, nel 1922, punta al bis nel Giro. Che arriva puntualmente, anche se tra mille polemiche. Scoppiano già alla prima tappa, la Milano – Padova. Brunero cade nella discesa del Ponale, verso il lago di Garda, e rompe una ruota. Per regolamento sarebbe tenuto a ripararla, ma invece monta quella del compagno di squadra Sivocci e arriva al traguardo limitando così il ritardo. La giuria lo squalifica ma la Legnano presenta ricorso all’UVI: Brunero resta in corsa sub iudice. Quando arriva il verdetto, la penalizzazione è di soli 25”. Questa volta a protestare sono la Maino di Girardengo e la Bianchi di Belloni, che abbandonano la corsa. Già dalla quarta tappa la strada per la vittoria è spianata e a Brunero non resta che scavalcare in classifica il compagno di squadra Bartolomeo Aymo. A Milano, arriva primo con un vantaggio considerevole su Aymo (12’29’’) e incronometrabile su Enrici e Sivocci (anche loro “legnanisti”) e su tutti gli altri.
E Brunero vince anche nelle classiche di un giorno. In primavera si era imposto nella Milano – Sanremo, a dire il vero per la casualità di un incidente all’arrivo. A poche centinaia di metri dall’arrivo di corso Cavallotti, sono rimasti in testa solo Girardengo e Brunero. La volata sembra ai più già decisa, ma un improvvido addetto alle segnalazioni sul percorso si fa trovare in mezzo alla strada: Brunero lo scansa ma Gira lo centra in pieno. Brunero vince senza bisogno di sprintare. Tuttavia la classica più congeniale al campione canavesano è il Giro di Lombardia. Il 27 ottobre del 1923 Bottecchia, che quell’anno è arrivato secondo al Tour, attacca sul Ghisallo. Brunero lo raggiunge sul Marchirolo e poi lo stacca sul Brinzio. Pedalerà in un irresistibile assolo per 63 km: a Milano vince con 18’37” di vantaggio sul secondo. Si ripete l’anno seguente, seguendo lo stesso copione. Al posto di Bottecchia, questa volta ad attaccare per primo c’è il giovane Binda. Brunero lo affianca e sulla rampa di Viggiù si lancia in solitaria: passa primo sul Marchirolo e poi sul Brinzio. Mancano ancora 94 km all’arrivo al Velodromo Sempione, ma Brunero tiene gli inseguitori a 7’44”. Il 1924 è anche l’anno della sua unica e sfortunata partecipazione al Tour de France, quello trionfale di Bottecchia dalla prima all’ultima tappa. Brunero si piazza sempre tra i primi, conquista il terzo posto in classifica e nella Nice – Briançon, dopo l’ascesa del col d’Allos, del Vars e dell’Izoard, anticipa sul traguardo Nicolas Frantz. Sarebbe probabilmente arrivato sul podio a Parigi ma una terribile foruncolosi, che lo costringe per parecchie tappe a correre con una sella bucata, lo obbliga al ritiro nella penultima.
Il 1925 è l’anno della scoperta di Binda, che vince il Giro al suo esordio. La Legnano ha scoperto un nuovo campione e anche al Giro del 1926 punta tutto su di lui. Brunero accetta il ruolo di comprimario e tuttavia la sorte gli apparecchia di nuovo l’occasione per vincere per la terza volta la corsa. Binda infatti cade nella prima tappa e accusa un ritardo di oltre mezz’ora. Lo scaltro Pavesi cambia immediatamente strategia: il giovane campione, che via via si rimetterà in sesto, correrà al servizio di Brunero. Nella Foggia – Sulmona la coppia Legnano prepara la trappola a Girardengo, che continua a soffrire le scabre ascese abruzzesi: la tappa la vince Binda e Brunero è primo in classifica, un primato che conserverà fino a Milano, con un ampio vantaggio proprio sul compagno di squadra. Il vero passaggio di consegne tra i due campioni della Legnano avviene il 12 settembre 1926 nel Giro della Provincia di Torino, cronometro a coppie di 100 km, quando Brunero e Binda vincono a mani basse su Piemontesi e Linari e sui francesi Blanchonnet e Bidot.
L’anno seguente, il 1927, salirà ancora sul podio al Giro – secondo dietro a Binda: lo era già stato nel 1923, alle spalle di Enrici, e terzo, sempre dietro a Binda, nel 1925 – e vincerà la sua ultima tappa al Giro, la Treviso – Trieste. Giovanni Brunero morirà nel 1934, a soli 39 anni, di tubercolosi. La storia del ciclismo l’ha dimenticato troppo in fretta. Per fortuna c’è chi ne ha coltivato la memoria con passione e devozione: nel 2008 Carlo Delfino e Giampiero Petrucci, in collaborazione con un nipote di Brunero, Filippo, hanno scritto un libro a lui dedicato: “Giovanni Brunero. Il ciclismo delle strade bianche” (in foto in questa pagina). I