Tutti i migliori hanno corso su biciclette costruite con tubi Columbus: da Merckx a Hinault, da Pantani a Argentin, da Coppi a Baldini, passando per Anquetil, Gimondi e Motta.
Traguardare il secolo per questo grande marchio italiano significa organizzare un ciclo di quattro mostre – tutte ospitate nella galleria d’arte del proprietario, Antonio Colombo, patron anche di Cinelli, in via Solferino a Milano, a partire da settembre – lanciare una serie tubi speciale a tiratura limitata (Columbus Cento) e fare ordine in un archivio di impresa che ha pochi eguali in Europa. L’azienda, fondata nel 1919 dal padre di Colombo, Angelo Luigi, aveva originariamente sede in via Stradella, a due passi dallo stabilimento Bianchi. Si è poi spostata un decennio dopo in zona Lambrate, accanto alla Innocenti. Andrà poi poco lontano in via Pestagalli, dove risiedeva la Cinelli assorbita a fine Anni ’70.
I bombardamenti hanno risparmiato gli stabilimenti e i traslochi hanno fatto altrettanto con i documenti fiscali, commerciali, la corrispondenza privata, le fotografie, i bilanci: tutti custoditi nella sede attuale di Caleppio, distante qualche chilometro dalla città. Un patrimonio ingombrante che Columbus sta cercando faticosamente di selezionare, analizzare e digitalizzare affinché non sia perso. Lo storico marchio della colomba, infatti, ha trasformato milioni di billette di acciaio – svedese, austriaco, tedesco, italiano, francese – in tubi di precisione senza saldatura per il mondo del ciclo ma anche della moto, dell’auto, del tennis (i pali per le reti), dello sci (le racchette), dell’aviazione, dei materassi (nello specifico le molle), dell’arredamento. Tutte avventure vissute con partner di altissimo livello: Siai Marchetti, Caproni sono i nomi nobili in campo aeronautico; nei mobili (tubolari e razionali) si collabora con Giuseppe Terragni, architetto di grido del Regime, ma anche con Marcel Breuer, genio di casa Bauhaus; per la Piaggio si sviluppa la forcella della Vespa, con la Ferrari si contribuisce ai successi di Fangio e Ascari; per la Innocenti si forniscono gli omonimi tubi, uno standard mondiale; nel ciclismo si sposa la causa di Cinelli, divenuto produttore di biciclette nel primo dopoguerra.
L’animo di Cino, volto alla sperimentazione, è perfetto per un’azienda come Columbus, dove i macchinari vengono sviluppati internamente, c’è spirito di innovazione e si guarda all’estero con disinvoltura. È con il toscano, acquirente e poi distributore esclusivo dei tubi, che si gettano le basi per contendere il mercato agli inglesi di Reynolds, da sempre il pesce grosso con la sua celebre serie tubi 531.
Gli Anni ’50 e i primi ’60 sono di grande spolvero: “le biciclette vittoriose sono costruite con tubi Columbus”, recita una pubblicità ricorrente sulla Gazzetta dello Sport. Effettivamente si equipaggiano squadroni come Frejus (quindi Poblet ma anche Baldini e Maspes), Torpado, Bottecchia, Magni, Atala, Bianchi, Fiorelli, Ganna, Galmozzi (che fa telai per Van Looy, Anquetil, Stablisnki). Legnano a parte, Columbus vende a tutti senza distinzione, ciclocross e pista compresi. E inizia a diffondersi, come una livrea, la celebre decalcomania sul tubo verticale.
Nel 1953 la prima DECAL
Le decal sembrano risalire ai primi ’50 ma senza che il telaista sia solerte nell’applicazione con la vernice a telaio finito. Ora è un must per qualsiasi bicicletta d’epoca: la impreziosisce, ne decreta la garanzia ma al tempo è considerato un orpello. Nel primo periodo la decal è fedele al logo Columbus disegnato negli Anni ’20 e registrato nel 1933: un pennuto volante un po’ grossolano. Differenzia la serie tubi speciali per bici da corsa da quella meno pretenziosa, la Aelle (da Angelo Luigi, il patriarca), buona per modelli da città o da turismo. Solo a metà degli Anni ’70 la colomba diverrà bianca e assumerà le fattezze attuali. Antonio Colombo non ricorda neanche l’autore del fortunato restyling, probabilmente un tipografo: «Gli chiesi», come racconta in un’intervista a la Bicicletta nel 1988, «di sfrondare il vecchio marchio Columbus del piumaggio e delle ali perché sembravano pinne. Me ne tolga almeno una. Lui ha tolto tutto con esito piacevole».
Il secondogenito di Angelo Luigi non è solo responsabile del cambio di logo ma di una vera rivoluzione che investe l’intero settore cicli dell’azienda a inizio Anni ’70. È un azzardo: Antonio è giovane, capellone, non è ingegnere né designer. Parte svantaggiato in un mondo tradizionalista e conservatore come il ciclismo di quegli anni. Per fortuna Cinelli lo introduce al grande ciclismo, al Giro d’Italia, dove Columbus è il primo marchio a legarsi al trofeo di miglior giovane (Neoprofessionisti Columbus). Un bracciale curioso viene indossato da Battaglin nel 1973 e da Baronchelli nel 1974. Seguiranno le sponsorizzazioni della Gran Combinata Columbus e, nel 1979, della Maglia Rosa. Prima di tutto questo un evento spartiacque mette il turbo alle vendite: il Record dell’Ora di Eddy Merckx a Città del Messico. È il 1972 e il belga è all’apice della sua carriera, la bici per l’impresa firmata da Ernesto Colnago con tubi Columbus è considerata “la più leggera del mondo”. A record fatto, al Cannibale viene fatto firmare un contratto per poter utilizzare la sua immagine e legarla alle serie tubi. Il trio Colnago, Columbus, Merckx è esplosivo: oltre ritorno di fiamma presso tutti i più grandi marchi italiani, si sfonda all’estero, Americhe comprese. Nel 1977, anno della morte del fondatore Angelo Luigi, la Columbus si stacca dalla casa madre e da vita a un’azienda a parte.
È un piccolo rinascimento, concettuale e di posizionamento: si studiano linee di abbigliamento (Columbus Cycling People Line), si aprono negozi (Grande Ciclismo), si inizia a ragionare di bicicletta, di comunicazione e di marketing secondo dettami nuovi, alternativi, mai visti. Nonostante si continui a produrre sempre e solo tubi. Sono gli anni dell’acquisizione di Cinelli – il marchio che beneficerà di più di questa creatività di Antonio Colombo e del suo staff – dei record dell’ora con Moser e del danese Oersted con la celebre Laser (poi Compasso d’Oro: è un prodotto Cinelli ma i tubi sono sempre Columbus), delle prove di sollecitazione del telaio con Felice Gimondi in collaborazione il Politecnico di Milano. Si passa in poco tempo da 450 tipologie di tubi a oltre 900, da 7 operai a 45: Columbus assorbe il 90% del mercato interno e il 70% di quello europeo. La fine degli Anni ’80 è il momento d’oro, delle diecimila tonnellate di acciaio all’anno, delle 26 squadre professionistiche che pedalano con tubi Columbus. Ma anche dell’inizio della fine della A.L. Colombo.
Gli ultimi 25 anni
Da anni in difficoltà, la casa madre ha pagato scelte industriali sbagliate, cercando di star dietro ai colossi senza però le marginalità adeguate. A.L. Colombo è messa in liquidazione nei primi Anni ’90 e Columbus si ritrova due problemi da risolvere: deve trovarsi un nuovo partner che gli fornisca la materia prima con cui fare i tubi e capire cosa fare in un mondo che sta virando verso il carbonio. È difficile raccontare l’ultimo periodo, una vera altalena di emozioni: da una parte il grande ciclismo fa progressivamente a meno di Columbus, dall’altra, trainato da Cinelli, il marchio rimane nel cuore degli appassionati, di chi vive il ciclismo in maniera alternativa, di chi non ha voluto piegarsi al mercato a ha continuato a usare dima e lima per confezionare bici con un’anima d’acciaio. Columbus vive una seconda giovinezza, non più devota al mass market ma a veri artigiani della bicicletta, i telaisti su misura. Richard Sachs, icona a stelle e strisce, è cliente dagli Anni ’70, Dario Pegoretti non ha mai tradito i tubi con la colomba, Tiziano Zullo idem. E i giovani non possono che andare in scia: Legor, Bonanno, Bice, per rimanere agli italiani, Caren Hartley, per citare la telaista inglese. Ci vorrebbe un numero speciale solo per raccontare le serie tubi più iconiche (SL, Air, Cromor, Genius, SLX, Spirit…), quelle customizzate (il cult PegoRichie e poi per Colnago, Pinarello, Fondriest, Merckx, Wilier), la storia dei vari acciai brevettati (Cyclex, Nivacrome…). Sarà per il prossimo secolo.