Si chiacchiera in milanees e il Drali racconta: “Era il 1975 o 76 e arrivano alla Bianchi delle persone da quel paese lì, dove c’era il Saddam Hussein, a comprare delle bici.
Lì alla Bianchi avevano in lavorazione i telai della mia bici, la “Specialissima”, che mi avevano dato il permesso di marchiare con il mio nome, un graand unuur, e loro la vedono. Dopo un po’ mi chiama il direttore della Bianchi e mi dice: «Drali, va che inn chi ammò quelli del Saddam che vogliono dieci biciclette, però di quelle che fai tu».
Io gliele faccio e mi pagano, anche bene. Un mese dopo tornano ancora e mi chiedono di andare cinque anni al loro paese a lavorare. Cinque anni che, ho fatto i conti, mi pagavano come se ne avessi lavorati tresent. Io avevo mio papà che era già sulla sedia a rotelle e mia mamma che aveva già i suoi anni. Parli cun la miee (mia moglie, ndr), e mi dice «Pepin, che vai o che resti io vengo con te, ma ricordet chi te ghe chi. Ci ho pensato un po’ e poi ho detto di no. Loro hanno insistito, mi hanno anche scritto una lettera che mo’ la troovi puu ma poi han lasaa peerd. Allora non sono andato, però al mi sun truvaà no maalcunteent”.
IL VECCHIO E IL NUOVO
I ricordi del Drali s’inseguono l’un l’altro come ciclisti nel Vigorelli. Più o meno collegati, più o meno inerenti alle domande. Descrivono in maniera molto umana e a tratti toccante la personalità di quest’uomo dai modi semplici, ma da un passato poderoso profondamente legato all’acciaio con cui ha forgiato telai che oggi più di ieri sono considerati capolavori unici.
Telai che emergevano negli anni in cui erano il massimo della tecnologia, perché l’alluminio e soprattutto il carbonio dovevano ancora arrivare. Una persona con cui è facilissimo entrare in empatia, il Drali (al secolo Giuseppe Drali, classe 1928), perché ti racconta storie eccezionali con una grande umiltà e con grande rispetto delle persone che hanno fatto la storia del ciclismo e che ha incrociato nel suo lunghissimo cammino. Come Ernesto Colnago, che definisce come un vero genio, di testa e di penna.
Lo incontriamo, il Drali, nella nuova incarnazione del negozio che porta il suo nome, in via Palmieri 25 a Milano, zona Chiesa Rossa. Con lui ci sono Alessandro, il ragazzo a cui sta da qualche mese tramandando i suoi segreti per la creazione dei telai, e Gianluca Pozzi, ex-ingegnere che si occupa insieme ad altri soci di rilanciare l’attività. “Dopo la morte della moglie Marisa, qualche anno fa”, ci spiega Gianluca, “il Drali aveva piantato lì e chiuso il vecchio negozio. Poi, per caso, mi è capitato di conoscerlo attraverso amici comuni e alla fine mi sono convinto che era un peccato che avesse chiuso, che la sua grande esperienza andasse perduta. Ecco quindi che è nata l’idea di riaprire a poca distanza dal vecchio negozio. Il Drali va e viene quando vuole, cinque minuti o tutto il giorno, e ancora oggi ci trasmette una grande e genuina energia”.
UNA VITA A SALDARE
L’acciaio è il grande protagonista di questa rinascita. Acciaio che viene portato ai massimi livelli, anche in gara con il team Steel Drali, e che guarda al futuro tenendo ben presente la grande esperienza del passato.
“Ho iniziato a lavorare che avevo 16 anni”, ci racconta il Drali. “Mio papà Carlo, che aveva aperto il negozio nel 1925, mi mandò a lavorare da sfroos (di straforo, ndr) alla Bianchi. Oggi non si può più. Io mi lamentavo perché mi facevano lavorare tanto e mi toccavano tutti i mestieri peggiori e lui mi diceva: «l’è par quell che too mandaà laà!». Poi qualche anno, nel 1948, abbiamo iniziato a lavorare insieme. Io facevo le cose più semplici, come la saldatura del carro posteriore, che tanto non si rompeva mai”.
Si ricorda ancora il primo telaio: “A un certo punto el me paà mi dice di fare cinque telai interi. Io mi metto lì e piano piano li faccio tutti. Allora lo chiamo per vedere se sono stato bravo e lui mi dice «Braff, te i faa ben…». Io tutto felice faccio per voltarmi e lui finisce: «però con l’ottone che hai usato per farne cinque, io ne facevo otto!»”.
Erano altri tempi, tutti diversi. L’utun si andava a rubare di notte dallo strascee, il robivecchi, e il grosso del lavoro del ciclista era quello di sistemare bici e telai per le squadre di dilettanti e professionisti con i quali si entrava in contatto, magari grazie a una foto di un gruppo di ciclisti con la maglia “Drali” sull’unico media che c’era allora, la Gazzetta dello Sport. E si lavorava senz’altro in maniera diversa.
IL MESTIERE DI UNA VOLTA
Siamo nel 1946: “C’era un corridore, Saccomanni, che correva per lo Sporting Genova. Gli facciamo la bici per il Campiunaa Italian e lui alla fine lo vince. Allora ci facciamo dare la bicicletta da mettere in negozio lunedì per fare un po’ di pubblicità (Drali aveva un concessionario Bianchi, ndr) e ridargliela martedì. La dumeniga a mesdì inizio a pulirla, metto la bici sul cavalletto, smonto la ruota e… la forcella si spezza subito sotto alle congiunzioni! Tanti magari si vergognano a raccontare cose di questo tipo, ma io penso sempre che solo chi non lavora non sbaglia mai. Allora mio padre telefona al crumadur, ai doo uur, e poi al vernicatore, e in un giorno e mezzo la rifacciamo come nuova, rossa. Oggi se capita ce ne hanno già pronte trenta, lì di scorta…”.
L’acciaio, però, è sempre lui, e anche se la qualità dei tubi – Columbus o Deda Acciai – con gli anni è migliorata, la differenza la fanno sempre i dettagli, sia nella produzione di serie che in quella artigianale. Il Drali, che ti prende le misure per una bici personalizzata solo guardandoti addosso, sta cercando di trasmettere ad Alessandro – che lui chiama affettuosamente “ul mee capo” – la grande attenzione per i dettagli, la finidura.
“La cosa più importante è lavorare sulle pipe, fare in modo che il telaio sia impostato in maniera precisa, senza sbavature. A me mi danno fastidio i bauscia che in dumaa bon da criticà poi non sono capaci di fare niente. Le cose bisogna saperle fare. Io ho novant’anni e ne so tante, ma ci sono in giro ancora quelli di novantacinque che ne sanno anche più di me”.
Impossibile non prenderlo in simpatia, il Drali, perché quasi non ci credi a sentire queste cose. E basta passare una mezza mattina nel nuovo negozio che porta il suo nome per capire quanto la sua attività vada oltre al fatto di costruire telai e biciclette. Amici vecchi e nuovi vanno e vengono dal negozio, chiacchierando in dialetto come al bar sport, portando la testimonianza ancora attuale di una Milano operosa, genuina, basata sui rapporti umani, sull’esperienza, sulla fatica, sulla condivisione. E che forse, come testimonia la nuova sfida che il Drali ha accettato a novant’anni coinvolto da appassionati più giovani, non è destinata a sparire. Anzi.
LARGO AI giovani
Nel nuovo negozio, il Drali è padre nobile di un’iniziativa che è portata avanti da forze più giovani. Alessandro, che ha solo 25 anni, ha iniziato a lavorare sulle biciclette nel garage del padre e ha conosciuto il Drali nel vecchio negozio. Di lì ne è nata una bella amicizia che adesso è diventata anche l’opportunità di una vita, quella di imparare i segreti artigianali di una professione che oggi è quasi esclusivamente industriale.
Gianluca Pozzi (a sinistra nella foto in basso), invece, gestisce gli aspetti commerciali del negozio – che oltre alla ciclofficina ha una bella area con abbigliamento e accessori di qualità – e si occupa di seguire i clienti, che si rivolgono a Drali per avere biciclette su misura di altissima qualità.
steel drali
Chissà se il gioco di parole è per anglofoni è voluto (fonicamente, si può leggere “still Drali” ovvero “ancora Drali”), ma Steel Drali è il nome della neonata squadra corse che fa capo al nuovo negozio Drali. Si tratta dei sei corridori che fino allo scorsa stagione si ritrovavano a gareggiare sotto le insegne di Bike Channel e che quest’anno, invece, saranno in pista e in strada con il marchio e con le biciclette Drali, rigorosamente in acciaio. Tra gli eventi a cui parteciperanno, l’Italian Fixed Cup, che ha preso il via il 17 marzo a Montecatini (PT), e la Red Hook Criterium, che ha anche una tappa milanese.