I70 anni dello Sceriffo, i 70 anni di Francesco Moser.
Di celebrazioni in questo periodo ce ne sono state tante, ma noi vogliamo festeggiarlo ancora, ricordando i tre preziosi successi alla Parigi – Roubaix. Potremmo assimilare la triplice vittoria di Francesco Moser a un’opera teatrale in tre atti.
Abbiamo un protagonista principale. Abbiamo una serie di attori che entrano ed escono dalla scena, come entrano ed escono dalle fughe. E abbiamo uno scenario che, tranne piccole variazioni, è sempre lo stesso: l’Inferno del Nord. Non resta che raccontare l’impresa, non resta che narrare le gesta del tenace corridore sui cubetti di porfido.
Primo atto: 1978
Prima di conquistare la Roubaix bisogna perderla. È questa una regola aurea a cui lo stesso Moser è sottoposto negli anni precedenti, arrivando due volte secondo (1974 e 1976). Nel 1977 è diventato campione del mondo a San Cristobal, acquistando una nuova dimensione. Nella sua squadra, la Sanson, quell’inverno approda Roger De Vlaeminck, già vincitore di quattro edizioni della corsa delle pietre. Con sé il Gitano di Eeklo porta dalla Brooklyn sei gregari. La squadra diretta dal DS Waldemaro Bartolozzi ha grandi ambizioni e inizialmente la convivenza pare dare i suoi frutti (De Valeminck vince la Milano – Sanremo). Due punte dunque per l’edizione del 1978 della Parigi – Roubaix, un campione del mondo e un plurivittorioso. Francesco è motivatissimo, l’oro iridato non l’ha saziato. Alla Gand, che precede la corsa sulle pietre, è arrivato terzo. In una giornata di freddo quasi polare viene battuto solo dalla coalizione dei corridori del nord. La domenica (16 aprile) alla partenza di Parigi nevischia, poi sul percorso si manifestano anche pioggia e vento. Il fango la fa da padrone. Nei tratti sterrati sotto le pozzanghere può esserci un precipizio. I ciclisti si trasformano, mutano aspetto e pelle sotto uno strato di melma e fanghiglia. Questa corsa esalta il corridore, l’uno contro uno o l’uno contro tutti. Qui non serve la squadra, troppe le variabili, ma solo tanta forza e fortuna. Racconta Moser a Davide Mosca nel libro “Ho osato vincere”: «Insieme a Thurau, Kuiper e Pollentier aumentiamo il ritmo. È arrivato il pavé più selettivo, è ora di aprire le danze. Si scatena la bagarre in un susseguirsi di scatti, rincorse e contrattacchi. Alla fine restiamo in quattro: io, De Vlaeminck, Maetens e Raas. Siamo i più forti».
A 22 km dal traguardo, a Bachy, il trentino realizza uno scatto poderoso e se ne va. Dietro Maertens e Raas tentano di riprenderlo, mentre De Vlaeminck si mantiene a ruota, anche se morde il freno. Il distacco aumenta, nonostante dietro siano in due a tirare. Francesco sembra galleggiare sulle pietre, il pavé non lo impensierisce. A 10 km dall’arrivo ha un minuto. Ormai è imprendibile, ha fatto una crono fino al velodromo.
Racconta il trentino: «Appena entro nel velodromo di Roubaix il pubblico schizza in piedi. I francesi mi hanno adottato. Mi applaudono, scandiscono il mio nome, qualche tricolore spunta d’improvviso sulle tribune. Un nutrito drappello di italiani mi aspetta al di là della linea d’arrivo. Ci sono quelli della mia squadra, ma anche giornalisti e tifosi. Sono emozionati e pronti ad abbracciarmi. Sanson e Vannucci piangono lacrime di gioia e non sono i soli. Sto arrivando, amici. Sto arrivando. Alzo le braccia al cielo. Ed è arcobaleno su Roubaix». Vince con 1’40” di vantaggio su Roger De Vlaminck, realizzando una doppietta Sanson.
Una vittoria italiana 12 anni dopo quella di Gimondi (1966) e ben 28 dopo quella di Coppi (1950). Senza dimenticare l’accostamento con l’altro grande attore del Nord, quel Fiorenzo Magni che vince sul fare degli Anni ‘50 tre edizioni del Fiandre (diventando il Leone delle Fiandre). «“Arc-en-ciel sur Roubiax” titola il giorno dopo L’Equipe, con in prima pagina una foto gigantesca che mi ritrae mentre affronto il pavé con il volto rigato di fango», chiosa Francesco.
Ma non è tutto oro ciò che luccica. Il Gitano ha cercato di giocare sporco, promettendo soldi a Maertens, pur di rientrare su Moser. Vannucci mette in guardia il campione del mondo: «De Vlaeminck voleva portarti via a ogni costo la Parigi – Roubaix. Certo, non ha tirato quando era nel gruppetto degli inseguitori. Ma come avrebbe potuto? Avrebbe fatto una colossale figuraccia in diretta televisiva, eppure ha offerto soldi a Maertens perché tirasse lui. Uno sproposito di soldi. Non hai visto come si è dannato l’anima Maertens per venirti a prendere? Lo so per certo» chiosa Mosca.
La convivenza quindi non è destinata a durare. Al termine dell’annata De Vlaeminck migra nuovamente, si accasa alla GIS Gelati, formazione abruzzese diretta da Piero Pieroni.
Secondo atto: 1979
Liberi da impegni di squadra, nel 1979 i due si confrontano duramente sia in corsa che fuori. Moser vince la Gand (primo italiano nella storia) proprio davanti a Roger. Il belga rilascia una rovente intervista: «Moser è il più forte, ma corre senza cervello. Con le sue gambe noi del gruppetto di testa sapremmo tutti vincere. Lui no. Domenica c’è la Roubaix. Io correrò per vincerla, ma se non ci riuscirò farò di tutto per farla perdere a lui. Quanto al Giro, se sarà il caso saprò come fargli perdere anche quello».
La tensione il giorno della corsa delle pietre è altissima. La gara parte subito serrata. Non piove, ma non è detto che sia un bene, vista la quantità di polvere che si alza al passaggio delle auto e delle moto al seguito. Polvere finissima ma resistente, che si mischia con quella nera delle miniere che circondano la zona. Gli scatti portano a isolare i capitani e davanti restano in quattro: Moser, Kuiper, Demeyer e lui, Roger De Vlaeminck. Ancora Moser: «Sulla strada bianca presso Wannehian entriamo in una sorta di galleria di polvere, non si vede a un metro di distanza e si respira a fatica. Moto e auto consumano i clacson per evitare incidenti».
La grande incognita, che c’è sempre stata alla Roubaix e che probabilmente sempre ci sarà, è quella delle forature. Il porfido promette tagli a ogni passaggio ed è solo questione di tempo prima che un corridore cada nella trappola. Dei quattro il primo a perdere terreno è Demeyer. Ha forato, cerca l’ammiraglia voltandosi, ma dietro vede solo polvere. Inevitabilmente è costretto ad attendere ed è tagliato fuori dai giochi. In questo bizzarro destino è seguito da De Vlaeminck, mentre i due davanti – Moser e Kuiper – se ne vanno in fuga.
Francesco: «Sono io a spingere, l’olandese Kuiper rimane alla mia ruota. Sa di essere più lento in volata e vuole conservare le energie. Ma qui non ci sono strategie, è la legge della Parigi – Roubaix. Si vive pietra per pietra, metro per metro. Fora anche Kuiper. Alle Olimpiadi del 1972 ero stato io a bucare mentre ero lanciato al suo inseguimento, e adesso è il suo turno. Resto solo al comando. Viaggio a un centimetro di distanza dall’erba, là dove la strada si livella in una fettuccia, per evitare sassi aguzzi, speroni, pozzanghere, gobbe. Mancano appena otto chilometri all’arrivo. Qui contano come ottanta. Ho più di trenta secondi di vantaggio».
Rimasto solo, l’italiano s’impegna in una nuova crono. Ma la spada di Damocle della foratura si abbatte anche su di lui. In questa occasione però la fortuna gli sorride. Subito dietro di lui appare l’ammiraglia Sanson, dalla quale si catapulta letteralmente il meccanico Fucacci, già con la bicicletta di scorta in mano. Francesco salta dall’una all’altra e riparte. Mentre lo spinge per fargli riprendere velocità, Fucacci viene quasi investito dalla moto di un fotografo.
Il vantaggio è sotto il minuto, Moser riprende la sua crono individuale sulle pietre. Entra nuovamente nel velodromo da solo, accolto dagli applausi dei francesi. Al suono della campana dell’ultimo giro entrano gli avversari (De Vlaeminck, Kuiper e Zoetemelk), ma ormai è tardi. Racconta Beppe Conti in “Francesco Moser”: «Hanno un giro di pista di ritardo. È fatta. Moser entra per la seconda volta sul rettilineo d’arrivo, rallenta per non finire nella loro scia. Alza le braccia da lontano per la foto. È un bis d’autore, anche perché il secondo è ancora lui, l’ineffabile Roger».
Se la prima vittoria poteva sembra miracolosa e frutto di un gioco di squadra stretto (anche se contraddittorio) la seconda dimostra la forza dell’italiano. Nel corso del 1979 Francesco vincerà anche il campionato italiano e quindi la primavera successiva si presenterà al Nord con la maglia tricolore.
Terzo atto: 1980
Roger De Vlaeminck lascia l’Italia dopo 8 anni per trasferirsi alla Boule d’Or, la squadra dello storico direttore sportivo di Merckx, Guillaume Driessens. In primavera ottiene una serie di vittorie e buoni piazzamenti: quinto alla Milano – Sanremo, nella volata di gruppo vinta da Pierino Gavazzi, e quarto al Giro delle Fiandre, regolando il gruppetto degli inseguitori. Francesco arriva secondo in quel Fiandre, ma ha dimostrato di essere il più forte. Lo consola Rik Van Looy: «Sei il migliore. Ciò che hai perso oggi te lo riprenderai con gli interessi alla Roubaix. Là non ci sono patti che possano fregarti. Non solo la vincerai, ma la vincerai per distacco». Durante l’inverno Moser ha modificato la preparazione e il suo motore si è evoluto ulteriormente.
Il grande giorno della Roubaix il trentino parte sapendo di avere un appuntamento con la storia. In una giornata insolitamente primaverile Francesco non corre unicamente per vincere la corsa, vuole dominarla, arrivare ancora una volta solo al velodromo. Nei primi 100 km lascia che siano gli avversari a cercare di fare la gara, di metterlo in difficoltà, invano. La sua maglia tricolore sembra brillare al sole.
Appena il ritmo rallenta attacca. Una volta, due volte, tre volte. Poi rallenta, dando l’impressione che si sia placato. In realtà poco dopo riprende la sua azione e i più importanti avversari, a uno a uno, cedono. «Pollentier cade rovinosamente sul pavé e si ritira. Raas va alla deriva. Qui non ci sono accordi o stratagemmi cui appigliarsi. O ce la si fa con le proprie gambe, o si cade nel fango e si sprofonda», ricorda Moser.
Stavolta il corridore della Sanson si mantiene sulla gobba centrale dei viottoli, sulla schiena d’asino, la più difficile da percorrere, senza passare per le canalette laterali. Controlla gli avversari con autorità. Il Gitano Roger fora, ma riesce a riprendere (sarà poi costretto a ritirarsi per una caduta).
Riporta Moser: «Il titanico Demeyer non regge e si stacca. Hinault prova la reazione rabbiosa e altrettanto rabbiosamente perde terreno, come rimbalzato da queste dure e antiche strade. Rimaniamo in quattro: io, il francese Duclos – Lassalle, e i rivali di una vita, Didi Thurau e l’eterno De Vlaeminck. Continuo ad attaccare con forza dirompente. Vedo i miei avversari vacillare, stremati per aver dovuto rispondere a tutti i miei assalti. Poi non li vedo più».
Ecco le mura del velodromo. Ecco le porte dello stretto di Gibilterra, che si aprono verso l’oceano e la gloria. Moser entra nel velodromo e ancora spinge, piegato sul manubrio in posizione aerodinamica. I francesi, ancora una volta, lo accolgono con gli applausi. Ma Francesco non molla.
Ha minuti di vantaggio, eppure è ancora lì a spingere a poche centinaia di metri dall’arrivo.
Si rialza solo sul rettifilo conclusivo. Si sistema la cerniera della maglia, ravviva un po’ i capelli e la faccia sporca di polvere e fango e poi alza le braccia per salutare il pubblico. Ce l’ha fatta, è entrato nella leggenda.
Moser vince la sua terza Roubaix consecutiva a 43 km/h di media, staccando di 1’48” un giovane Duclos – Lassalle, di 3’30” Thurau, di 6’05” Hinault, Deemeyer e De Wolf. Eguaglia il record di Octave Lapize, che dal 1909 al 1911 vinse per tre volte di fila la Parigi – Roubaix, e lo migliora perché, rispetto al pioniere francese, è arrivato in solitaria per tre volte. Perfino De Vlaeminck, il suo grande avversario al Nord, è costretto ad ammettere che «Moser è il corridore più forte al mondo».
Riporta La Gazzetta dello Sport di venerdì 18 giugno 2021: «Ho vinto tutto, dal Giro d’Italia al Mondiale, dalle gare su pista a grandi classiche come Roubaix, Sanremo e Lombardia… Il mio giorno di grazia? Forse la Roubaix del ‘78, quella corsa in maglia iridata. Pioggia, vento e tanto fango, stavo così bene che potevo fare quello che volevo. Ma volavo anche al Mondiale del ‘77, che ho vinto nonostante una foratura a 5 km dalla fine».
L’opera è finita, il protagonista ha conquistato la sua coppa dell’immortalità. Poi gli applausi, come a teatro, lentamente svaniscono. Queste vittorie, però, saranno illuminanti e ispiratrici per la generazione successiva di possenti passisti italiani. Passisti come Franco Ballerini, che perderà una Roubaix nel 1993 proprio con quel Duclos – Lassalle che si era confrontato con Moser, ma che in seguito la vincerà due volte (1995 e 1998), e come Andrea Tafi, l’ultimo italiano ad averla vinta nel 1999.
Tanti auguri Sceriffo!