Nell’anno del 120° anniversario della nascita della Locomotiva Umana – così era soprannominato Learco Guerra – vogliamo ripercorrere la seconda parte della sua carriera ciclistica, quella di direttore sportivo e dirigente.
Pur coetaneo di Alfredo Binda (1902), ma essendo arrivato al ciclismo professionistico relativamente tardi, la carriera di Learco Guerra in sella si allunga oltre a quella del Trombettiere di Cittiglio e si insinua fino ai primi anni del secondo conflitto mondiale. Nel 1942, quindi a ben 40 anni, Guerra ha ancora la forza di diventare campione italiano in pista, nella corsa dietro-motori. Terminato il disastro mondiale, il ciclismo riparte.
Nonostante le strade siano devastate, viene messo in piedi da Cougnet e Torriani, nel ’46, il Giro della Rinascita, motore di speranza e tentativo – riuscito – di ricercare una certa normalità. In quel Giro, vinto da Gino Bartali, una formazione desta attenzione, la Viscontea, che ha come DS due grandi ex del recente passato. Il primo è Tano Belloni, il secondo Learco Guerra. In squadra anche Faliero Masi come meccanico, chiamato a Milano direttamente da Guerra. Tre vittorie per la Viscontea (una con Olimpio Bizzi e due con Elio Bertocchi), ma è soprattutto il giovane Direttore Sportivo che si mette in mostra. Il Giro d’Italia termina il 7 luglio. Il Tour de France non sarà disputato quell’anno, ma al suo posto la federazione francese autorizza la disputa di due brevi corse a tappe: la Ronde de France (10-14 luglio, organizzata da Sports insieme a Miroir Sprint e Ce Soir) e la Course du Tour de France (23-28 luglio, organizzata da L’Équipe). Chi tra due gruppi editoriali avesse meglio organizzato l’evento a loro assegnato avrebbe conquistato il diritto di dirigere il Tour de France dal 1947.
CAMPAGNA DI FRANCIA
Così in pochissimi giorni la Federazione Italiana (UVI) deve mettere in piedi ben tre squadre da mandare in Francia e in Svizzera (Tour de Suisse, in contemporanea alla Ronde). Binda non è disponibile al momento e il presidente Rodoni, appena insediato, si rivolge proprio a Guerra per aprire la campagna francese. Tra mille difficoltà (passaporti e trasporti) viene messa insieme una rappresentativa italiana che si rivelerà molto competitiva, mentre Bartali (guidato da Pavesi, per l’occasione in macchina Tricolore) farà suo anche il Giro di Svizzera. Poco prima della partenza per la Francia, sulla Gazzetta dello Sport appare un riquadro che recita: «Sono partiti 9 corridori italiani. Sono partiti ieri da Milano diretti a Bordeaux nove corridori italiani accompagnati da Learco Guerra e dal massaggiatore Cimurri per disputare la corsa in cinque tappe Bordeaux-Grenoble che inizierà il 10 luglio. Squadra: Ballarino, Bertocchi, Bresci, Coppini, Martini, Simonini, Volpi, Bizzi e Introzzi». Learco punta sui giovani, dei quali conosce bene Bizzi, suo corridore alla Viscontea. Con l’Olimpio livornese altri toscani come Giulio Bresci e quell’Alfredo Martini che era stato vittorioso a Mantova quando era dilettante.
Nella classifica generale finale della Ronde Giulio Bresci è primo, Elio Bertocchi ottiene la seconda posizione e al terzo posto arriva il francese Édouard Fachleitner. La stampa italiana esalta la prestazione dei corridori e di Guerra. La Gazzetta, il 15 luglio, scriverà: «Al successo rimarchevolissimo degli atleti italiani nella Ronde de France, assai gravosa per gli ostacoli (Alpi e Pirenei, tappe consecutive, medie elevate, lotte accanite) è strettamente legata l’opera del direttore di squadra, Learco Guerra. Nella condotta degli atleti si sente la mano del mantovano. Li ha tenuti bene in pugno, ne ha mirabilmente armonizzato le forze e precisato i compiti, in una parola li ha guidati con bravura pari alla passione. C’è bernoccolo, indubbiamente»
In Francia Learco ha messo in mostra tutte le sue capacità e dopo essere stato un campione in sella lo diventa anche in macchina. Per l’UVI logica avrebbe voluto che anche la seconda corsa francese fosse seguita da Guerra, fresco vincitore con Bresci. A tal proposito la rosea riporta l’invito che lo stesso Goddet fece a Learco: «Per la condotta degli italiani, per il loro strepitoso successo e per la direzione intelligente, esperta di Guerra, gli organizzatori dell’imminente piccolo Giro di Francia e personalmente il suo regista principale Jacques Goddet, hanno invitato il nostro Learco a parteciparvi con la stessa formazione. Ben lieti sarebbero stati gli organizzatori francesi di vedere alla loro corsa la squadra italiana, sotto la guida e la direzione di Guerra».
Learco però declina l’invito. «Guerra non ha potuto accettare, perché dopo un Giro d’Italia e una Bordeaux-Grenoble, e dopo quanto i ‘suoi’ avevano compiuto di grande e d’impossibile, sia in Italia che in Francia (5000 km di strada) Learco non si sentiva di esporre i suoi ragazzi a nuove fatiche. Per questo Guerra ha rinunciato alla permanenza in Francia». C’è del rammarico in questa scelta, perché l’armonia e l’amalgama che Guerra era riuscito a creare con i corridori durante la Ronde erano state alla base di quel trionfo. Raramente le squadre italiane in Francia avevano trovato una tale unità d’intenti.
Learco sembra proiettato verso il Tour del 1947. Non segue la Viscontea, che resta in mano a Belloni. In Federazione però non ci sono acque tranquille. In inverno sia Bartali sia Coppi hanno dichiarato che non sarebbero andati in Francia. Non è ancora il momento e bisogna monetizzare dopo gli anni di guerra che hanno dilapidato fortune. Inoltre, vista la decisione presa dai due campioni, poiché nel 1947 Francia e Italia sono ancora ‘tecnicamente’ in guerra fra loro, l’Unione Velocipedistica Italiana approfitta di questa particolarità per non partecipare ufficialmente al Tour. L’UVI non si espone direttamente. Mantiene in facciata, apparentemente, il distacco dalla corsa e non delega il proprio tecnico federale alla guida della spedizione. Learco Guerra, formalmente Commissario Tecnico dell’UVI per la strada, si vede costretto a rinunciare.
Tuttavia il ciclismo italiano non può mancare alla rinata prova francese e, in qualche modo, deve partecipare. Nasce allora l’idea d’inviare una squadra italiana, o forse sarebbe meglio chiamarla rappresentativa, a dimostrazione del carattere ufficioso della partecipazione. Chi si fa avanti, per amor di patria, per organizzare e gestire la spedizione è il giornalista della Gazzetta dello Sport Guido Giardini, che fa parte di quella sorta di diplomazia attiva di congiunzione tra UVI e ciclisti. Secondo il giornalista Giorgio Fattori: «[…] il collega Giardini si è assunto con filosofia e coraggio ammirevoli il peso della responsabilità della squadra. Se non era per lui forse al Tour gli italiani non andavano».
Guerra osserva a distanza, con l’amico Ambrosini, il Tour. Anche lui va in Francia, ma a visionare il percorso del Campionato del Mondo, che si terrà a Reims. Finito il Tour, Learco ritorna in scena, anche se si trova a dover gestire lo ‘scontro’ tra Rodoni e Bartali per l’ammissione della squadra italiana al Mondiale. Bartali ha preso accordi direttamente con il CT per fare delle corse in Belgio invece di rispondere alla richiesta della Federazione di partecipazione al raduno e alla premondiale (Monza, 20 luglio). Tra Guerra e Rodoni scoccano scintille. Il nodo del contendere è anche la presenza di Coppi, il quale viene inizialmente dirottato in pista, dove vince il titolo nei confronti di Bevilacqua (30 luglio). Guerra si trova così con un Coppi incerto, non sicuro del completo recupero, e un Bartali probabilmente più in condizione ma avversato dai federali. Si può rinunciare a Bartali? Sì, perché il 26 luglio Rodoni, a nome della presidenza dell’UVI, comunica che Gino Bartali è stato escluso dalla squadra nazionale italiana per Reims. Gino non la prende per niente bene.
Guerra, però, non ha ancora sciolto le riserve sul quartetto che parteciperà al Campionato del Mondo. In lista Magni, Maggini, Leoni, Coppi, Ricci e Bevilacqua. Il miglior piazzato italiano in quel Mondiale sarà Magni, terzo. Al rientro da Reims (7 agosto) Guerra darà le dimissioni. In una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport (raccolta dall’amico Guido Giardini) spiegherà le sue ragioni senza peli sulla lingua. Rodoni, colpito nell’orgoglio liquida in un colpo solo Guerra e Giardini (ma entrambi avevano già dato le dimissioni) e apre al ritorno di Binda in ammiraglia. Per Learco la partecipazione alla Nazionale come tecnico sarà esile, brevissima, ma intensa.
Guerra costruttore
Ricorda Renzo Dall’Ara in “Locomotiva Umana”: «Negli anni, era nata un’amicizia con Nando Tagliabue, industriale del ciclo. […] L’ex campione metteva la forza residua del suo nome al servizio del marketing e nasceva nel 1947 la linea di biciclette “Learco Guerra”, fabbricate a Cameri nel Novarese in un capannone ex-Fiat». Inizialmente pensata come un’attività da piantarsi a Mantova, trova poca collaborazione da parte dell’amministrazione comunale. Guerra opta quindi per spostarsi a Milano, portando in loco meccanici mantovani come Decimo Merlo (specialista in telai) e Italo Sottil, a cui si aggiungono Felice Branca, Giuseppe e Mario Ottusi. Ma questa non sarà l’attività principale per Learco. Il ciclismo su strada è ancora il suo mondo e quale miglior promozione per la nascente attività se non mettere su una squadra con il suo nome e le sue biciclette? Oltre che direttore sportivo, Learco dimostra di essere un vero e proprio scopritore di talenti, e di saperli portare alla vittoria.
Il primo è Hugo Koblet, che con la sua Guerra-Ursus porta alla vittoria al Giro del 1950. Lo svizzero fu il primo vincitore straniero in assoluto, indossando la maglia da metà corsa in poi. Il grande avversario, Coppi, si era fratturato il bacino e Bartali non era riuscito a scalzarlo dal podio. Guerra conquista un altro Giro d’Italia nel 1954, con Carlo Clerici, svizzero oriundo italiano. Clerici, partito come gregario di Koblet, entra nella fuga della sesta tappa (la Napoli-L’Aquila) insieme ad altri quattro corridori. I fuggiaschi arrivano al traguardo (e Clerici vince), con oltre 30 minuti di vantaggio. Un divario incolmabile per chiunque (anche per Coppi), nonostante le tante montagne e un Clerici che non è propriamente uno scalatore. Lo svizzero vince il Giro sul suo capitano Koblet, portando una doppietta alla squadra di Learco. Questa stagione, sulla spinta della rivoluzione degli sponsor extrasportivi introdotta da Magni, sarà l’ultima per la Guerra-Ursus, sostituita l’anno successivo dalla prima versione della Faema.
alla Faema
Learco trova l’appoggio di Faema, azienda di macchine per il caffè espresso, come sponsor da abbinare alla sua squadra. Stagione di passaggio questa del 1955, senza grandi successi (Koblet vince il campionato nazionale svizzero), ma utile per il naso fino di Guerra per individuare nel terzo classificato al Tour de France, Charly Gaul, un corridore su cui investire. Nel 1956 la Faema–Guerra prende affiliazione belga e Learco viene affiancato da Guillaume Driessens come DS. Sarà Gaul la stella del Giro d’Italia, soprattutto per la tappa sotto la neve del Bondone. Al momento del via da Merano, Charly è 13° in classifica e ha un ritardo di 17 minuti dalla maglia rosa Fornara. La tappa è a lui favorevole, 242 km con quattro colli da scalare, di cui ultimo il Bondone, ma il ritardo è sostanzioso. Tappa martoriata da freddo e pioggia e il peggio deve ancora venire. Guerra capisce che le condizioni meteo possono solo peggiorare e decide di anticipare la corsa fermandosi a Levico Terme, alla base dell’ultima salita. Entra in una casa e, come racconta Alberto Piovi: «Convinse la proprietaria con una lauta mancia a preparare due tinozze di acqua bollente. Poi tornò in strada, tirò giù dalla bici il grande Charly che sopraggiungeva, costringendolo a male parole a immergersi nel mastello e a riprendere una temperatura corporea accettabile. Intanto la signora asciugava gli indumenti mettendoli sopra la stufa». Grazie all’astuzia e all’intuizione di Learco, lo scalatore lussemburghese realizza una delle imprese storiche del ciclismo. La pioggia si trasforma in bufera di neve ma il corridore della Faema è l’unico a non rischiare l’assideramento. Fornara, invece, abbandona la corsa. Sulle ultime rampe Learco Guerra è commosso. Definirà l’azione del suo corridore il «capolavoro di un autentico fuoriclasse».
Il merito di quella vittoria va in larga parte a Guerra che ha la lungimiranza di fermare il suo corridore e di farlo cambiare completamente, dopo averlo immerso in una vasca di acqua calda in modo da ritemprarlo e fargli recuperare le forze. Charly arriva sfinito ma vincente. Viene avvolto nelle coperte di lana e portato a braccia in albergo. Vincerà quel Giro d’Italia con un vantaggio di 3’27” su Fiorenzo Magni (che ha corso con una clavicola rotta). Gaul avrebbe potuto fare il bis nel 1957. Indossa la maglia rosa quando nella 17° tappa, con arrivo sempre sul monte Bondone, lungo la strada si ferma a urinare. I francesi scatenano l’offensiva insieme a Nencini e Poblet rendendo inutile ogni tentativo d’inseguimento del lussemburghese. Gastone Nencini vincerà quel Giro.
Guerra, alla guida della Faema-Guerra-Clément, conquista il Tour de France 1958, sempre con Gaul. Si ripeterà al Giro del 1959, ancora con una grande impresa del lussemburghese ai danni di Re Jacques Anquetil. In squadra c’è anche un altro grande campione, Rik Van Looy, che in quegli anni si impone nella Sanremo (1958). La squadra intanto si è trasformata in EMI e con questa denominazione resterà fino al 1961, quando diventa Vov. Gli ultimi corridori scoperti da Guerra sono Vittorio Adorni e Gianni Motta, quest’ultimo ancora dilettante e in prospettiva di diventare professionista, ma non farà in tempo a guidarlo dalla macchina. Il percorso della Locomotiva Umana è infatti destinato a subire un precoce arresto. Learco aveva contratto il morbo di Parkinson. Nel 1961 si prova un intervento, ma senza grande successo. Guerra si spense al Niguarda di Milano il 7 febbraio del 1963.