Dici Bartali e pensi alle maglie gialle conquistate al Tour de France, ma anche a quella – sempre gialla – della squadra Bartali, creata dal campione toscano dopo aver lasciato la casacca verde ramarro della Legnano.
Oppure alla Tricolore – che è stata sua in quattro occasioni – o alla primissima grigia della Frejus. Infine, non può mancare la maglia rosa, vinta ben tre volte in carriera. Ce n’è una, però, che il grande Gino non ha mai conquistato. Una maglia bellissima e luminosa, che ha fasciato Magne e Schotte, Van Steenbergen e Coppi, Kint e Kübler: la maglia di Campione del Mondo. Bartali l’ha lungamente inseguita partecipando a un’infinità di Mondiali senza mai conquistarla, arrivando comunque, proprio al termine della sua carriera, a indossarla in gara. Ma come fu possibile? Per scoprirlo – lasciando un po’ di effetto sorpresa – serve ripercorrere tutti i tentativi mondiali di Gino.
Attrice non protagonista di questa storia lunga più di 15 anni è una disciplina che il campione fiorentino non ha mai particolarmente amato: la cronometro. È poco noto, infatti, che nella sua eterna carriera Bartali vinse solamente nove volte in gare contro il tempo e solo in un’occasione – peraltro una cronoscalata, la Rieti-Terminillo al Giro del 1937 – riuscì a trionfare da solo, mentre nelle altre otto ottenne la vittoria sempre in coppia o nelle cronosquadre. Attrice protagonista, invece, è la prova in linea ai Campionati del Mondo su Strada, contro la quale Ginettaccio si cimentò sette volte in carriera.
I PRIMI MONDIALI
Bartali corse il suo primo Campionato del Mondo a Berna nel 1936, al suo secondo anno da professionista e dopo aver conquistato il suo primo Giro d’Italia. Arrivò 7° su un circuito sulla carta adatto ai velocisti, ma reso duro da pioggia e freddo. Per Gino il risultato non arrivò a causa della rivalità interna con l’altro toscano, Aldo Bini. In quegli anni i corridori selezionabili dalla Nazionale erano solo cinque, per cui era difficile fare grossi giochi di squadra. Comunque, la fuga giusta l’azzeccò il francese Antonin Magne. Gino, che lo stava per andare a riprendere da solo, fu assorbito dal gruppetto tirato dal rivale Bini, e fu così che dovette tirare la volata per il 2° posto al pratese. Come andarono nella realtà i fatti lo scrisse Emilio Colombo sulla Gazzetta il giorno dopo: «Non si può fare a meno di osservare che gli Azzurri, correndo ciascuno per la propria probabilità, hanno speso tesori di energia individualmente e sono mancati di affiatamento e di spirito di solidarietà nei momenti delicati e decisivi».
Saltata l’edizione del 1937 perché non perfettamente ristabilito dalla caduta al Tour nel torrente Colau, Bartali si ripresenta al via nel 1938. Dopo aver trionfato in Francia ed essersi portato a casa la maglia gialla, va ai Mondiali nel famoso circuito di Valkenburg come uomo di punta assieme a Bini, Bizzi e Vicini, ma viene messo fuori gioco da una foratura nella prima parte di gara ed è costretto a inseguire per oltre 160 km. Troppi anche per una locomotiva come lui, che si vede costretto a cedere all’ennesimo trionfatore belga: Marcel Kint. Anche qui però non mancano i veleni interni al clan azzurro. Due settimane prima, infatti, a Treviso, in una gara che assegnava punti per la maglia Tricolore, Bartali aveva fortemente litigato con un altro corridore toscano, il livornese Olimpio Bizzi, per una serie di scorrettezze in volata. Questo fatto ebbe ripercussioni in Olanda, dove i due si danneggiarono: Bartali fora e Bizzi tira dritto. Una volta ripresi i fuggitivi, però, il pubblico lungo il percorso ostacola Gino, che a quel punto decide di ritirarsi a un giro dalla fine. Anche qui i giornalisti danno un’interpretazione diversa dei fatti. Scrive infatti Guido Giardini sulla Gazzetta dello Sport: «Oggi è stato dimostrato chiaramente che Bartali è soprattutto un atleta da corse a tappe, ed è soltanto un uomo per le grandi scalate. Se le 27 salite di un chilometro del circuito di Valkenburg fossero state raggruppate in una sola, forse Bartali avrebbe fatto meglio, forse avrebbe anche vinto».
Nel 1939 la rassegna iridata si sarebbe dovuta svolgere a Varese, ovviamente in un percorso adattissimo a Bartali, ma purtroppo quella corsa non si svolse mai: alla vigilia della gara, il 2 settembre, scoppiò la Seconda Guerra Mondiale e addio ai sogni di gloria.
DOPO LA GUERRA
Dopo la lunga pausa arriviamo al 1946, l’anno della rinascita, che però per i colori azzurri ha rischiato di essere un ulteriore anno di fermo a causa della nostra posizione nel conflitto appena passato. Per fortuna, grazie alla bontà delle federazioni elvetica e belga, l’Italia poté partecipare ai Mondiali di Zurigo. Negli anni della guerra la stella di Coppi aveva iniziato a brillare forte nel firmamento del ciclismo, dando vita a una nuova, storica rivalità con Bartali. I dirigenti della Nazionale decidono che, vista la superiorità nota del toscano, questi avrebbe dovuto correre in maniera passiva per far cadere nella rete i grossi calibri e dar via libera – a sorpresa – alle tre punte Coppi, Leoni e Ricci. Purtroppo, i nostri davanti non riescono a essere protagonisti, quindi Gino prova a un certo punto a giocare da solo le sue carte ma oramai è troppo tardi e raccoglie un deludente 12° posto. Si fascia della prestigiosa maglia l’ennesimo belga: Hans Knecht. Arriviamo al 1947 a Reims. Quei Mondiali non furono disputati da Gino, come recita il telegramma che gli fu spedito mentre era a gareggiare in Belgio, perché «Per scarso attaccamento colori italiani est escluso squadra azzurra che difenderà tricolore campionati del mondo Reims».
Cos’era successo? Era successo che Gino era in Belgio a disputare gare e circuiti che servivano a far soldi e pubblicità. Gli pervenne un primo telegramma dove gli veniva intimato di tornare in patria per disputare le gare di selezione in vista dei Mondiali, ma Gino era in accordo col CT della Nazionale Learco Guerra per rimanere in Belgio. Lo stesso Guerra, in contrasto con questa scelta, si dimise dopo l’ennesima disfatta azzurra, come peraltro raccontiamo in questo stesso numero.
I fattacci del mondiale di Valkenburg 1948 – o “Fiaskenburg”, come ebbe a scrivere Carlo Bergoglio, detto Carlin – col ritiro contemporaneo dei “due” (c’è bisogno di specificare che alludiamo a Coppi e Bartali?) sono cosa nota, per cui sorvoliamo in questo racconto e andiamo a narrare quello che successe due anni dopo, poiché a Copenaghen, nel 1949, Gino non fu convocato. In quell’occasione Brera scrisse una frase rimasta nella storia del ciclismo: «Sulle aie non volano le aquile», riferendosi ovviamente a Coppi, terzo alle spalle di Van Steenbergen (primo di tre Mondiali vinti) e dello svizzero KÜbler. Nel 1950 le gare si svolgono a Moorslede, in Belgio. Bartali afferma che quella fu «l’unica bomba della mia vita», come scrisse nella sua autobiografia “Tutto sbagliato, tutto da rifare”. Questa volta Bartali deve accusare nessun altro se non sé stesso. Uomo integerrimo e tutto d’un pezzo che non ha mai voluto far ricorso a sostanze “proibite” per raggiungere i propri traguardi, quella volta si lasciò convincere. Ma si sa, gli esperimenti non si fanno certo nei momenti che contano. A 70 km dall’arrivo Gino beve la “bomba” e per 10 chilometri sembra andare tutto per il verso giusto. Subito dopo, però, comincia a girargli la testa, si sente come ubriaco e la sua corsa termina vicino a un paracarro: una cotta mai vista prima. Per anni “Gino il Pio” ricorderà questo episodio a sottolineare che, benché certi intrugli nel mondo delle due ruote fossero sempre esistiti, lui, uomo di sani principi, aveva sempre fatto conto sulle proprie forze, venendo punito l’unica volta in cui aveva fatto una scelta differente. I belgi, che avevano promesso battaglia, vincono con Alberic Schotte: per loro è il quinto successo nelle ultime sette edizioni!
FINALE A SORPRESA
Nel 1951 si torna in Italia a Varese. È il circuito che riprende il percorso della Tre Valli Varesine, già vinta da Bartali nel 1938. Coppi non partecipa (ricordiamo che è l’anno della morte dell’amato fratello Serse). Capitani: Bartali, Magni, Bevilacqua e Minardi. Quest’ultimi tre si ritrovano nel finale a giocarsi la vittoria ma la spunta lo svizzero Ferdi Kübler. Segnatevi questo nome, perché tornerà utile. Il 1952 segna l’anno dell’ultimo Mondiale per Bartali, in Lussemburgo, vinto dal tedesco Heinz Müller. Alfredo Binda, commissario tecnico della Nazionale, punta tutto su Magni e lascia Bartali libero di fare la propria corsa. Manca invece Coppi perché si è fratturato la scapola destra in un circuito post Tour a Perpignan. “L’Omino di Ferro” prova quindi ad attaccare, più d’istinto che per calcolo, ma non trova né validi alleati né una salita degna di questo nome. Oltretutto, nella volata viene preso per la maglia dal francese Vernajo negli ultimi 150 metri. Mentre mulina le braccia per liberarsi dalla presa, vede davanti a tutti spuntarla Müller e giunge 10° ex-equo assieme ad altri venti corridori, mandando giù l’ennesimo rospo.
A Lugano nel 1953, dove finalmente trionferà Coppi, Bartali non viene convocato per scelta del Campionissimo. Sempre nella sua autobiografia, scrive Gino: «E qui finisce la mia vana rincorsa alla maglia iridata. Una rincorsa durata anni. Ma sempre vana. Una specie di destino. Ma anche un’ingiustizia che dura da sempre. Perché il campione del mondo si crea in un giorno, quando di corse ciclistiche ce ne sono tutto l’anno?». C’è da dire che anche in questi casi la fortuna ha girato le spalle al toscanaccio: la rivalità con Coppi, gli anni migliori persi per la guerra, ma soprattutto i percorsi decisamente poco adatti a una sfida iridata lo hanno oltremodo danneggiato.
Ma Gino Bartali – e questo è il succo di questa lunga storia – alla fine (o quasi) una maglia iridata riuscì a indossarla, anche solo per un giorno. Accadde al Trofeo Baracchi del 1951. Questo perché corse in coppia con lo svizzero Ferdi Kübler, che si era laureato Campione del Mondo quell’anno a Varese – ricordate? – e che per onorare il vecchio campione toscano aveva voluto che il compagno si fasciasse della stessa livrea. Ecco che entra quindi in scena la nostra attrice non protagonista: la cronometro! La gara, però, non fu un successo. Fiorenzo Magni, dopo il tris consecutivo al Giro delle Fiandre, al Giro d’Italia e al Campionato Italiano, col carattere che lo contraddistingue, cerca di far fruttare al massimo quest’anno di grazia, puntando a vincere il Baracchi per chiudere in bellezza, in coppia con il giovane e promettente Giuseppe Minardi, detto Pipaza. A Bergamo, il Leone delle Fiandre e Pipaza piegano Bartali e Kübler, che più che coppia di gambe sono coppia di naso, secondi a 1’40”.
Ma Bartali è arrabbiatissimo. Benché fosse arrivato davanti ai vari Coppi-Van Est e Petrucci-Martini, Gino era imbronciato a causa di coloro che gli volevano più bene: i suoi tifosi. Nella prima parte di gara, infatti, stringono così tanto le file al loro passaggio da costringerli a rallentare più volte, al punto che a metà percorso hanno 4′ di ritardo. La rabbia diventa benzina e in breve Bartali e Kübler danno ritmo alla pedalata, ma alla fine anche il buon Ferdi, che aveva pedalato sotto la pioggia e la grandine di quel 1 novembre con la mantellina, deve ammettere di non essere riuscito a tenere il ritmo del compagno, che aveva spinto a più non posso lungo i 108 km di gara, nonostante i suoi 37 anni e incurante del cattivo tempo. Ma non era bastato a vincere la sua unica gara in maglia iridata. Anche questa volta, “Tutto sbagliato, tutto da rifare”.