Il Tour de France è da sempre la corsa a tappe più amata, detestata, denigrata, derisa ma sia chiaro: non può esistere un luglio senza il Tour. Non è pensabile. Né le guerre né il virus del doping sono riuscite a ucciderlo: il Tour è immortale. Henri Desgrange, con non poca fatica, ne fu il creatore e lo diresse poi fino al 1939. È proprio a lui che dedicheremo le prossime righe.
Più di 12000 corridori, fino a ora, hanno solcato le strade della Grande Boucle, e non esiste ciclista che non abbia sognato almeno per un attimo di indossare quella dannatamente agognata Maglia Gialla. La corsa francese nel corso delle sue 106 edizioni ha visto passare campioni di ogni genere, sprezzanti del pericolo, scalatori purosangue, impavidi velocisti, passisti infaticabili e corridori maledetti. Una storia infinita, quella del Tour, che come tutte le storie comincia dall’inizio.
1903: inizia la leggenda
Il prima edizione viene disputata nel 1903 e le sue radici si collegano all’affare Dreyfus, uno scandalo politico che divise la Francia in due (ma questa è un’altra storia). Fatto sta che, a proposito di ciclisti maledetti, il primo tra tutti fu proprio lui, l’ideatore della corsa stessa: l’avvocato Henri Desgrange, un uomo fiero che il padre voleva notaio. Ma lui, dopo aver assistito ad una Bordeaux – Parigi nel 1891, ne rimane stregato, si licenzia in tronco dallo studio notarile dove stava facendo il praticante e decide di passare tutto il suo tempo in sella a una bicicletta.
Nel 1893 stabilisce il primo record mondiale di distanza sull’ora alla media record di 35,32 Km. Vincerà poi innumerevoli corse, il giovane Henri, e durante la sua carriera sportiva riesce a fissare ben 12 record mondiali su pista. Successivamente, diventa giornalista e poi uomo d’affari, e nel 1900 diviene direttore del quotidiano sportivo L’Auto, giornale che organizzerà appunto il primo Tour de France sotto la sua direzione.
Tutti sanno che la Grande Boucle è lui, Desgrange, con i suoi due baffi enormi e fieri. Arrogante, autoritario, a volte sprezzante, egli regola la corsa nei minimi particolari, tronca i contrasti, modifica i regolamenti. Insomma, comanda lui. «Ricordatevi bene quello che sto per dirvi: di una schiappa, io posso farne un campione e di un campione una schiappa», dice.
Il primo vincitore della corsa francese fu Maurice Garin detto “Lo spazzacamino”, ma in quella prima edizione correva un certo Hippolyte Aucouturier che a proposito di ciclisti maledetti era soprannominato “Le Terrible”, vincitore tra l’altro di due delle sei tappe in programma e trionfatore nella Parigi – Roubaix del 1903, quando per la prima volta si entrò nel velodromo (e vinse poi anche l’edizione successiva).
È forte Hippolyte, con quel ghigno poi che incute timore e rafforza la nomea di “terribile”. Una determinazione tanto feroce da farlo andare ben oltre gli sforzi richiesti dalle corse. Fu proprio l’ideatore del Tour de France, Henri Desgrange, a dargli questo soprannome: del resto aveva l’aspetto del protagonista cattivo che si vedeva al cinema muto: era aitante, rozzo, immune alla fatica, possente, negligente quanto basta ma amato dalla folla. Vestiva con una maglia a bande rosse e blu, portava in giro un mustacchio e un piglio che avrebbe intimidito anche il più sanguinario dei briganti dell’epoca.
Le Terrible spargeva chiodi al suo passaggio. Le Terrible se era in fuga con un avversario, poi, era molto probabile che l’altro rimanesse vittima di un incidente perché anche i suoi tifosi erano per così dire un tantino “terribili”.
le notti del 1904
La seconda edizione del Tour – ma in realtà tutta la stagione ciclistica del 1904 verrà ricordata come l’annus horribilis del ciclismo – fu un’interminabile litania di scandali, di astuzie e di colpi bassi di ogni genere.Parte delle tappe si svolgeva durante le ore notturne e una notte, lungo Col de la Republique, una folla compatta armata di bastoni blocca all’improvviso la marcia dei corridori. Lascia passare solo il campione locale Andrè Faure, poi somministra randellate agli altri concorrenti per rallentarli. Ci vorranno dei colpi di pistola sparati dagli uomini al seguito della corsa, tra cui il patron della corsa stessa, per permettere al plotone di proseguire. E pensare che Henri Desgrange si vedeva come il promotore della “crociata morale dello sport ciclistico”.
A quell’edizione si vide di tutto. La gara è costellata di irregolarità: concorrenti che spargono chiodi, corridori che salgono sul treno o in automobile per superare parte del percorso, qualcuno che inverte i numeri di gara per ingannare i controllori o ancora accordi di sottobanco tra atleti. Insomma Desgrange è costernato e in preda allo scoraggiamento più totale. All’indomani dell’arrivo scriverà su L’Auto: «Il Tour de France è finito e la sua seconda edizione sarà stata, temo, anche l’ultima. Resterà ucciso dal suo successo, dalle passioni cieche che ha scatenato, dalle offese e dagli sporchi sospetti che ci ha procurato da parte di ignoranti e mascalzoni».
Ma l’inventore del Tour non ha ancora pronunciato l’ultima parola. Per prima cosa decide che in futuro i corridori non pedaleranno più in piena notte, dato che l’oscurità è propizia ai colpi più ignobili. Inoltre, fa squalificare puramente e semplicemente, a più di quattro mesi dalla fine del Tour, i primi quattro corridori della classifica generale, tutti riconosciuti colpevoli di imbrogli. La vittoria va allora al quinto arrivato, Henri Cornet, appena ventenne e a tutt’oggi il più giovane vincitore della storia del Tour.
Bruno Roghi, grande giornalista della Gazzetta dello Sport, descriveva Desgrange come un ineffabile vecchietto che, per il gusto luciferino di proporre ai suoi corridori le montagne più aspre e le fatiche più disumane, godeva degli epiteti che gli venivano rivolti. A scelta: «nonnino sanguinario», «aguzzino di forzati», «massacratore di atleti» e così via.
Il papà del Tour in effetti era un purista, diffidente e conservatore: per la sua corsa, stabilì addirittura il divieto per i ciclisti di ricevere qualsiasi tipo di assistenza. I corridori dovevano gareggiare in autonomia totale. Le biciclette delle prime edizioni erano più o meno tutte uguali: freno a tampone o a contropedale, pignone fisso, telai in ferro e borse piene di attrezzi per le riparazioni.
il 1907 libera la ruota
Nella quinta edizione, nel 1907, comparve nella lista degli iscritti un nome che avrebbe fatto passare più di una notte insonne a monsieur Desgrange: Emile Georget. Era un giovanotto della Loira soprannominato “Le Brutal” poiché mangiava in modo spropositato ma soprattutto beveva in quantità sbalorditive un vino rosso che per i suoi sconvolgenti effetti era appunto chiamato Le Brutal. Emile in quell’edizione della corsa transalpina ottenne ben sei vittorie. Merito della sua classe, certo, ma anche di un congegno rivoluzionario montato per la prima volta nella storia sulla sua bicicletta: la ruota libera. Henry Desgrange non vedeva di buon occhio l’adozione di questo tipo di rocchetto in quanto, a suo parere, riduceva la distanza effettiva pedalata dai corridori.
Quel Tour 1907 era orfano del campione in carica, René Pottier, suicida per amore qualche mese prima. Emile Georget vinse cinque delle prime otto tappe e sembrava dominare. La sesta vittoria di tappa arrivò poco dopo, ma il 26 luglio, alla vigilia della decima tappa, fu penalizzato di 50 punti, perché, a detta della giuria, avrebbe sostituito la bicicletta. Il regolamento vietava di sostituire il mezzo meccanico, che doveva essere lo stesso per tutte le tappe. La cosa non fu mai chiarita, ma sembrava una punizione più che una squalifica vera e propria. A Parigi, vinse Lucien Petit-Breton e Georget arrivò comunque terzo in classifica generale.
La ruota libera, utilizzata per la prima volta da Georget, si dimostrò fondamentale per l’evoluzione della bicicletta. Lo scetticismo di Henri Desgrange non giovò certo al progresso tecnico della bici da corsa, ma l’inventore del Tour dovette poi prendere atto degli indiscutibili vantaggi nelle edizioni successive della Grande Boucle.
cambiano i rapporti nel 1910
Tre anni più tardi, nel 1910, il Tour de France portò i corridori per la prima volta sui Pirenei, sul Col d’Aubisque, sul Colle d’Aspin, sul Col du Peyresourde e sul Tourmalet. Fu tuttavia nella terza tappa, ben prima delle montagne, che accadde qualcosa di sensazionale: il 7 luglio, nella frazione da Metz a Belfort, un corridore della Legnano si presentò alla partenza con un mozzo posteriore molto particolare. Era dotato di doppia filettatura sul quale erano montati due rocchetti, uno per parte. Ai piedi del Balon d’Alsace, quel corridore scese di sella, girò la ruota dalla parte del pignone favorevole e andò a vincere la tappa. Henri Desgrange non ne fu affatto contento. Ebbene, l’atleta della Legnano si chiamava Emile Georget, ancora lui. Il Tour andò invece a Octavie Lapize che fu protagonista della prima e leggendaria ascesa al Tourmalet , ma questa è ancora un altra storia.
Nell’edizione successiva del Tour il “giro ruota” fu utilizzato da molti corridori e dopo la pausa della Prima Guerra Mondiale questo sistema si diffuse tra tutti i corridori. Si deve comunque ricordare che il cambio rapporto non era molto frequente in corsa e di regola avveniva solo all’inizio o alla fine di lunghe salite. Per le ascese brevi si tirava avanti con il rapporto da pianura e, se molto ripide, si scendeva e si proseguiva a piedi. A questo punto della storia, Desgrange fu costretto ad ammorbidirsi e cominciò ad accettare suo malgrado le innumerevoli e prepotenti innovazioni che stavano entrando in un ciclismo che stava diventando “moderno” e andava a sostituire quello “eroico”.
Ci vorrebbe una raccolta di almeno dodici volumi enciclopedici per raccontare solo la metà degli aneddoti della corsa a tappe più famosa e più bella del mondo. Per questa volta ci fermiamo qui, ma delle infinite storie del Tour torneremo sicuramente a parlare il prima possibile.