Prima che il 2021 si concluda, c’è ancora tempo per un’ultima ricorrenza. 100 anni fa il mondo del ciclismo faceva infatti la conoscenza di quello che sarebbe diventato uno dei suoi corridori più famosi: Alfredo Binda.
A monte del campione, però, c’è la storia di un ragazzo, un emigrante che lascia la sua casa e la sua terra, ma non i suoi sogni. E su quei sogni germoglierà il campione. Alfredo nasce nell’agosto del 1902 a Cittiglio, alle porte di Varese. Terminate le elementari segue una scuola di disegno e aiuta il padre Maffeo (piccolo imprenditore edile) nel lavoro.
Il giovanissimo Binda ottiene la sua prima macchina da Rodolfo Fornetti, che aveva un negozio sullo stradone provinciale del paese. «Non era facile per me andare in bicicletta. A Cittiglio ne esistevano soltanto tre a quel tempo. Una, fortunatamente, l’aveva mio padre, ma mi era proibito montarci sopra». Impara a pedalare di nascosto. «Alla sera dovevo tornare a scuola per studiare musica e disegno, in quella occasione sottraevo la bicicletta e andavo a scorrazzare nei dintorni. Ma andavo anche a prendere lezioni di musica e di disegno». In queste escursioni scala la salita di Mombello o quella, assai più dura, di San Biagio.
Il padre Maffeo approva l’iniziazione di Alfredo ai segreti musicali della banda di Cittiglio, un po’ per tradizione familiare (il nonno di Alfredo suonava il basso, lo zio Benedetto il clarino, un altro fratello, Albino, il trombone tenore), ma soprattutto per limitarne le pericolose scalate. In più di un’occasione, infatti, il giovane era capitombolato e aveva malmesso la bicicletta di Fornetti. Il ragazzo si dedica così allo studio della musica, ma senza abbandonare il sogno di pedalare. «Io ho cominciato nella banda di Cittiglio, ma in seguito ho suonato anche in quella di Nizza. Appena arrivato sulla Costa Azzurra, mi sono presentato al responsabile del corpo bandistico che, dopo la prima audizione, mi ha inserito nel complesso che dirigeva».
Alfredo è il decimo di quattordici figli, complicato mantenere tutti per Maffeo. Ecco allora che nel 1919, finita la Grande Guerra, quando si presenta la possibilità, si trasferisce appunto con il fratello Primo sulla Costa Azzurra. Primo, reduce dal fronte, era già stato qualche mese a lavorare in Francia e sprona il fratello a seguirlo. Alfredo a 17 anni, terminata la scuola di disegno, lascia l’Italia. Non si allontana solo da un paese, ma anche da quella che è stata fino ad allora la sua vita di ragazzo e si affaccia a quella adulta. Una sorella maggiore li accoglie a Nizza, mentre lo zio Luigi De Tona, impresario edile, gli trova da lavorare. «Primo voleva fare di me un provetto stuccatore, un decoratore artista». Binda sul lavoro si dimostra subito scrupoloso e disciplinato, un’indole che non perderà mai durante tutta la sua vita sportiva e non. Lo zio è esigente sul lavoro, ma comprensivo. Nel tempo libero il programma settimanale prevede quattro giornate per la scuola di disegno e di perfezionamento all’arte dello stucco e tre giornate di libera uscita, che per i fratelli Binda significano allenamento ciclistico.
A Nizza Binda entra in una scuola di lingua francese. «Mi iscrissi alla scuola preparatoria, sul tipo delle nostre tecniche o complementari, che frequentai per due anni consecutivi».
Presa padronanza della lingua comincia a leggere i giornali locali, dove vengono pubblicati i resoconti delle gare ciclistiche che si disputano in zona. La bicicletta serve la mattina per raggiungere da St. Maurice, dove lo zio abita, la stazione di Nizza e da qui prendere il treno per Beaulieu, sede di certi lavori. Nei giorni di festa rappresenta il cavallo ideale per correre sulle sponde del Var e poi, presa confidenza, lungo le strade della riviera verso Montecarlo o sui rettilinei di Antibes e di Cannes, oppure arrampicarsi sulle gobbe di Grasse e dell’Esterel. «L’amore per la bicicletta ci aveva presi tutti e due e nelle ore di libertà, massime alla sera, dopo la quotidiana fatica, tanto io quanto Primo ci davamo alla strada, preferendo misurarci sulle salite nei dintorni di Nizza», racconta Binda in “Le mie vittorie e le mie sconfitte”. Si registra prima alla società Nice Sport, presieduta da un certo Bonifaci, poi passa alla Roue d’Or, il cui presidente era Camorani, originario di Cuneo.
1921 – L’ANNO DELL’ESORDIO
Nel 1921 Primo s’iscrive ad una corsa, poi ad un’altra, senza però raggiungere grandi risultati. Alfredo invece comincia a capire che le sue gambe e il suo cuore sono diversi. «Negli allenamenti di ogni giorno mi accorgevo di non faticare a correre; non solo, ma di acquistare anche una certa souplesse che mi permetteva di compiere chilometri su chilometri senza stancarmi». In questi allenamenti incontra spesso l’ex corridore Morini, adesso proprietario di un bel negozio di biciclette in centro città. Morini è un italiano trapiantato in Francia da anni, originario di Borgomanero, meccanico e costruttore di biciclette, nonché dirigente del velodromo locale. I due parlano tra loro in dialetto. Con la maglia della sua squadra Alfredo disputa il 4 settembre la sua prima corsa “Primi passi Morini”.
Partono in 154 sotto la pioggia. «Benché si svolgesse su di un percorso di soli 46 km, si presentava dura perché la strada era accidentata e il fondo pesante causa la pioggia». La naturale emozione iniziale svanisce presto e Binda risale rapidamente il gruppo e si trova in testa. Ai piedi della prima salita aumenta il passo e se ne va. Transita per primo con 200 metri di vantaggio. «Mi sentivo bene ed i chilometri venivano divorati uno dopo l’altro fino a quando, quasi senza accorgermi, mi trovai all’arrivo, precedendo Belchio, Fighera, Geoffroy e altri». Alfredo vince alla prima corsa a cui partecipa, ma viene squalificato.
Racconta a Chiaradia, autore di “La testa e i garun”: «Ho subito una squalifica perché non avevo risposto al secondo appello. Il primo lo avevano fatto sul posto del raduno (Pont Magnan, nelle vicinanze del velodromo, ndr), poi tutti in gruppo abbiamo attraversato lentamente la città per raggiungere il posto della partenza; prima del via c’è stato un secondo appello. Io mi trovavo in testa al plotone, non ho sentito chiamare il mio nome, quindi non ho risposto e sono stato squalificato. (Morini, ndr) dopo la vittoria mi aveva avvicinato, fatto i complimenti e invitato a passare nel suo negozio: mi avrebbe cambiato la bicicletta, perché quella che possedevo non era adatta a correre. Non gli avevo fatto ripetere due volte quell’invito. Il giorno dopo, terminato il lavoro, mi precipitai nel suo negozio. La bicicletta da corsa, nuova fiammante, era lì che mi aspettava. Era bellissima e mentre la ispezionavo, mi si inumidivano gli occhi per l’emozione. Mi sembrava di sognare… Finalmente potevo gareggiare con una vera bicicletta da corsa». Il giovane Alfredo sembra aver trovato la sua strada. Al momento il suo lavoro è ancora quello di stuccatore, ma il mondo delle corse è quello che lo attrae.
La domenica successiva si corre il Grand Criterium dell’Eclaireur, sulla distanza di 53 chilometri. Ancora una volta Binda prende la testa del gruppo e sulla prima salita fa la differenza. «Nella discesa marciai con precauzione, il che permise a Spinelli di raggiungermi all’entrata della pista di Nizza. Non mi preoccupai. Mi sentivo fresco e forte. Il pensiero era quello di arrivare primo e, non so perché, ne avevo la certezza. Allora non avevo ancora acquistato lo spunto veloce. Partii deciso al chilometro e mi trovai al traguardo primo, senza essere ostacolato dal mio avversario. Questa volta non c’era dubbio, avevo vinto, e nessuno mi avrebbe tolto dal primo posto. Morini e mio fratello non stavano più nella pelle e non finivano mai di abbracciarmi e di baciarmi».
Rotto il ghiaccio è il momento di continuare. Altra domenica, altra corsa: La Manda. Vince battendo in volata un gruppetto di una trentina di corridori. «Ero convinto di andare bene, ma le tre corse alle quali avevo partecipato erano su brevi percorsi benché non mancassero di salite aspre. Volevo cimentarmi in gare più lunghe, che avrebbero giovato a mettermi in buona luce e sarebbero state rimunerative. La fortuna mi assistette ed io mi iscrissi alla finale del Grand Criterium Cycliste de l’Eclaireur». Aumenta la distanza, si superano i 120 chilometri, e con essa la difficoltà. Alla corsa partecipano in 61. Il gruppo resta compatto fino a Breyon, che dista 50 km dalla partenza. Appena usciti dal paese, scatto di Binda che crea scompiglio. Gli resta a ruota solo il monegasco Pacifico. Per poco, nell’attraversamento di Var si stacca. Il distacco aumenta e al controllo il cittigliese ha ormai 5 minuti di vantaggio. A Cannes sono saliti a 7 i minuti. Saranno 10 all’arrivo. Vince davanti a Pacifico, Seren, Sassi e Spinelli.
«Questa vittoria, alla quale agognavo, mi giovò non poco. Già i giornali locali, rilevando i miei successi domenicali, vaticinavano il sorgere (modestia a parte) di un astro del ciclismo. Anche La Gazzetta dello Sport ricordò la corsa mettendo il titolo: “L’Italiano Binda vince il Criterium dell’Eclaireur”». Il 23 ottobre conquista facilmente il Gran Premio Curtin, sulla distanza di 100 chilometri, battendo Roggero, Gras, Girelli e altri. Arriva anche la prima “sconfitta”, il 5 dicembre. Nel Criterium de Cote Nice-Turbie viene battuto da Broccardo di pochi centimetri al termine di una lunga volata.
Le prodezze del giovane italiano non passano inosservate neanche alle squadre ciclistiche. La prima a farsi viva fu La Française Diamant, che aveva richiesto al suo agente di Nizza di seguirlo. «Qualche giorno dopo il mio incontro con l’agente, da Parigi mi era giunto l’invito della direzione generale della Française (Mounsier Blommond), che mi convocava in sede per discutere l’eventuale ingaggio. L’offerta del primo contratto era stata di 800 franchi mensili, aumentati a mille subito dopo le prime vittorie». Siamo alla svolta. Al termine di quel 1921 Binda deve scegliere. «Dopo aver firmato il contratto che mi vincolava a loro, io non avevo smesso di fare il decoratore, e non era ammesso esercitare due professioni contemporaneamente».
È un momento difficile per il giovane Alfredo, che ricordiamo non ha ancora 20 anni. In questa scelta prefigura il suo futuro. «Mi dispiaceva abbandonare la non facile professione del decoratore, che stavo imparando bene e che già mi aveva procurato lusinghiere soddisfazioni, però successi stimolanti mi erano arrivati anche gareggiando in bicicletta». Spinto dal fratello Primo prima e dall’amico meccanico poi, Alfredo decide di accettare. «Mi rincresceva lasciare la bicicletta che il buon Morini mi aveva fornito. Il Morini, che sempre mi era stato vicino con la sua amicizia, con i suoi consigli, disinteressatamente, mi spinse ad accettare le offerte della Française».
Presa la decisione si dedica a tempo pieno alla bicicletta. «Uscivo di casa alle 7:30 e rientravo alle 12:30, senza mai fermarmi, così tutti i giorni sino a quando ho smesso di fare dell’agonismo (1936, ndr). Senza la stanchezza giornaliera del lavoro, mi accorgevo che negli allenamenti, giorno dopo giorno, la pedalata acquistava scioltezza, sicurezza, vigore e la bicicletta scivolava sulle strade di pianura e di montagna sempre più veloce». È qui che comincia a formarsi l’atleta alla base del campione.
1922 – IL PRIMO TESSERAMENTO
Il cambio di categoria richiede anche il tesseramento a una federazione. Binda, mantenendo la nazionalità italiana in Francia, trova qualche difficoltà. «Quando partecipavo alle gare minori, non era necessario presentarsi con la tessera della Federazione Ciclistica, ma in seguito, passato alla categoria superiore, la tessera era diventata indispensabile. Per la mia iscrizione aveva provveduto la Française di Nizza, inviando a Parigi la necessaria documentazione. Ma la Federazione Ciclistica Francese aveva risposto che i corridori italiani residenti in Francia dovevano iscriversi presso l’Unione Velocipedistica Italiana, che aveva sede a Genova. L’UVI non tesserava i corridori dilettanti che gareggiavano all’estero, però forniva una licenza di corridore professionista senior o junior. A me era stata rilasciata la licenza di corridore junior». Per L’Unione Velocipedistica Italiana sono gli anni della presidenza di Geo Davidson (in carica dal 1915 fino al termine del 1927) che ha spostato la sede della Federazione da Alessandria a Genova.
Ma non sono solo le case francesi ad accorgersi di questo forte corridore italiano. Anche le squadre italiane, e in particolare la Legnano dello scaltro Pavesi, lo seguono. Morini è in contatto con Mario Della Torre (procuratore di Bozzi) e quindi con l’Avvocat. In Costa Azzurra l’ottimo clima permette di allenarsi e correre anche d’inverno. Non stupisce quindi che “l’Italien” abbia corso fino al 5 dicembre per poi riprendere il 5 febbraio. «La prima gara alla quale m’iscrissi fu la Trophée du Petit Journal che venne disputata su un percorso di chilometri 160». È una gara ad eliminazione che permette, in caso di qualificazione, di entrare nella finale che si sarebbe tenuta a Parigi. «La vittoria, o nella peggiore delle ipotesi un buon piazzamento mi avrebbe giovato non poco perché mi metteva in condizioni d’incontrarmi e di misurarmi con veri campioni».
A questa corsa partecipano solo in 24. Il gruppo resta compatto fino a Gasse (40 km dalla partenza) dove Binda, a causa del pavé sconnesso, cade e resta a terra dolorante e ferito. La caduta viene notata e Canova ne approfitta per andare in fuga. Dopo un inseguimento di 30 chilometri il fuggitivo viene ripreso da Alfredo ai piedi dell’Esterel. «La gara sarebbe stata decisa in volata. Al traguardo sul velodromo mi batto con Broccardo. Mi sembra di avere la meglio e sto rimontando di forza Broccardo, quando questi, a pochi metri dalla linea, vedendosi battuto, mi spinge al largo. L’UVF multò Broccardo ma la classifica rimase immutata». Nonostante la scorrettezza Binda arriva comunque secondo. Il 19 marzo si disputa una corsa internazionale in salita: la Nizza – Monte Chauve, di 16 km. I partecipanti sono 55, tra loro anche nomi noti come Alavoine, Reboul, Rheinwald, Belloni, Gremo, Agostoni. Fin dal via Alavoine prende la testa, seguito da Reboul, Binda e Broccardo. Il fondo è pieno di sassi aguzzi e si susseguono le forature. A San Sebastiano Alavoine ha 20 metri di vantaggio.
Il francese precede sul traguardo Reboul di un minuto. Binda, che intanto è riuscito a liberarsi della compagnia di Broccardo, gli arriva a pochi metri, terzo. «La mia felicità non aveva limiti: ero primo dei corridori italiani e dei regionali. La mia gioia, oltre a essere condivisa da coloro che mi volevano bene, fu doppiamente sentita, anche perché mio fratello Primo, partecipante alla categoria Touriste Routiers, arrivò secondo dopo Raybaut e precedendo a sua volta molti vecchi campioni». Una settimana dopo il Criterium della Montagna. 15 chilometri da Monte Carlo a Mont Agel, con un dislivello di 1200 metri. Ci sono anche i campioni delle grandi marche, in allenamento sulla riviera. Alfredo arriva quinto, a un minuto da Henri Pélissier, Barthelemy, Lacquehaye, ma precedendo Alavoine, Normand e Broccardo. Il 23 aprile vittoria di prestigio nella Nice – Puget – Thenier – Nice, 150 km tra riviera ed entroterra a cui partecipano 77 corridori. «Giungo tutto solo al velodromo dopo aver staccato i migliori regionali, quali Novo, Canova, Gastaldi e altri».
Al Gran Circuito Ciclistico del giornale l’Eclaireur (7 maggio) Binda s’impegna per la prima volta in una gara oltre i 300 km (354). Oltre che dalla lunghezza il percorso è reso duro dalle impervie salite e dal caldo. Vince Novo, che batte l’Italien in volata per mezza ruota. Cominciano ad arrivare anche gli ingaggi per la pista, come quello del Velodromo di Nizza. Si mette in evidenza in due Americane in coppia con Nagel. Il 16 luglio prende parte alla finale del Trofeo Petit Journal a Parigi, come rappresentante della riviera insieme a Broccardo, Roussel, Ferrero e Rospid. Binda si classifica terzo dietro a Leducq e Bidot.
Tornato a Nizza partecipa il 4 agosto alla Saleya Club, con altri 78 corridori. Dopo pochi chilometri dalla partenza Binda fora e, come spesso accade, il gruppo aumenta l’andatura. «Riparai in fretta e mi diedi all’inseguimento, che fu coronato dal successo alle porte di Antibes». Nella volata finale subisce la scorrettezza di Scaffau e finisce nel prato. Viene battuto per una ruota. «Il reclamo presentato alla giuria giustamente venne accolto e Scaffau venne tolto dall’ordine di arrivo. Io venni classificato primo». Il 15 agosto corre al Grand Prix de la Victoire dove si classifica secondo alle spalle di Paoli per pochi centimetri. La rivincita la settimana dopo al Circuit du Velo Sport de Cannes, dove Alfredo s’impone staccando tutti gli avversari (alla media di 33 km/h). Nello stesso anno si classifica quarto nella Marsiglia – Nizza.
1923 – LE SFIDE CON I MIGLIORI
Durante l’inverno del 1922, con due anni di esperienza alle spalle e l’età dalla sua, il giovane Alfredo continua ad allenarsi tenacemente sotto lo sguardo dei suoi due compagni, il fratello Primo e Morini. La nuova stagione agonistica comincia il 18 febbraio con il Trofeo del Petit Journal. Vi partecipano 22 corridori e il percorso prevede 180 km con la scalata dell’Esterel. Vince sul traguardo di Nizza con una decina di minuti su Urago e Broccardo. La seconda competizione dell’anno è la Nizza – Mont Chauve. Tra gli italiani vi partecipano Belloni, Trentarossi, Sivocci, Azzini e, soprattutto, Girardengo. Tra i francesi Alavoine, Barthelemy, Souchard e Broccardo. 75 partenti in totale. È la prima volta che il cittigliese corre con Costante Girardengo, il suo modello di riferimento. In gara provano ad andarsene Souchard e Barthelemy, seguiti da Binda. Il suo piano prevede di scattare sull’ultima rampa che porta direttamente sul rettilineo di arrivo. «Forzo l’andatura e il traguardo è vicino, la vittoria non mi può sfuggire. Do tutta la mia forza, tutta l’anima, e taglio il traguardo con una quarantina di metri di vantaggio davanti a Barthelemy, Souchard, Girardengo, Trentarossi, Broccardo, Alavoine ed altri». Alfredo stabilisce il nuovo record di scalata in 44’ 49”.
«Il giorno dopo sui giornali di Nizza era apparso in grande questo titolo: “Grande sorpresa in vetta al Mont Chauve – la matricola dei professionisti Alfredo Binda sbaraglia i più forti scalatori del ciclismo mondiale!”. L’Eclaireur, organizzatore della gara, dopo la corsa scriveva: “Si può, senza tema di smentita, dire che il campione Alfredo Binda è il migliore corridore della Costa Azzurra e la sua reputazione di buon atleta diventa di giorno in giorno più grande. Binda ha solo vent’anni e senz’altro si può presagire che davanti a lui si trova la prospettiva di una gloriosa carriera di corridore ciclista”». Se non è un’investitura poco ci manca. L’impresa di Alfredo è grande, anche al cospetto degli avversari. Ancor di più davanti al suo campione preferito, Girardengo. Il giovane corridore acquisisce sempre maggiore consapevolezza dei propri mezzi. Determinato a continuare nel migliorarsi, sperimenta e sviluppa sempre più evolute tecniche di allenamento. In corsa ha l’abitudine di studiare i suoi avversari. È convinto che il ciclismo non sia solo espressione di forza bruta, ma anche di tattica e strategia.
L’11 marzo partecipa al 4° Criterium della Montagna, che si disputa tra Monte Carlo e Mont Agel. Nella prima parte si scala il colle di Turbie, nella seconda il Golf di Mont Agel. Lacquehaye arriva per primo, davanti a Pélissier che batte Alfredo di mezza ruota. Siamo a fine inverno e le condizioni meteo sono molto variabili, tanto che: «Sul breve rettilineo, reso oltremodo pesante da circa venti centimetri di neve gelata, tutti furono obbligati a mettere piede a terra e a terminare la corsa in un cross-country». Il 2 aprile si impone nel Gran Premio della Città di Tolone, davanti a Broccardo, Urago, Curtel, Castel e Gras. Il 22 torna alla Nice – Puget – Theniers – Nice, dove vince con un distacco di 9’ rispetto al solito Broccardo. Prende parte a corse in pista a Lione, poi la prima domenica di settembre è presente alla Nice – Annot – Nice (180 km). «Anche in questa corsa arrivai primo, ma fui retrocesso perché lungo il percorso, avendo rotto in una caduta la bicicletta, venni costretto a sostituirla con un’altra avuta da un compiacente ciclista». Recupera i 10 minuti persi per il cambio, rientra sul gruppo e va a battere Broccardo in volata.
Il 9 settembre si presenta al Grand Prix de la Victorie (174 km) dove si afferma davanti a Urago e Broccardo. La settimana dopo l’ultima classica dell’annata, la Marsiglia – Nizza (250 km). Se l’anno precedente era arrivato quarto, stavolta vince. «L’anno così bene incominciato, lo finivo con una vittoria, giungendo primo nell’ultima corsa della stagione». Dopo un’annata così ricca di successi gli amici lo ribattezzano “Il Girardengo della Costa Azzurra”. Pedala, apparentemente senza fatica. Vola su sterrato, sassi, fango, ghiaia, incurante di vento, pioggia e neve. Sembra un moderno Apollo, protetto dagli dei del ciclismo. È l’antesignano di un nuovo ciclismo che avanza.
Come sostiene Carlo Delfino in “Diario di un suiveur”: «Quando a fine settembre Binda s’impone nella Nizza – Marsiglia di 255 km, Pavesi capisce che il varesino dispone anche di una discreta tenuta alla lunga distanza. Alla fine del 1923, e questa cosa sono in pochi a saperla, manda un suo uomo in Francia e gli fa firmare un’opzione su un futuro contratto per la Legnano, imponendogli di mantenere il silenzio fino al termine della stagione successiva. Questo per dire che Pavesi non si è accorto di Binda solo dopo la bella prova al Lombardia del 1924, sarebbe stato troppo facile… Ma era almeno due anni che lo teneva nel mirino».
1924 – L’ULTIMA STAGIONE FRANCESE
La carriera del giovane Alfredo è ben avviata. I risultati gli stanno dando ragione nella scelta fatta, il ciclismo è il suo futuro. È tempo di tornare in Italia. Passa l’inverno a discutere con Morini. Sente che in Costa Azzurra ha già fatto abbastanza, è il momento di cimentarsi sulle strade del nostro paese, in corse più importanti. Ma c’è ancora questa stagione da disputare in Francia, in una squadra francese, prima di far valere la clausola del preaccordo con la Legnano. I propositi di rientro sono rimandati all’autunno.
Rispetto agli anni precedenti inizia a correre in pista già durante l’inverno. Il 3 febbraio è al Velodromo di Nizza in coppia con Urago, dove batte il record dell’Americana delle 3 ore (45,5 km/h). «Anche le domeniche successive mi videro in altre corse su pista e vinsi diverse americane e diversi omnium». Su strada la prima corsa la disputa il 7 aprile, Grand Circuit du Chemineau. Dopo 35 km scatta e se ne va a vincere in solitudine, «Benché 10 chilometri mancassero all’arrivo e le strade fossero pesantissime sotto un diluviare continuo». Gli altri (Bottini, Mengarelli, Bottero) arrivano dopo dieci minuti. La domenica successiva prende parte alla Coppa Martini e Rossi, con 180 partenti. Qui splende il sole, ma il risultato non cambia. Batte in volata Ducerisier e Oliveri, i soli che erano riusciti a rientrare dopo che aveva fatto la differenza in salita.
Altri 7 giorni (21 aprile) ed ecco il Grand Criterium Routier de la Ville de Nice, valevole come Campionato delle Alpi Marittime. In corsa viene ripetutamente attardato da incidenti e forature. Riesce, dopo due dispendiosi inseguimenti, a partecipare alla volata finale della prima parte della corsa. S’impone su Di Lazzaro e Nagel. Nella seconda parte, partita subito dopo, cade per uno slittamento e insegue. Sulla salita di Rochette riprende il gruppo e prova subito ad andare in fuga. Gli resistono solo Di Lazzaro e Bottero, che regola allo sprint nel Velodromo di Nizza. «Con una sola corsa trionfai così due volte, nel campionato regionale e nella finale del Grand Criterium». Quarta vittoria in 20 giorni (27 aprile) alla Tolosa – Nizza, con 150 partenti, davanti a Piccardo, Ducerisier, Tesi e Alivert.
Seguono 3 vittorie e un secondo posto: 4 Maggio, l’Eliminatoria delle Alpi Marittime; 25 maggio il Grand Prix Magelan a Tolone; 1 giugno, Criterium du Lyon Republicain secondo dietro a Marciliac; 9 giugno, Cote de Mont-Faron. Inoltre, arriva primo nel Grand Prix de Salon e nel Circuit Berta. Corse combattute, disputate ad alte velocità e con molti partecipanti, ma l’Italien domina. A settembre decide di prendere parte a quella che considera la corsa più importante della stagione (una breve corsa a tappe), il Giro del Sud-Est (1 – 14 settembre). Otto tappe per un totale di 2000 km. Binda ricorda: «Ho vinto questa grande corsa, da solo, senza gregari, senza aiuti, senza coéquipiers. Nessuno era con me e ho vinto».
Il 28 settembre vince nuovamente la Marsiglia – Nizza (250 km) con due minuti di vantaggio sugli inseguitori. Il 5 ottobre corre, e vince, la Nizza – Annot – Nizza, scattando sul colle di St. Raphael, lasciando gli inseguitori (Urago, Di Lazzaro, Piccardo) a 6 minuti. Il 13 ottobre disputa il Grand Prix Saleya, l’ultima corsa francese di quell’anno. Percorso di 130 km, che comprende l’Esterel, dove Alfredo fa la differenza. Prova a resistergli solo Urago, che però salta e all’arrivo il suo ritardo sarà di 12 minuti. «La mia vittoria non poteva essere più bella e siccome era l’ultima corsa cui prendevo parte sulla Costa Azzurra, quella mia performance fu di buon auspicio per le corse future, in competizioni internazionali».
1925 – LA NASCITA DI UN MITO
«Da Cittiglio, i parenti e gli amici mi tempestavano di lettere perché facessi ritorno alla famiglia dopo qualche anno di assenza». La spinta per tornare in Italia è forte. Inoltre in Francia ha vinto tutto. Se a questo aggiungiamo che la Gazzetta dello Sport aveva messo in palio la bellezza di 500 lire per chi fosse passato per primo sul Ghisallo, ecco che per Binda le motivazioni sono più che sufficienti per misurarsi nella prima gara italiana, il Giro di Lombardia. «Vincendo le cinquecento lire, oltre a farmi conoscere dai miei compatrioti, mi ripagavo le spese sostenute per venire in Italia, perché la Française non intendeva sostenermi se gareggiavo nel Giro di Lombardia». Quella era la corsa di casa. Su quelle strade aveva ammirato i campioni di un tempo ed era perfetta per fare il suo debutto in terra italica.
Il 9 novembre si disputa la ventesima edizione della corsa inventata dalla Gazzetta dello Sport. 59 corridori prendono il via da Milano (viale Monza), alle 6 del mattino. «Il percorso (del Lombardia, ndr) non lo conoscevo del tutto e solo sapevo che il Ghisallo era una salita aspra. Vestivo allora la maglia della Française». A Onno, Robotti tenta la fuga e si stacca dal gruppo. All’attacco del Ghisallo scatto di Binda, che si pone al suo inseguimento. Lo raggiunge e passa per primo sulla cima, «Tra lo stupore dei presenti e di coloro che seguivano la corsa». Conquistato il premio della Gazzetta, lucidamente il cittigliese riflette che il traguardo di Milano sia troppo lontano per poterci arrivare da solo e declina senza forzare. «Prima di Erba, mi aveva raggiunto Brunero che era sceso dal Ghisallo come una furia».
Brunero, alfiere della Legnano guidata da l’Avvocat, non sapendo chi sia il giovane in fuga, gli chiede informazioni: «“Chi sei? Come ti chiami? Da dove vieni?”. “Mi chiamo Binda” gli risposi “e vengo da Nizza”. “Allora, Allez Binda!” aveva continuato Brunero. “Se mi aiuti a tirare, quelli non ci raggiungono più!”». I due vanno via in pieno accordo, almeno fino a Viggiù. Su questa rampa l’uomo della Legnano approfitta di un attimo di esitazione nel cambiare rapporto da parte del compagno di fuga per svignarsela. «Se ne andò ballonzolando agilmente sui pedali; di tanto in tanto si voltava indietro per constatare l’effetto prodotto dal suo scatto».
Binda prova l’inseguimento, ma la fila delle macchine che si è intanto frapposta tra lui e il fuggitivo non gli permette il recupero. Non resta che attendere chi sta rientrando da dietro. «Rimasto nuovamente solo, ero stato subito raggiunto da Girardengo e Linari, e con loro arrivai al Velodromo Sempione di Milano, dove Brunero, sdraiato sul prato, era in attesa della nostra volata». Alfredo conclude quel suo primo Lombardia al quarto posto. Sul prato del Sempione ad attendere il cittigliese non c’era solo il corridore della Legnano, ma anche il suo Direttore Sportivo – Pavesi – e il Patron, il commendator Emilio Bozzi.
I due invitano il ragazzo a presentarsi il giorno dopo presso la sede della casa per discutere di un contratto. «L’offerta fattami il giorno seguente negli uffici di Porta Genova era di 12.000 lire all’anno; un’ottima offerta, però io avevo chiesto al commendator Bozzi che mi concedesse qualche giorno per la risposta, perché per correttezza avevo il dovere di informare i responsabili della Française, con i quali avevo un contratto in scadenza». Binda si reca a Parigi, da monsieur Omon, titolare della casa francese, e gli presenta l’offerta della Legnano. Omon fu chiaro, gli dispiaceva perdere un corridore così forte, ma quella cifra era fuori dalle sue possibilità. «Esisteva un accordo tra le case ciclistiche francesi consorziate di non elargire più di diecimila lire l’anno ai corridori, anche se erano straordinariamente bravi». Libero dall’impegno con i francesi, Alfredo accetta l’offerta di Pavesi e Bozzi. Sarà un uomo Legnano dal 1925. Nell’inverno Binda s’iscrive allo Sport Club di Porta Genova di Milano, gruppo sportivo fondato da Adriano Rodoni. L’inizio di un’amicizia e di una collaborazione durate decenni.
Nella prima gara italiana della stagione, la Milano – Sanremo, Alfredo non brilla e si ritira. Va alla Roubaix, ma una foratura a pochi chilometri dall’arrivo lo taglia fuori dalla possibilità di vittoria. Anche al Giro del Piemonte stessa sorte, altra foratura. Per il Giro d’Italia, la Legnano allestisce due squadre: la casa madre con Brunero, Binda e Linari e la Wolsit con Girardengo, Belloni e Bestetti. Binda parte come gregario, in appoggio a Brunero, il quale però in seguito a una foratura nella terza tappa perde 4’ 21”. L’Avvocat decide di passare i gradi di capitano ad Alfredo e il duello diventa tra Girardengo e Binda. L’equilibrio si spezza nella quinta tappa, dove Costante fora a 30 km dal traguardo di Napoli e perde 5’ 32”. Binda vincerà il suo primo Giro. Ne seguiranno altri 4 vittoriosi e nel 1930 sarà addirittura pagato per non correrlo. È nato un campione.
La vita in Francia
Nel racconto della figlia Lauretta, il ricordo di Alfredo Binda in Francia. «Per Alfredo il breve periodo di vita a Nizza è stato un periodo sereno. Ha studiato il francese ma andava molto fiero di aver imparato anche il dialetto nizzardo. Ricordo che, già anziano, quando si andava a Nizza (ogni anno qualche giorno a trovare fratelli e nipoti) era molto orgoglioso di poter rispolverare con loro quel dialetto. Alcune parole nizzarde mischiate al francese facevano parte del suo lessico familiare.
La gara in salita Nizza – Mont Chauve lo mise per la prima volta a confronto con i campioni francesi e italiani dell’epoca. Conservava gelosamente un giornale (sebbene non fosse interessato a conservare cimeli) che riferiva la cronaca della gara e che aveva come titolo “Il pulcino ha battuto le aquile” (Le poussin a battu les aigles)».
«(Quando era in Francia, ndr) una volta all’anno tornava a Cittiglio in bicicletta per trovare i genitori», prosegue Lauretta. «Ha sempre detto però che aveva nostalgia di casa (“les Italiens” erano tanti in Francia in quel periodo ma pur sempre emigranti) e infatti ha colto la prima occasione per tornare, pagandosi il viaggio con i soldi guadagnati con il premio di 500 lire messo in palio sul Ghisallo nel Giro di Lombardia. Aveva studiato esattamente quale premio e quanto gli serviva per andare e tornare da Nizza… era un programmatore e un raffinato calcolatore».